Maggio Musicale Fiorentino

Il ritorno di Lully, o meglio di Lulli: Acis et Galatée convince, anzi entusiasma

Federico Maria Sardelli e Zubin Mehta chiudono una stagione musicale senza dubbio di grande spessore.

di Domenico Del Nero

Il ritorno di Lully, o meglio di Lulli: Acis et Galatée convince, anzi entusiasma

Ultimi fuochi di una stagione davvero notevole per il Maggio Musicale Fiorentino, in attesa di una altrettanto brillante ripresa settembrina. Sul piano sinfonico, due concerti diretti dal maestro Zubin Mehta: quello di ieri sera, nello scenario suggestivo della cavea del teatro, offerto gratuitamente alla città di Firenze all’insegna di Beethoven e della sua Nona sinfonia, uno dei “cavalli di battaglia” del direttore emerito del Maggio; e stasera con un altro importante appuntamento nella sala che porta il suo nome; in programma ancora Beethoven con Die Geschöpfe des Prometheus (Le creature di Prometeo) op. 43a, ouverture ed estratti dal balletto composto dal grande di Bonn tra il 1800 e il 1801 e le Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33 di Pëtr Il'ič Čajkovskij, ispirate alla poetica del Settecento e in primo luogo all'esempio mozartiano.  Sempre di Čajkovskij la composizione conclusiva del concerto, la Sinfonia  n. 4 in fa minore op. 36 composta fra il dicembre del 1876 e il gennaio del 1878 e dedicata alla mecenate Nadežda Filaretovna von Meck. 

Sul piano operistico la stagione si è conclusa lunedì scorso con l’ultima delle quattro rappresentazioni  - dal 4 all’ 11 luglio - di Acis et Galatée  per la direzione di Federico Maria Sardelli:  degno finale di un festival il cui fil rouge èstato il Mito, l’amore e la Fabula; un titolo mai rappresentato a Firenze e in Italia.

E’ curioso che Jean Baptiste Lully (1632-1687), creatore della Tragedie en musique, abbia chiuso la sua carriera di compositore per la scena con una pastorale-héroïque, per l’appunto Aci e Galatea. Non per scelta, certamente, come è ben noto; il compositore fiorentino naturalizzato francese stava lavorando a Achille et Polixène, rimasto interrotto per la morte causata da un grottesco incidente.  E del resto, la pastorale era di casa nel teatro in musica: come è ben noto infatti, è proprio da questo genere letterario intermedio  che ha preso il via la grande tradizione del teatro in musica.  Sicuramente però il “formato” della pastorale-héroïque  fu scelto per l’occasione e il luogo della prima rappresentazione: i festeggiamenti organizzati nel settembre 1686 dal Duca di Vendome per il compleanno del delfino che si tennero nel castello di Anet, nella Galerie des Cerf : un salone della dimora ducale che non era destinato alla rappresentazione di spettacoli teatrali, per cui non fu possibile dispiegare tutto il possente armamentario scenico destinato alla tragedie, nel nome della “meraviglia”, parola d’ordine del barocco. Tuttavia la musica piacque molto e riscosse il consueto successo, anzi trionfo come sempre accadeva agli spettacoli del franco-fiorentino, tanto da far perdonare anche il testo per la verità un po’ scialbo (benchè tratto da quella miniera di meraviglie che sono le metamorfosi di Ovidio) di Jean Galbert de Campistron.  [1]

C’era dunque molta attesa per questo spettacolo di un autore che sebbene abbia vissuto e operato alla corte di Francia è indiscutibilmente fiorentino: si è parlato anche di una Lully renaissance  e il maestro Sardelli, notoriamente uno  dei più autorevoli specialisti e interpreti di questo genere di repertorio, aveva dichiarato: “Gian Battista Lulli lo chiamo col nome italiano e non per un fatto di campanilismo o nazionalismo, ma perché Lulli ha vissuto i primi 14 anni della sua vita a Firenze e Firenze, e l’Italia in generale, si è dimenticata di questo suo figlio. Oggi, con questa produzione, torna in patria in maniera piuttosto sontuosa, una maniera finalmente degna di tutto quello che ci ha lasciato. In Francia viene eseguito stabilmente, il Paese dove del resto ha trovato la sua fortuna e ha creato la musica francese barocca; la Francia, almeno fino alla rivoluzione  è stata impregnata dalla sua impronta fortissima, quindi è giusto che i francesi lo considerino un loro figlio e che lo celebrino. Ma anche noi italiani dobbiamo ricordarci di questo gigante. Altrimenti abbiamo un buco. Noi abbiamo Monteverdi nella prima metà del 600 e nella seconda metà c’è questo portento che è stato Gian Battista Lulli. Facendo un paragone, sarebbe quasi come dimenticarsi di Gianlorenzo Bernini, una cosa simile. Per fortuna il Maggio Musicale Fiorentino e il sovrintende Pereira hanno voluto fare questo sforzo produttivo, che consiste non soltanto nel programmare un titolo così difficile, così particolare, ma di dotare per la prima volta nella sua storia l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino di strumenti originali, strumenti d’epoca, e questo è un passo storico. Consente di cominciare a riguadagnare tutto il repertorio primo Settecentesco e Seicentesco e poterlo anche eseguire con questa compagine. Quindi Lulli torna a Firenze, torna in Italia, torna in Patria.”

Non c’è dubbio che questo ritorno sia stato un vero e proprio successo, con punte di vero e proprio entusiasmo: il pubblico ha reagito con interesse e anche con una notevole partecipazione, fatti non sempre consueti quando c’è in scena un’opera non “di repertorio”. Sicuramente si è trattato di uno spettacolo di ottimo livello, con una regia al netto di contestazioni: il regista Benjamin Lazar, al suo debutto alla regia al Teatro del Maggio, e in occasione del suo primo allestimento fiorentino aveva dichiarato: Io credo che quest’opera, l’ultima scritta dal compositore, sia un vero e proprio capolavoro: è splendido constatare come si passi, all’interno di Acis et Galatée, da momenti tragici a momenti comici e più distensivi. Insieme a essi, pur essendo l’opera breve nel suo complesso, troviamo anche momenti toccanti e sentimentali, che rendono questa pastorale heroique un vero e proprio manifesto di emozioni umane in musica. Grazie anche alla collaborazione con Adeline Caron, la scenografa, abbiamo quasi “creato” una mitologia, come se fosse sospesa fra il nostro tempo e l’epoca dell’opera. Anche i cantanti e le loro movenze saranno legate a questo concetto: abbiamo “unito” il gesto e i movimenti  moderni al modo di recitare, anche e soprattutto fisico, del 17° e 18º secolo, creando così un ponte fra questi due mondi.”

Obiettivo centrato, senza ombra di dubbio. Il regista sa sfruttare molto bene le limitate possibilità sceniche della sala Mehta: ambientazione atemporale a scena fissa con un “locus amoenus” di solitari boschi ombrosi di sapore arcadico, con elementi di sapore mitologico dunque perfetto per una favola pastorale; un prologo che mostra un delfino (che poi sarà Acis) in chiave moderna e meno … formale, con un gaio e spensierato  spirito festoso di un gruppo di giovani che alleggerisce l’elemento allegorico e cortigiano.  La vivacità scenica da “lieta brigata” si perde in parte durante la favola vera e propria, come del resto era forse inevitabile: i personaggi risultano comunque ben caratterizzati, piacevoli e variopinti i costumi di Alain Blanchot ( notevole un Polifemo  più simile a un variopinto “bullo” contemporaneo che non a un orrendo pastore monocolo), le luci discrete  di Christophe Naillet e le coreografie di Gufrun Skamletz, che hanno tra l’altro “narrato” la metamorfosi di Aci in fiume.

Sardelli dirige la partitura con la competenza e la maestria che lo contraddistinguono: una direzione sobria perfettamente in sintonia con il palcoscenico, con tutto il discreto fascino degli strumenti d’epoca e degli impasti, delle sfumature e dei ritmi della musica barocca, particolarmente apprezzato dal pubblico che gli dedica una ovazione tutta particolare. Una menzione speciale merita senza dubbio il coro, che ha un ruolo di grande rilievo nell’opera barocca e che si è visto in questa occasione “confinato” nella buca d’orchestra ma che ha saputo, grazie alla consueta maestria del suo direttore Lorenzo Fratini, dare un tocco decisivo ora di pathos e di malinconia, ora di leggiadra gaiezza.

Di buon livello anche il cast vocale, che presenta numerose parti “minori”. Per limitarci ai protagonisti, Il giovane soprano Elena Harsányi è stata una Galatea elegante e raffinata, ora deità un po’ sdegnosa ora invece donna innamorata e trepida. Sul piano vocale la voce è bene impostata malgrado il volume non particolarmente notevole, con un bel timbro e una discreta varietà di accenti che nel finale sfiora il tragico; meno vivace l’Acis di Jean François Lombard, anche lui al suo debutto sulle scene del Maggio, ma comunque sempre più che dignitoso. Notevole sia vocalmente che scenicamente il Polifemo del basso Luigi De Donato: voce di notevole estensione e con un bel timbro scuro che sa piegare alle varie situazioni: ora languido – e quasi comico – amante, ora feroce “cacciatore”. Notevole per dignitas … divina il Neptune di Guido Loconsolo.

Gli altri interpreti hanno poi ricoperto più ruoli, diversi nel prologo e nella favola: così Mark van Arsdale è stato Comus e Tircis, Valeria La Grotta  Diane/Deuxième Naïade/Scylla, Francesca Lombardi Mazzulli L'Abondance/Aminte/Première Naïade.

La presente recensione si riferisce allo spettacolo di lunedì 11 luglio



[1] Per ulteriori notizie sull’opera e sulla presentazione dello spettacolo fiorentino cfr https://www.leomagazineofficial.it/2022/07/01/alla-scoperta-del-celebre-compositore-giovanni-battista-lulli-per-la-prima-volta-in-italia-acis-et-galatee-al-maggio-musicale-fiorentino/

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    4 commenti per questo articolo

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