Maggio Musicale Fiorentino

Offenbach e Mascagni: quella strana coppia che ha sedotto il pubblico fiorentino.

Ha funzionato benissimo il dittico proposto al Maggio Musicale, anche per l’alta qualità degli spettacoli.

di Domenico Del Nero

Offenbach e Mascagni: quella strana coppia che ha sedotto il pubblico fiorentino.

Se è proprio difficile, come molti hanno sentenziato, trovare un elemento in comune tra l’opera di Offenbach un Mari à la porte e Cavalleria Rusticana di Mascagni, andato in scena nei giorni scorsi al teatro del Maggio Musicale Fiorentino, potremmo dire davvero …. Uno nessuno e centomila! [1]

Uno? Il grande successo che il pubblico ha tributato a entrambe, certo più caloroso e travolgente alla seconda, ma senza per questo lasciare alla prima un omaggio puramente di routine. Nessuno: si tratta in effetti di due autori dai linguaggi e dalle tematiche del tutto differenti. Centomila? L’operetta di Offenbach potrebbe essere paragonata a un vivace sorso di champagne prima di un robusto e sanguigno vino siciliano, la policromia scintillante della prima si contrappone al desolato chiaroscuro della seconda, la brillante Parigi del secondo impero è la stessa dove nasce il naturalismo da cui il Verismo prenderà le mosse … etc. etc. etc.

Poi certo, il bello della critica è proprio la multiformità delle opinioni e dei punti di vista, ma a volte si ha la sensazione che il gusto dello spaccare il capello in quattro prevalga sul giustizio estetico. Perché non c’è dubbio, a parere di chi scrive, che questo dittico sia uno dei colpi più centrati di questa stagione del Maggio, che pure non difetta certo di offerte di vario genere.

Cominciamo appunto dalla regia, spesso dolente – o quantomeno ….dissonante  - nota. Questa volta invece non ci sono state riserve o fischi in agguato: Luigi di Gangi e Ugo Giacomazzi hanno convinto il pubblico, in entrambi i casi. “ Tragedia e commedia insieme. L’avevano capito gli antichi greci che non rinunciavano ap rendere in giro quelle stesse passioni per cui si soffre, si dilania, si muore (…) Ingabbiati nelle ipocrisie delle loro regole borghesi, i personaggi di Offenbach svolazzano come Uccelli  prendendosi gioco del matrimonio, della fedeltà, dello stesso amore per cui Mascagni fa soffrire e morire i suoi.” Cosi scrivono i registi nel programma di sala ed eccovi servito un eccellente trait d’union, se proprio lo si ritiene necessario.

L’operetta di Offenbach scorre leggera nella sua trama, al ritmo di quel valzer che è uno dei suoi temi principali.  Il budoir in cui è ambientato l’atto unico ha la forma curiosa di una voliera variopinta e sgargiante, con un tocco di pessimo gusto più da esposizione universale che non decadente o crepuscolare; alla scenografia si intonano perfettamente i frivoli e colorati costumi di Federica Parolini e Agnese Rabatti. Tutto molto charmant : il quartetto di interpreti, a partire dallo spiritoso e spigliato Florestan Ducroquet di Matteo Mezzaro; notevolissima Francesca Benitez nel ruolo di Rosita, sicuramente la parte più ardua da un punto di vista vocale con tanto di acuti e sopracuti, mentre Patrizio la Placa e Marina Ogii caratterizzano in maniera più adeguata i coniugi litiganti Martel e Rosita. Charmant anche l’orchestra del Maggio diretta da un Valerio Galli che riesce benissimo e rendere il clima gaio e spensierato, a metà strada tra Vienna e Parigi (come voluto dal maestro Luca Logi che ha brillantemente riorchestrato la partitura) che scaturisce dalla musica del piccolo Mozart dei Campi Elisi.

Con Cavalleria Rusticana si volta pagina, in più sensi.  La regia, anzitutto: di Gangi e Giacomazzi rinunciano alle letture troppo “solari” e strapaesane, per approdare a una monocromia e a una ieraticità che richiama in effetti la tragedia greca, ma in qualcosa di pirandelliano, con le maschere che irrompono sulla scena: la Pasqua dei protagonisti e per due interpreti “una Pasqua eterna, come il luogo che abitano, affonda le sue radici nel passato, nei riti arcaici che mischiano sacro e il profano”. Non solo; un richiamo alla tragedia greca è anche nella sottolineatura della funzione del coro, splendidamente evidenziata dal coro del Maggio che è stato veramente un formidabile protagonista insieme ai personaggi principali; cosa che anche il pubblico ha riconosciuto e apprezzato moltissimo. Le scene, scabre ed essenziali ma non “provocatorie”, sono insieme ai costumi e alle luci un punto di forza di questa concezione che è veramente insieme ieratica ed atemporale: un clima da tragedia doc che avrebbe soddisfatto sia Pirandello che Aristotele.

Sul piano dei solisti il livello è decisamente alto, a partire dal Turiddu di Angelo Villari, perfettamente a suo agio nel personaggio sia dal punto di vista scenico che vocale: lo strumento vocale è di una robustezza davvero “mascagnana”, ottimo sia negli acuti che nel fraseggio che nei colori. Un interprete davvero completo che oggi non è facile trovare soprattutto per ruoli di questo genere. Di grande livello anche la Mamma Lucia di Elena Zilio, una grande interprete che ha dato tra l’altro di questo personaggio una lettura piuttosto inedita, molto diversa dalla “mamma” siciliana chiusa e rassegnata; e la sua vocalità, nonostante la carriera ormai più che rispettabile, rimane stupefacente, grazie alla corposità della sua voce e alla coloratura. Alexia Voulgaridou è una Santuzza dolente e appassionata (a volte forse sin troppo), con una vocalità ampia e robusta anche se non sempre convincente nei registri medio – bassi; ma nel complesso una interpretazione più che rispettabile. L’Alfio di Devid Cecconi è stato forse un po’ più discontinuo, non sempre brillante negli acuti e con un fraseggio a tratti poco brillanti, ma nel complesso comunque più che dignitoso.  Sensuale e provocante la Lola di Marina Ogii, che da Offenbach passa così a Mascagni.

Infine la direzione.Valerio Galli affronta Mascagni con grande slancio e passione: i tempi sono quelli giusti, più solenni e ieratici in alcune scene corali, più vivaci e appassionati nei passaggi più drammatici; una direzione che  mette nella giusta luce una partitura in passato giudicata con una certa sufficienza, solida e robusta senza nulla concedere alla retorica o a eccessi più o meno “bandistici”.

Uno spettacolo di grande livello molto apprezzato dal pubblico in tutte le rappresentazioni. Un solo rammarico; che siano già finite.

La recensione si riferisce alle repliche di giovedì 14 e giovedì 21 febbraio.



[1] Per la presentazione degli spettacoli cfr http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=9131&categoria=1&sezione=8&rubrica=8

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