Maggio Musicale Fiorentino

Firenze, la Carmen dello scandalo: la regia fa cilecca (come la pistola) ma la musica trionfa.

Contestata la regia politically correct di Leo Muscato, che mal si sovrappone alla vicenda. Pieno successo per il direttore d'orchestra e gli interpreti principali.

di Domenico Del Nero

Firenze, la Carmen dello scandalo: la regia fa cilecca (come la pistola) ma la musica trionfa.

I protagonisti, nello sfondo surreale di un campo nomadi intento a vedere una corrida (non ci capisce bene come, ma pazienza) sono ormai “ai ferri corti”: Don José vuole riprendere la relazione fatale con Carmen, ormai innamorata del torero Escamillo che sta trionfalmente affrontando con il povero toro la sua partita mortale, tra le urla di trionfo del suo pubblico. “Ebbene, colpisci allora e lasciami passare”! Grida esasperata lei gettandogli in faccia pure l’anello che le aveva donato. A questo punto lui dovrebbe estrarre il coltello e proprio nel momento della vittoria del torero rivale scannare la donna che gli aveva tolto il senno. Invece no. Estrae un manganello e non un coltello (e fin qui pazienza, anche se sa un po’ di omaggio alla legge Fiano); ma più o meno contemporaneamente lei si trova in mano una pistola e spara. Lo colpisce, ma lui invece di morire dice alle guardie che arrivano: Arrestatemi, sono io che l’uccisa, o mia Carmen adorata … Mentre Escamillo, che la folla acclamava vincitore, penzola non si capisce bene come e perché dal soffitto debitamente incornato dal toro che si è scocciato di far da puntaspilli.

BUUUH!!!! Anche alla terza rappresentazione, come il maestro posa la bacchetta e si spengono le luci, esplode il dissenso del pubblico, che alla prima aveva già seppellito il regista Leo Muscato sotto una valanga di fischi. Un dissenso, si badi bene, diretto esclusivamente alla regia e alla messa in scena, perché quando Carmen ed Escamillo, subito dopo la fischiata, si presentano insieme al palcoscenico vivi e vegeti (anche se con l’aria un po’ preoccupata) non c’è più nessun dissenso, ma solo un meritatissimo boato di acclamazioni e applausi, che vengono poi meritatamente estesi a gli altri interpreti, al coro  (in modo particolarmente entusiasta) e al maestro. Ancora una volta la musica ha vinto, anche se la scena ha fatto cilecca come la pistola alla prima rappresentazione.

E così, questa Carmen dello scandalo, che ha scatenato un vero e proprio dibattito giornalistico, sui social, sui Media, mettendo davvero il Maggio al centro dell’attenzione non più per questioni di bilancio ma di arte (anche se c’è da dire che negli ultimi tempi il teatro sembra entrato in un vero e proprio climax ascendente di cui gli amanti dell’Opera e dell’arte in generale non possono che essere felici). Difficile però dire se e quanto una pubblicità di questo tipo sia positiva….

Il problema non è nemmeno tanto l’eterno (e per certi aspetti falso) dilemma regie tradizionali/regie innovative. Vi sono letture che, per quanto audaci possano sembrare, mantengono comunque un legame o perlomeno non fanno a pugni con il libretto e con lo spirito dell’opera che si rappresenta. Si può poi essere o meno d’accordo, apprezzare o respingere l’idea, ma niente di più. Così è stato ad esempio con la recente Traviata ambientata a Cinecittà: non a tutti è piaciuta, ma la vicenda, anche se con qualche inevitabile incongruenza, non ne risultava stravolta: Violetta ed Alfredo rimanevano fondamentalmente gli stessi, così come il dramma della protagonista condannata dalla società prima che dalla malattia.

“ Non si tratta di sovrapporre una drammaturgia differente da quella già esistente, ma di tenere conto del tempo che è passato e delle avvenute mutazioni” aveva dichiarato Leo Muscato a proposito della sua interpretazione. Ma la sensazione è invece che questa volta si sia voluto non tanto “attualizzare”, quanto riscrivere la vicenda, sulla base di un copione dettato dal “politically correct” che a quanto pare sta diventando anche “musically correct”!

Cosa a che fare infatti la violenta carica della polizia ai danni di uno squallido campo nomadi che sa molto di lager con tanto di filo spinato, con la vicenda creata da Merimée e di Bizet? Poliziotti tra l’altro con bellissimi costumi contemporanei, che fanno tra l’altro sgradevolmente pensare alle forze dell’ordine di oggi; una logica più da centri sociali con la loro fobia dello “sbirro” che non da grande teatro. Quella scena unica di Andrea Belli, con cinque roulotte variamente disposte (ma sempre quelle!)  è tutto quel che resta del mondo variopinto e passionale di Merimée e Bizet?  Ma il punto debole di tutto l’edificio è proprio la figura di Carmen come “vittima di femminicidio.” Carmen non è Butterfly, non è una povera fanciulla innocente vittima dell’egoismo di un cinico e superficiale Yankee; una vicenda che potrebbe tanto richiamare l’odierna vergogna del “turismo sessuale”. Ma anche così, una Cio Cio San che volgesse la spada contro Pinkerton e lo scannasse farebbe forse piacere, ma sarebbe molto, molto improbabile; e Puccini non avrebbe mai accettato una cosa simile.

Carmen non è una povera ragazza ingenua e “venduta”; ha se mai le caratteristiche della “donna fatale” tipica del Decadentismo, anche se con una vitalità e una forza più romantiche che decadenti.  Con il procedere dell’opera, essa assume se mai la dimensione e la consapevolezza propria di un personaggio di tragedia greca, come intuì Nietzsche.  Non è comunque la sua “caduta” che l’opera mette in scena, ma quella di Don José: un soldato che sedotto dalla avvenente e selvaggia sigaraia scende tutti i gradini  della degradazione, fino ad arrivare all’omicidio.

Può piacere o no ma questa è la logica dell’opera. Decontestualizzarla completamente, come è stato fatto, significa ad esempio far perdere di significato a quell’elemento esotico e folclorico che Bizet usa in modo totalmente nuovo, come si è visto nell’articolo precedente. Ma soprattutto, la sensazione è che Leo Muscato abbia proprio sovrapposto a quella di Carmen un’altra vicenda, che con la prima non si armonizza per niente. Non ci sono dubbi che la violenza sulle donne sia un’infamia intollerabile, ma è innegabile che come esistono uomini violenti esistono anche donne violente (e la violenza, lo sappiamo bene, non è solo fisica). Ora, a parte il fatto che la tematica del “femminicidio” è del tutto estranea a Bizet e ai suoi librettisti, sarebbe interessante capire come collocare esattamente la bella gitana, anche se nulla, ovviamente, può giustificare la soppressione o anche l’oppressione di un essere umano, maschio e femmina che sia.

Peccato, anche perché Muscato con Nabucco e soprattutto con il bellissimo Campiello del 2014 aveva offerto prove di sé non disprezzabili. E del resto, una mano sapiente si scorge comunque nell’abilità dei movimenti scenici dei cantanti e del coro (splendida la scena della danza dei gitani del secondo atto), nei giochi di luce, nel crescendo di tensione del finale, purtroppo rovinato da un colpo di scena che proprio non ci stava. Anche i costumi di Margherita Baldoni, per quanto spesso incongrui, erano comunque ben realizzati.

Ma naturalmente ….de la musique avant toute chose. La polemica infinita sulla regia ha forse messo in ombra i molti meriti musicali di questa edizione.  Il fascino perduto sulla scena si ritrova nel golfo mistico, con una orchestra del Maggio Musicale e il coro diretto da Lorenzo Fratini in piena forma. Il direttore d’orchestra Ryan McAdams, che già aveva offerto una bella interpretazione dei Pêcheurs de perles  due anni fa, ha dato una lettura vigorosa e trascinante, facendo brillare tutto il colorito esotico della partitura senza mettere in ombra  i momenti  più lirici ed “intimi”: perfetti la scansione dell’Habanera, con un suono di una sensualità dionisiaca, trascinante e coinvolgente, le scene corali. Il rapporto con il palcoscenico.

Veronica Simeoni, mezzosoprano, è stata una Carmen forse non molto “sensuale” (e del resto, data l’impostazione dello spettacolo …) ma di grande presenza scenica, ora determinata e sfrontata, ora rassegnata al suo destino ma mai “doma”. Dal punto di vista vocale risaltano il timbro morbido e ambrato, l’ottimo fraseggio e la disinvoltura nelle agilità.  Roberto Aronica nel ruolo di Don José ha dato vita a un personaggio violento e duro, con un fraseggio forse un po’ ruvido ma capace anche di una malinconica dolcezza nell’aria del fiore. Molto efficace soprattutto negli ultimi due atti, con una declamazione energica e vigorosa, anche se con un francese non sempre “doc”. Simone Alberghini si è trovato a sostenere il ruolo di Escamillo in sostituzione di Burak Bilgili. Non sembra proprio essere il suo “personaggio ideale” e la splendida canzone del Toreador del secondo atto risulta tutto sommato un po’ opaca, una Chanson grise  per dirla ancora con Verlaine, ma nel complesso se l’è cavata più che decorosamente, soprattutto nel duetto del terzo atto. Grandi e meritatissimi applausi anche per la Michaela di Laura Giordano, forse sin troppo ligia al ruolo di "brava ragazza" (ma del resto, la parte è quella!), grazie ad una voce gradevole, precisa, ben timbrata e bene impostata.  Discrete e all’altezza anche le altre parti, molto vivaci e gradevoli soprattutto Frasquita e Mercedes ( Eleonora Bellocci e Giada Frasconi)

Insomma, da vedere? Forse più da ascoltare … quello senz’altro! In ogni caso, i posti per tutte le rappresentazioni sono esauriti da tempo e questo è un dato più che positivo senza dubbio. Ultime repliche Sabato 13 e giovedì 18  (ore 20) e Domenica 14 gennaio (ore 15,30).

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