Un male curabile

Cancro e nanomedicina: sperimentata con successo la prima terapia telecomandata

Diventa concreta la speranza raccontata nel libro di Michele Cucuzza sullo scienziato che combatte per curare il tumore

di Michele  Cucuzza

Cancro e nanomedicina: sperimentata con successo la prima terapia telecomandata

Le nanotecnologie applicate alla medicina rappresentano il futuro per la cura del cancro

La notizia è stata pubblicata sulla rivista «Science Translational Medicine», si tratta di una ricerca che ha avuto applicazione su 17 pazienti ammalati di cancro ai quali è stata iniettata una nanocapsula contenente il farmaco antitumorale che viene telecomandata per arrivare diritta al cuore del tumore dove rilascia la sua sostanza attiva. La sperimentazione ha avuto successo sugli uomini dopo averla avuta sugli animali riempiendo di soddisfazione il gruppo di ricerca chedel quale fanno parte Brigham and Women's Hospital (Bwh), Dana-Farber Cancer Institute (Dfci), Harvard Medical School (Hms), Massachusetts Institute of Technology (Mit), e dell'azienda Bind Biosciences.
È un primo traguardo concreto della nanomedicina: la capsula, Bind-014 è stata sperimentata su pazienti già trattati senza successo massicciamente con le terapie tradizionali e la cellula ha trasportato il farmaco classico, il docetaxel, direttamente nelle cellule malate, sfruttando un recettore specifico delle cellule tumorali. La capsula scorre nel sangue finchè non trova le cellule tumorali nelle quali scaricare il farmaco. Grazie a questa tecnica la dose totale di docetaxel per ottenere risultati si abbassa di molto. Il farmaco si concentra infatti nella sede bersaglio, senza disturbare le cellule sane. Di conseguenza si riducono gli effetti collaterali

Pubblichiamo il capitolo introduttivo del nuovo libro di Michele Cucuzza, Il male curabile appena uscito per i tipi di Rizzoli. Cucuzza ha intervistato lo scienziato forse più all’avanguardia nel trattamento del cancro. Mauro Ferrari, italiano trapiantato in America dove dirige una colossale struttura nel Texas con un budget multimilionario, nasce come ingegnere esperto in nanotecnologie, ma alla morte della moglie di tumore, ha indirizzato le sue ricerche nelle applicazioni delle nanotecnologie alla medicina, e i risultati sono entusiasmanti. La speranza di abbattere la mortalità per cancro e rendere la qualità della vita migliore comincia a essere concreta. (Totalità)

Tre meduse blu, avvinghiate su una spugna marina rossa, tentano di bloccarla: tra poco proveranno a sminuzzarla, a divorarla. Più in là, un sottomarino circolare, un disco di un turchino acceso, si è infilato in una grotta azzurra.

Le pareti della cavità, una serie infinita di bolle celesti accatastate l’una addosso all’altra, sono troppo vicine alla nave subacquea, che da un momento all’altro potrebbe venire inghiottita dall’antro. Ti giri e, poco più avanti, un essere trasparente dai tentacoli verdi tiene serrato con due mani mostruose un corpo circolare avventuratosi da quelle parti.

Avvincenti e terrificanti, le suggestioni oniriche svaniscono presto. Le immagini che le hanno originate sono foto ingrandite migliaia e migliaia di volte, appese ai muri degli edifici di un piccolo paese della Calabria, cinquecento abitanti o poco più, Gagliato. Non riproducono scenari di guerra in fondo al mare, ma situazioni che si verificano nei vasi sanguigni ogni volta che proteine e anticorpi si accorgono della presenza di sostanze estranee: in questo caso, nanoparticelle, granelli artificiali di silicio, cento volte più sottili di un capello, appositamente iniettati nell’organismo per trasportare medicine da far arrivare direttamente alla zona colpita da un tumore.

È la nanomedicina, una delle idee più avanzate per la cura del cancro e per la terapia rigenerativa, che cerca di farsi conoscere dai non addetti ai lavori.

I poster futuristi sono colpi di luce che incuriosiscono, nel contrasto con il grigiore pulito dei muri delle case, dei palazzi e delle chiese di questo comune disteso lungo una delle colline della provincia di Catanzaro, sulla statale che dalle splendide spiagge ioniche attorno a Soverato porta agli ottocento metri dei boschi e dell’eremo di Serra San Bruno. [...]

È proprio qui, in quest’angolo di Calabria bello ma semisconosciuto, e non proprio fortunato, che da quattro anni, a luglio, scienziati italiani e stranieri si riuniscono e raccontano ai ragazzi e alla gente del paese le faticose conquiste delle loro ricerche nella lotta contro i tumori, nella speranza di coinvolgere anche loro, presto, così come le università e le aziende della regione e dell’Italia intera.

Saranno soprattutto le nuove generazioni a utilizzare le nanomedicine.

È per loro che l’artista americana Jo Ann Fleischhauer crea i nanoposter, dopo aver sottoposto agli abitanti del paese, stimolandone la fantasia, le foto degli oggetti di dimensioni nanoscopiche provenienti dai laboratori del Methodist Hospital Research Institute, a Houston, e realizzate al microscopio elettronico dalla fantasia dei gagliatesi. [...]

Scuola dell’infanzia ed elementare, popolata (malgrado le vacanze ormai inoltrate) di ragazzini tra i sei e i quindici anni, in maglietta bianca con la scritta «Piccola Accademia delle nanoscienze».

«Parliamo di sostanze minuscole, la loro unità di misura è il nanometro, che corrisponde a unmilionesimo di millimetro» spiega al giovane pubblico affascinato, con l’aiuto di una serie di slide proiettate su una parete, in mezzo a palloncini di latex, manifesti e altri addobbi da festa, Ennio Tasciotti, trentaquattro anni, di Latina, professore associato al Methodist Hospital Research Institute di Houston, autentico enfant prodige del settore, laurea in biologia alla Normale di Pisa, dottorato in medicina molecolare a Trieste e, poi, la direzione del Dipartimento Ricerche in Medicina rigenerativa nell’ospedale del Texas. «Si tratta di particelle» chiarisce «così piccole da cambiare completamente le loro proprietà, oltre che il colore, rispetto a quando sono di dimensioni maggiori. L’oro, per esempio» svela al pubblico estasiato, «man mano che rimpicciolisce diventa prima verde, poi rosso, infine blu.» Tasciotti chiama accanto a sé Anna Maria, una bimba paffutella di sei anni e mezzo con gli occhiali che confida, ridendo, di volersi occupare di dinosauri, da grande.

Il giovane professore le spiega che se lei fosse alta un nanometro (l’unità di misura di questo microuniverso), un banale foglio di carta avrebbe uno spessore duecentomila volte più alto di lei. Il brusio dell’eccitazione suscitata da questo paragone alla Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi si placa per un attimo di fronte all’immensità infinitesimale cui Tasciotti allude.

Il docente ne approfitta per ricordare che un singolo punto di un qualsiasi testo scritto si distende per un milione di nanometri, mentre una cellula animale evoluta è grande circa tra i dieci e i trentamila nanometri, un batterio mille, un virus cento, gli anticorpi dieci e un atomo è pari a un decimo di nanometro.

La formula matematica dell’unità di misura è 10-9 metri. «È con dimensioni del genere che l’uomo fa, ormai da anni, ricerca» ricorda Tasciotti, «prima di tutto osservando e riproducendo la magia degli eventi infinitesimali che si verificano in natura: le ali delle farfalle sono in bianco e nero, i colori – stupendi e diversi a seconda delle specie – sono determinati dal modo in cui viene riflessa la luce che penetra tra le maglie della loro minuscola tessitura; ci sono già vernici per auto, neutre in origine, che – nelle profondità molecolari – attraggono la luce allo stesso modo delle farfalle, presentandosi, una

volta applicate alle carrozzerie, con i rossi più sgargianti o i blu più smaglianti. Lo stesso vale per le zampette dei gechi, dotate di incredibili ventose appiccicose che permettono loro di passeggiare comodamente sui soffitti e di non scivolare su nessuna superficie, per quanto liscia.

Osservate e riprodotte attraverso nanoparticelle artificiali, quelle ventose ci stanno dando una grossa mano per creare materiali nuovi, in grado di non farci scivolare sul vetro, utilissimi, per esempio, a chi si occupa di pulire le vetrate esterne dei grattacieli, che stanno anche a centinaia di metri di altezza. [...]

«Per non parlare» continua il professor Tasciotti «dei vostri amatissimi computer e dei telefoni cellulari (che ormai sono anche centomila volte più piccoli e dotati di potenza sessantamila volte superiore rispetto al “cervellone” della Nasa, quello grande come una stanza che, a suo tempo, guidò per la prima volta l’uomo sulla Luna): i loro microchip usano, per far passare la corrente, fili sottili qualche nanometro.

È grazie alla nanotecnologia che si attivano e si spengono, con un semplice clic, le memorie. Agli smartphone e ai laptop dobbiamo tanto, per le nostre ricerche sul sangue» sorprende tutti il professore.

Vene e App, arterie e streaming: chi l’avrebbe detto? «Certo, perché anche il sangue ha di per sé nanoproprietà, a partire dal fatto che trasporta ossigeno ai diversi organi attraverso le sue proteine, in vasi dalle dimensioni estremamente ridotte, per quanto molto estesi lungo tutto il corpo.

Noi» prosegue Tasciotti, affascinando ancora il piccolo uditorio «vogliamo far arrivare le medicine agli organi malati attraverso percorsi brevi e diretti, evitando di farle transitare lungo tutti i centomila chilometri di vene, arterie e capillari, tragitto di fatto obbligato quando un preparato viene ingerito per bocca o iniettato con l’ago: un labirinto irto di ostacoli, dal sistema immunitario agli enzimi, predisposto per la distruzione di ogni corpo estraneo; un percorso estenuante che fa arrivare soltanto piccolissime quantità di cure alle cellule malate, intossicando spesso quelle sane.

Le nanoparticelle di silicio poroso, quelle più nuove, che gli scienziati stanno sperimentando negli ultimissimi tempi» dichiara Tasciotti, con un largo sorriso, invitando i piccoli accademici a guardare una slide appositamente preparata, «assomigliano tanto al videogioco di Super Mario: devono cioè essere capaci di sfuggire agli innumerevoli e diversi nemici che vogliono distruggerle, ovvero gli anticorpi posti a difesa della nostra salute, e avere le chiavi per aprire le porte giuste del sistema sanguigno, per trovare e salvare la principessa.»

L’entusiasmo, in classe, è alle stelle. Ennio sfrutta la divertente metafora tra le nanoparticelle e il protagonista del più popolare videogame come trampolino per proseguire. «I ricercatori stanno facendo una serie di esperimenti sugli animali per verificare se e come le nanoparticelle possano trasportare nel sangue più nanomedicine contemporaneamente, da rilasciare a tempo debito, aggirando gli ostacoli e non infastidendo le parti sane del corpo, in modo da curare i pazienti con terapie sempre più personalizzate.

Si stanno studiando, cioè, tecniche di rilascio dei farmaci che riproducano grosso modo quello che succede nelle imprese spaziali, dove i missili propulsivi abbandonano la navicella prima che questa raggiunga l’obiettivo. Ogni rilascio deve proteggere le nanoparticelle dal rigetto dei suoi nemici naturali appostati nel sangue, ed evitare di intossicare cellule sane per colpire esclusivamente quelle malate con cocktail di farmaci, in dosi diverse per ciascun paziente.

Ecco perché» ricorda il professore «oggi parliamo di nanoparticelle multistadio, in grado di superare le barriere biologiche attraverso il rilascio di differenti, specifiche sostanze, a seconda del “nemico” che via via si trovano davanti. Non a caso, al posto del silicio che si usava nelle prime sperimentazioni, oggi ci serviamo dell’ossido di silicio, che è poroso e dunque può contenere nelle sue “tasche” le sostanze curative che devono essere rilasciate.

Ultimamente, stiamo provando anche a “foderare” le nanoparticelle artificiali con pezzi di membrana cellulare, per “ingannare” le cellule guardiane più aggressive, pronte ad attaccare ogni eventuale corpo estraneo.»

Un altro punto decisivo viene illustrato da Tasciotti ai giovani di Gagliato in termini molto semplici: «Le nanoparticelle artificiali vanno costruite in modo da possedere – tra l’altro – anche la capacità di riconoscere la parte da curare, affinché il farmaco venga rilasciato esclusivamente lì, evitando i devastanti effetti collaterali tipici, per esempio, della chemioterapia tossica.

Non c’è da esultare» conclude il ricercatore: «le sfide aperte sono ancora numerose». [...]

Inevitabile chiedergli se non si senta – lavorando in Texas – uno dei protagonisti della tanto discussa «fuga dei cervelli» dall’Italia. «Secondo lei» è la risposta che non ammette repliche, «a trentaquattro anni, nel mio paese, sarei potuto diventare capo di un programma di ricerca dotato di un budget di dieci milioni di dollari, in tre anni, per sperimentare le nanoterapie, e condirettore di un dipartimento all’avanguardia, con più di cento persone?

Se mi facessero una proposta del genere in Italia, sarei pronto a ritornare, immediatamente.»

Ed eccolo Super Mario, anzi Super Mauro – come tutti chiamano Mauro Ferrari – con mezza Gagliato invitata da Giovanni Sinopoli, il giovane segretario dell’Accademia delle nanoscienze, ad assistere la sera, in piazza, non all’elezione dell’ultima Miss, ma alla presentazione di scienziati e dottori, esperti di nanomedicina, tra i migliori al mondo. Americani, cinesi, europei che lo hanno seguito in Calabria, soprattutto da Houston, dov’è presidente e amministratore delegato del Methodist Hospital Research Institute.

Originario di Udine, liceo classico, laurea in matematica, master e dottorato in ingegneria meccanica, studioso anche «un po’ di medicina», come racconta scherzosamente di se stesso. Mauro Ferrari ha modi diretti, sorriso pronto. A cinquantadue anni, è autore di quaranta brevetti a fini terapeutici ufficialmente riconosciuti, di sei libri e di oltre duecento articoli scientifici. È lui, insomma, il padre della nanomedicina più aggiornata.

«La ricerca non è per i pavidi» proclama Ferrari: «richiede la scommessa di una vita: la vostra presenza, amici di Gagliato, mi aiuta ad andare avanti».

Il professore racconta l’incredibile, recentissima impresa di Andreas Jordan, medico di Berlino, che – primo al mondo – è riuscito a contenere (e, in alcuni casi più fortunati, a guarire) il glioblastoma multiforme, uno dei più aggressivi tumori al cervello, che solitamente invece non dà scampo, lasciando pochi mesi di vita a chi ne è colpito. Dopo aver iniettato nanoparticelle di ossido di ferro nella zona del tumore, Jordan crea, dall’esterno, a pochi centimetri dal cranio, campi magnetici particolari che surriscaldano le microsostanze immesse sopra le cellule ammalate facendole letteralmente «cuocere».

«Per la prima volta» annuncia Super Mauro, «le nanoparticelle, addirittura senza farmaci aggiuntivi, sono riuscite a guarire esseri umani dal tumore o, quanto meno, a raddoppiare la speranza di vita degli ammalati.

In Germania, questa procedura straordinariamente innovativa è già stata approvata ed è potenzialmente in grado di salvare tante vite umane: speriamo di poterne disporre presto, dopo le opportune approvazioni, in tutta Europa, e naturalmente anche negli Stati Uniti.»

Gli applausi salgono dal cuore. A interrompere il battimani, il video di saluto di Scott Parazynski, medico, scalatore dell’Everest e, soprattutto, astronauta: cinque volte sullo Shuttle, anche con Paolo Nespoli e Umberto Guidoni, sette passeggiate nello spazio. Assunto al Methodist di Houston, conosce alla perfezione le nanotecnologie, da tempo utilizzate anche sui veicoli spaziali. [...]

Jason Sakamoto è un ingegnere californiano: vecchio amico di famiglia di Ferrari, si occupa di far diventare prodotti industriali i risultati delle ricerche più avanzate contro il cancro effettuate al Methodist. Adesso segue in particolare l’ambizioso e incredibile progetto che si prefigge di rendere possibili prevenzione e diagnosi precoce attraverso l’analisi delle proteine di una semplice goccia di sangue.

Ali Khademhosseini spiega come le nanotecnologie potrebbero permettere di trovare nuovi farmaci per impedire il rigetto, in caso di trapianto di organi. [...]

Le parole conclusive di questa suggestiva e sorprendente serata sono di Mauro Ferrari: «Stiamo lavorando anche a un particolare tipo di vaccino anticancro, cercando di attivare una cellula specifica dei nostri anticorpi che possa andare “a caccia” di quelle tumorali quando la malattia è ancora agli esordi.

on ce ne stiamo arroccati a Houston. Abbiamo accordi di collaborazione con diverse università italiane. E offriamo la nostra ricerca, naturalmente, anche alle aziende del nostro paese».

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