Editoriale

In campagna elettorale scende prepotentemente in campo l'avversario più temuto dal Pd: il populismo

Nella politica fatta di slogan non poteva che finire così una guerra di parole con pochi contenuti

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

quo; una delle parole-chiave del momento, lanciata nel campo avversario – come fosse una fatwa – da Matteo Renzi: populismo. Non è certamente una novità. Nelle ultime settimane però, il termine sembra essere diventato una sorta di clava politica, agitata, in modo sconsiderato, per scaricare sul centrodestra le più turpi accuse: xenofobia, razzismo, omofobia. La questione è evidentemente un po’ più complessa. Il populismo – a chi voglia comprenderne l’essenza – non nasce per caso. Esso è tutto interno alla crisi del sistema di rappresentanza partitocratica. E’ figlio del tramonto delle vecchie ideologie e dei partiti ad esse collegati. Ed è quindi la risposta ad una domanda di nuova sovranità popolare, nel tempo delle immediatezze linguistiche e della semplificazione comunicativa. Anche Renzi – a ben guardare – ci ha provato quando ha parlato, all’inizio, di “rottamazione”, laddove ora usa un linguaggio scontato e banale, inadeguato a rispondere alle domande reali della gente.

Dietro il “populismo” ci sono infatti domande sociali che nulla hanno a che fare con la xenofobia ed il razzismo, ma che riguardano la governabilità dei flussi migratori, i costi dell’integrazione europea, la crisi economica, la dignità nazionale.

Sono temi rispetto ai quali la gente vuole risposte chiare e dirette, laddove certa politica-politicante sembra essere sorda ed inconsapevole, rincantucciata dietro le parole passepartout, buone forse per tutte le stagioni, ma non per questa. Perciò la sinistra perde. Incapace com’è di leggere la realtà, essa mostra la sua inadeguatezza a cambiarla, illudendosi che qualche piccolo scostamento del Pil ed un richiamo, tutto formale, all’Europa, possano essere percepiti come un segnale di rinnovamento politico.

Ora, a chi non teme l’etichetta “populista” di fare il salto di qualità, passando dalla fase dell’opposizione a quella del “populismo di governo”, esempio concreto di corretta interpretazione delle domande della gente ed in insieme risposta ricostruttiva e dunque credibile: populismo di lotta e di governo in grado di farsi espressione autentica della volontà popolare (e qui sarà il voto a sancirne la legittimità) ed insieme efficace strumento di risposta alla crisi (attraverso un organico programma).

Le condizioni per riuscire in questa impresa ci sono tutte. Ora è la volontà politica, sostenuta dal consenso popolare, che deve farsi strada

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