Maggio Musicale Fiorentino

Firenze: quando il destino è un buco nero. Perplessità sulla regia di Padrissa, ma lo spettacolo nel complesso piace.

Domani ultima replica dell'opera verdiana diretta da Mehta, che affronta lunedì anche la replica del concerto di Brahms

di Domenico Del Nero

Firenze: quando il destino è un buco nero. Perplessità sulla regia di Padrissa, ma lo spettacolo nel complesso piace.

Non  è sicuramente facile recensire uno spettacolo come la Forza del Destino andata in scena in questi giorni a Firenze per la regia di Carlus Padrissa (La fura dels Baus) e la direzione di Zubin Mehta, la cui ultima replica sarà domani (domenica 20 giugno) alle 15.30.   Un allestimento sicuramente di grande impegno e molto apprezzato dal pubblico almeno per quanto concerne la parte musicale (grandi applausi al maestro Mehta, all’orchestra, al coro e agli interpreti) e che quindi ha comunque centrato l’obiettivo. Non sarebbe nemmeno giusto però passare sotto silenzio perplessità e criticità soprattutto per quanto riguarda la parte registica, che hanno fatto discutere la critica sin dalla prima rappresentazione. [1]

“A volte è come se il destino ci spingesse verso un buco nero, un luogo dove, anche se tentiamo di resistere, una forza invisibile ci porta verso una regione finita dello spazio, all’interno della quale c’è una concentrazione di massa capace di generale un tale campo gravitazionale che nessuna particella materiale, nemmeno la luce, può sfuggirle (…) Uno stesso mondo: il presente, il passato, il futuro coesistono sullo stesso piano e sono tutti attuali. Il tempo e gli eventi storici, come i luoghi geografici, esistono a una qualche distanza e in una qualche direzione da qui e sono quindi contemporanei.  È in questa direzione che si muove l’opera di Giuseppe Verdi e – soprattutto – la nostra rappresentazione.”  Così Carlus Padrissa, ma se l’impostazione registica è senz’altro questa, è lecito dubitare che nella mente di Verdi e di Piave siano transitati concetti di questo tipo. Ma il punto ovviamente non è questo. La Fura aveva realizzato alcuni anni fa (i primi due spettacoli nel 2007) una splendida messa in scena della tetralogia wagneriana con soluzioni sicuramente “avveniristiche” con omaggio ai mondi della fantascienza e del fumetto (come nella scena della fucina di Alberich): allestimento che, a parte alcune trovate più o meno discutibili, era però stato di grande impatto e fascino. Forse Wagner, data la sua particolare drammaturgia, il profondo significato filosofico sotteso a quasi tutti i suoi lavori, si presta meglio a letture più complesse ed impegnate che non uno sconclusionato drammone (dal punto di vista testuale, non certo della qualità musicale) di metà ottocento, che sembra piuttosto un concentrato di romanticismo intriso di quel “romanzesco” che tanto spiaceva al nostro Manzoni.

Infatti questa volta il discorso è molto diverso. Sarà forse che quel che ieri era innovativo oggi sa un po’ di stantio o quantomeno di già visto, ma malgrado l’indubbio (forse persino eccessivo) sforzo intellettuale e la bellezza suggestiva di alcuni momenti cinematografici (come l’umanità risucchiata nelle spire di un angoscioso buco nero) il risultato complessivo è al di sotto delle aspettative.

Quello della Fura è dunque un vero e proprio viaggio nel tempo, con la scenografia avveniristica  firmata da Roland Olbeter che consta  di una prospettiva infinita convergente  in un unico punto, quasi l’interno di un lungo corpo piramidale; di un certo fascino soprattutto nel primo atto (e forse anche nel quarto), meno sinceramente negli altri. Le proiezioni a cura di Franc Aleu cercano di dare una sorta di unità d’insieme, mentre i costumi di Chu Uroz spaziano da uno stile più o meno settecentesco nel primo atto, guerre stellari nel secondo e nel terzo e ….cavernicolo nel quarto (diciamolo sinceramente: il duello a colpi di clava tra Carlo e Alvaro era un po’ … paradossale; ci mancava solo che il secondo dicesse Eleonora dammi la clava e avremmo avuto un simpatico richiamo agli Antenati, un vecchio cartoon preistorico di tanti anni fa). Va bene la prospettiva metafisica, metastorica e metateatrale (con il coro che in alcune occasioni, come per lo splendido La vergine degli angeli del secondo atto, passa attraverso la platea) ma bisognerebbe tener presente (e sia detto senza il minimo spirito polemico o irrispettoso) che a volte il confine tra “impegnato” e ridicolo può essere molto sottile.

Per concludere: è l’incontro tra Alvaro ed Eleonora a generare un buco nero (proiettato sullo schermo all’inizio dello spettacolo) le cui onde gravitazionali influenzeranno tutta la vicenda  mescolando e alternando i vari piani temporali: così il “racconto" inizia a Siviglia nel 1758, ma la morte accidentale del marchese dà …. Il via alle danze temporali; Carlo, nel secondo atto, cerca la sorella nel 2222 (secondo e terzo atto), mentre per il quarto ci spostiamo addirittura nel 3333, dopo una apocalisse cosmica con tanto di torre di Pisa smozzicata e bruciacchiata, in una sorta di preistoria prossima ventura.

Un pastiche che, tra altro, si integra ben poco con il lavoro degli attori e del coro le cui “pose” e la cui recitazione (unica eccezione, forse, la bravissima e simpatica Preziosilla) non appaiono per niente intonati al contesto scenografico. L’effetto è quindi di “straniamento” e soprattutto nel secondo e nel terzo atto si ha in alcuni momenti l’impressione di vedere una cosa ma di ascoltare un qualcosa che ha poco a che fare con quel che si vede. Sembra insomma di assistere, più che a una lettura quando si voglia discutibile ma con un sua ratio, ad una serie di effetti speciali alcuni dei quali sicuramente colpiscono e affascinano, altri invece lasciano allibiti e alla lunga, un po’ stancano.

Ci sono poi alcuni interventi sulla partitura, non si sa se per volontà del direttore o del regista) che lasciano perplessi: ad esempio, quello di spostare nel terzo atto la scena del primo duello tra Carlo e Alvaro inserendola  come momento finale , invece della scena corale con l’aria di Preziosilla, levando così al celebre Rataplan  tutto il suo fascino e il suo significato.

La direzione di Mehta si concretizza in un lavoro di cesello sulle singole famiglie strumentali, sugli archi, gli ottoni; da segnalare gli splendidi assolo del clarinetto. I tempi sono però talvolta un po’ lenti, soprattutto nelle scene corali e d’assieme e ad esser sacrificati sono stati soprattutto le parti “comiche” del terzo e del quarto atto, che sono risultate un po’ opache e poco coinvolgenti. L’orchestra del Maggio ha suonato comunque in perfetta sintonia con il maestro regalando momenti di grande intensità ed emozione; da segnalare lo sforzo del coro, che in quest’opera ha un grande rilievo. Il coro del Maggio si è mostrato forse non del tutto a suo agio nel contesto scenografico, ma ha dato come sempre una splendida prova sul piano vocale.

Buono nel complesso il quadro dei solisti: quasi tutti però hanno mostrato una scarsa “empatia” con i loro personaggi (conseguenza, anche questa, dell’inconsueta impostazione registica?).  Così il soprano  Saioa Hernández (Eleonora) ha mostrato tutta la sua potenza vocale negli acuti e una discreta gestione nel centro, ma l’interpretazione è stata forse nel complesso un po’ discontinua, anche se non ha mancato di affascinare il pubblico.  Il baritono Amartuvshin Enkhbat (Don Carlo) per la prima volta a Firenze, è sicuramente un interprete dotato di mezzi vocali straordinari, con un timbro da baritono verdiano doc; un vero piacere ascoltarlo, anche se l’interpretazione del personaggio non era proprio brillantissima. Non è partito benissimo il tenore Roberto Aronica (Don Alvaro) che nel primo atto è apparso un po’ incerto e troppo “sforzato”, ma riprendendosi poi a partire dal secondo e fornendo una prova convincente, anche se non entusiasmante.  Nessuna riserva invece sulla Preziosilla di Annalisa Stroppa; molto brava sul piano scenico malgrado i costumi eccentrici, si muove con grande agilità anche vocale. Buoni anche i bassi Ferruccio Furlanetto (Padre Guardiano) fornito di gravitas scenica e vocale, mentre Nicola Alaimo è stato un fra’ Melitone forse a volte (IV atto) un po’ troppo macchiettistico, ma simpatico e con un timbro gradevole e adeguato al ruolo. Di buon livello anche il maestro Trabucco di Leonardo Cortellazzi e il marchese di Calatrava di Alessandro Spina.

Intanto proseguono i concerti dedicati a Brahms con la direzione del maestro Mehta: lunedì 21 giugno alle ore 20 replica del concerto andato in scena venerdì 18, con il pianista Daniil Trifonov come solista; In programma il Concerto in re minore per pianoforte e orchestra op. 15 e la Sinfonia n. 1 in do minore op. 68.  Il concerto del 21 giugno 2021, in occasione della Festa della Musica, segna anche la prima trasmissione in diretta streaming della piattaforma digitale ITsART.

 

(la recensione si riferisce alla recita di mercoledì 16 giugno).

 

 



[1] Per la presentazione dello spettacolo cfr. http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=9334&categoria=1&sezione=8&rubrica=8

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da fake jordan 6 il 24/08/2021 11:09:31

    We’ve listened to what they’ve had to say and now, we’re going back to our roots. As of today, you’ll be able to buy and sell pre-owned shoes on KLEKT with the same great service, authentication and even some new additional services with industry leading sneaker care experts, Crep Protect. fake jordan 6 https://www.jordankicks.org/fake-jordan-6.html [url=https://www.jordankicks.org/fake-jordan-6.html]fake jordan 6[/url] fake jordan 6

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.

TotaliDizionario

cerca la parola...