I libri di Totalità

Rassegna di novità librarie: gennaio 2018

di Mario  Bozzi Sentieri

Rassegna di novità librarie: gennaio 2018

Guillaume Faye, Il sistema per uccidere i popoli (Aga, pagg. 228, Euro 20,00)

L’essenza economica e tecnica del nuovo potere mondiale, appannaggio dell’alta finanza, seppellisce progressivamente le tradizionali forme di direzione politica; questo sistema non ha bisogno di capi, ma solo di esecutori. Alle decisioni degli Stati nazionali subentrano le scelte strategiche prese dalle grandi multinazionali e dalle reti bancarie internazionali, speculatori privati e società anonime. Anche i paesi dell’est – un tempo soggetti all’ideologia comunista – e quelli del terzo mondo non sfuggono alla tenaglia delle multinazionali, fornendo la manodopera al ‘sistema’. L’origine e il destino che legava le comunità politiche, i ‘misteriosi’ lineamenti, le differenze che caratterizzavano i popoli tendono ad annullarsi, di fronte all’omogeneizzazione dei costumi e dei consumi dell’homo oeconomicus. La forma politica della nazione, retta da uno Stato, è stata uccisa dalla vasta ‘impresa planetaria’ di massificazione e spersonalizzazione, figlia dell’ideologia egualitaria partorita in occidente nel diciottesimo secolo. Senza territorio, ma presente ovunque, questa piovra gigantesca – simbolo dell’attuale civilizzazione -, si fonda sull’organizzazione dell’economia e sulla distruzione delle culture comunitarie.

PENSIERO FORTE

Marcello Veneziani, Cento ritratti di maestri sconvenienti (Marsilio, pagg. 510, Euro 20,00)

In questo volume, Marcello Veneziani ripensa agli autori che ne hanno accompagnato la formazione, l’educazione e la crescita culturale. Uno ad uno, uniti e distinti come grani di un rosario, sono gli Imperdonabili del pensiero, gli irregolari della scrittura, intelligenze pericolose, pensatori sconvenienti che crearono nuovi angoli visuali sul mondo, spesso attingendo alla tradizione. I campi d’azione son diversi, dalla filosofia alla letteratura, fino al giornalismo politico; una scelta dal carattere storico-critico e insieme didattico, frutto della lotta all’oblio. Ci sono i grandi classici, da Dante a Petrarca, da Machiavelli a Leopardi, fino a Nietzsche e Dostoevskij, e ci sono gli incompresi, la cui grandezza e profondità non è stata riconosciuta, la cui opera non è stata baciata dal successo e dalla fortuna che avrebbero meritato. Autori che non sono stati oggetto di unanime e assoluta ammirazione (Evola, Gomez Dàvila, Michelstaedter); gran parte di costoro visse e scrisse nel novecento, da isolati e in disparte, incrociando le correnti artistiche e filosofiche, e gli eventi più salienti del secolo, come le due guerre mondiali. La sequenza dei ritratti comprende le ‘penne’ che lasciarono il segno sulla carta stampata, usando l’ironia come un’arma affilata (Flaiano, Guareschi, Montanelli) e dal tono polemico e battagliero (Ricci, Malaparte, la Fallaci). Infine, Veneziani ricorda i ‘maestri’ che conobbe di persona e frequentò – Volpe, Accame, Erra, Cattabiani, Buscaroli -, e che ebbero il torto di militare sulla sponda sbagliata dell’universo culturale.

FILOSOFIA

Francesco Roat, Religiosità in Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra (Mimesis, pagg. 154, Euro 16,00)

Il protagonista di una delle più note opere di Nietzsche, Zarathustra, dopo aver trascorso un decennale eremitaggio meditativo tra i monti, completato il suo itinerario spirituale, la sua parabola interiore, si presenta agli uomini come un profeta. Mentre rende noto il suo ‘vangelo’, egli assume i tratti del ‘messia laico’, intenzionato a proclamare una buona novella alternativa a quella annunziata nel Nuovo Testamento. Ovviamente si tratta di un anti-vangelo, rispetto ai quattro testi canonici, in quanto, attraverso tale sua opera Nietzsche maledice la casta dei risentiti per eccellenza, quella dei preti-teologi. È proprio partendo dallo Zarathustra, che l’autore intende dimostrare che il filosofo di Rocken si può considerare homo religiosus; il banditore di un nuovo modo di porsi di fronte al mondo e al Dio giudaico-cristiano – che Nietzsche definisce morto, scomparso dall’orizzonte della modernità. Certo la sua religiosità è ‘laica’, non ha niente a che fare con la fede o un credo dottrinale, piuttosto il suo invito a mantenersi fedeli alla terra esprime una spiritualità dell’immanenza. 

STORIA

Anthony Everitt, Roma. Nascita di una grande potenza (Hoepli, pagg. 520, Euro 19,90)

Gli anni di cui si occupa questo libro vanno dalla leggendaria età dei sette re alla conquista dell’Italia, fino all’affermazione della Repubblica romana quale potenza mediterranea. Il racconto si chiude con l’aspra guerra civile fra Silla e Mario, e con l’organizzazione dell’oriente romano da parte di Pompeo Magno. In questa fase, lo Stato romano vive lo stridente contrasto fra il trionfo esterno e i conflitti politici interni, fra le vittorie militari e la crisi delle strutture istituzionali e della costituzione. Dominatrice indiscussa sul Mediterraneo, una potenza politico-militare che mette soggezione ai popoli vicini, Roma comincia la sua ascesa da piccolo centro ai piedi dei sette colli, solcati dal Tevere. Mentre il loro dominio si estendeva, i romani mostravano la loro sapienza nell’arte del costruire strade ed edifici durature, così come la loro capacità organizzativa sia nell’edificazione dello Stato che nell’assetto giuridico. I miti di fondazione e le vicende leggendarie dei primi anni ci rimandano alla concezione che i romani avevano di sé stessi ed al loro universo spirituale. Questa ricca e preziosa tradizione vive in personaggi straordinari – da Cincinnato a Muzio Scevola, da Scipione l’Africano ai fratelli Gracchi -, così come si riflette nei templi e nelle statue, nei riti e nei simboli del potere. Popolo di guerrieri, i romani associavano gli eventi storici ai santuari ed alle cerimonie pubbliche, sorta di archivio della memoria comune, visibile a tutti.

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 Emilio Gentile, Mussolini contro Lenin (Laterza, pagg. 264, Euro 16,00)

Negli anni del Regime fascista, il Duce parlò spesso di Lenin, e accennò alla possibilità di averlo incontrato e conosciuto nel periodo vissuto in Svizzera. Nell’autobiografia giovanile, Mussolini racconta che, fin dall’inizio del soggiorno svizzero, fece alcune conoscenze nella colonia russa. Tra queste Angelica Balabanoff, una marxista che aveva studiato in Italia e militato nel partito socialista italiano; ella contribuì alla formazione intellettuale e politica del futuro Duce. La rottura fra i due avvenne nel novembre 1914, allorché Mussolini si convertì all’interventismo e fondò “Il Popolo d’Italia”; da allora, per la Balabanoff divenne un traditore. L’odio di Angelica verso l’ex compagno si infiammò ancora di più dopo la Grande guerra, quando ella aderì alla rivoluzione bolscevica e collaborò con Lenin, mentre Mussolini divenne un accanito antibolscevico. Fu proprio all’inizio del conflitto che, per la prima volta, Lenin menzionò Mussolini fra i socialisti che avevano tradito per opportunismo il partito operaio. Ad un anno dalla presa del potere, il Duce affermò su Gerarchia che, la Russia bolscevica e l’Italia fascista avevano segnato la sconfitta del liberalismo e dimostrato che si poteva governare al di sopra dell’ideologia liberale. Lenin e Mussolini si trovarono così su due vie parallele nella costruzione di regimi opposti e antagonisti, dove entrambi furono trasfigurati in figure eroiche, lanciate alla conquista rivoluzionaria.

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Luca Tadolini, L’accordo fra il PCI e lo spionaggio USA (1943-1945) (Edizioni del Veltro, pagg. 260, Euro 26,00)

Questo studio è dedicato all’accordo tra i servizi segreti statunitensi ed i vertici del PCI; accordo operante nei periodi decisivi della guerra partigiana, che prevedeva l’utilizzo di agenti comunisti italiani. Per la campagna d’Italia, l’OSS – la struttura di spionaggio antenata della CIA – decise di servirsi della ‘militanza’ partigiana, in particolare di elementi scelti del partito comunista. I nuovi assetti geopolitici del dopoguerra suggerirono ai servizi americani ed al PCI di occultare la vicenda, che avrebbe messo in imbarazzo personalità importanti della politica, dell’economia e della cultura. Specialmente in Italia, in considerazione della ‘guerra fredda’ USA-URSS e della posizione del PCI, venne introdotta una rilettura dei fatti, una nuova interpretazione del rapporto tra comunisti e OSS, che teneva conto del ruolo pubblico acquisito da alcuni partigiani nella società italiana del dopoguerra. Così, nella storiografia successiva questi agenti comunisti, divennero semplicemente dei resistenti, che nella lotta antifascista avevano ‘incrociato’ altri alleati nelle organizzazioni statunitensi.

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Giulio Vignoli, Repubblica Italiana. Dai brogli e dal Colpo di Stato del 1946 ai giorni nostri (Settimo Sigillo, pagg. 170, Euro 15,00)

Un infaticabile viaggio quello descritto da Giulio Vignoli (per oltre 47 anni professore universitario) attraverso una Italia che è esistita e che in molti hanno tramato per far dimenticare, viaggio intrapreso con l’acume dello storico e del giurista che supera, attraverso la conoscenza diretta dei fatti, ogni considerazione personalistica. Episodi dimenticati, casi clamorosi che andarono sulla ribalta delle cronache ma che una classe politica miserabile ha voluto far dimenticare. Ce n’è per tutti nel libro, monarchici e repubblicani, comunisti e democristiani, partigiani e repubblichini, magistrati e condannati. Vignoli ha scritto un vero manuale che segnala al lettore i momenti più bassi della nostra storia recente, un malgoverno che è la costante di questi ultimi settant’anni e che distrugge i miti fondanti della Repubblica: Resistenza e nascita democratica col voto degli elettori. Odio fra Italiani e brogli referendari sono alla base della Repubblica che non potevano che produrre frutti avvelenati e l’odierna grave, tragica situazione.

STORIA DELLE DESTRE

Pietro Comelli, Campo Hobbit 1977. Quando i giovani di destra fecero il ’68 (Spazioinattuale, pagg. 127, Euro 20,00)

Quella del ’77 in Italia è stata forse l’ultima grande stagione di partecipazione giovanile. In mezzo al piombo e alle molotov un’intera generazione, senza distinzioni di colore politico, chiedeva un forte cambiamento e lo faceva su basi culturali diverse rispetto al ‘68. Quello che i giovani di destra, dopo un inizio in prima fila, non erano poi riusciti a fare. Nell’estate del 1977, però, arriva  Campo Hobbit pronto a mostrare uno spaccato diverso dai luoghi comuni di una destra tutta “legge e ordine”, dipinta per la violenza dei “picchiatori fascisti” e la nostalgia di un Ventennio mussoliniano dove i treni arrivavano in orario. Gli esclusi e autoesclusi raggiunsero Montesarchio, un paese della provincia di Benevento, occupando con le loro tende un campo da calcio dove in mezzo c’era un palco dedicato alla “musica alternativa” e ai lati i banchetti pieni di riviste e libri underground. Il fenomeno delle radio libere, la grafica, la metapolitica con temi da sviluppare quali l’ecologia, la dimensione femminile, la poesia svelarono così una voglia di vivere nel presente. E la creatura letteraria di Tolkien diventò lo strumento per uscire dall’angolo in cui quell’ambiente era stato cacciato o si era infilato. Il libro racconta e analizza un ambiente giovanile eterogeneo, durante quell’estate calda, attraverso una serie di testimonianze, decine di documenti curiosi, oltre cinquanta fotografie inedite e la cronologia dei fatti accaduti in quella stagione irripetibile a distanza di quarant’anni. 

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Pierluigi Arcidiacono, Sanbabilini (Settimo Sigillo, pagg. 480, Euro 36,00)

Pierluigi Arcidiacono racconta il fenomeno dei sanbabilini, che nasce e si sviluppa fra la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta, attraverso i ricordi dei protagonisti e le cronache dell’epoca. La disparità numerica fra giovani di destra e di sinistra era enorme, soprattutto a Milano, dove tra i militanti comunisti e gli extraparlamentari si considerava legittimo l’uso della violenza contro i ‘fascisti’. Nelle lotte cruente, nelle ‘battaglie’ politiche e scolastiche, il movimento giovanile di sinistra poteva contare sull’appoggio della numerosa classe operaia meneghina, antifascista per convinzione; tutti – attivisti, lavoratori e studenti - persuasi dall’idea che a destra ci fosse il ‘male assoluto’, da debellare ad ogni costo. In questo clima nacque la comunità politica ed umana di San Babila, dove alla violenza si reagiva con un coraggio caparbio e guascone, con entusiasmo e azioni goliardiche. Inizialmente, i giovani missini si riuniscono nella sede della Giovane Italia, in corso Monforte, in un appartamento fittato grazie al contributo del senatore Gastone Nencioni. Dopo pochi anni la sede fu chiusa, il MSI non riusciva a controllare l’attività del movimento giovanile; ma, questa decisione rafforzò la convinzione di quei ragazzi di restare in piazza San Babila. Quei portici e quei bar sarebbero diventati la loro trincea.

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Alfredo Villano, Da Evola a Mao. La destra radicale dal neofascismo ai “nazimaoisti” (Luni, pagg. 375, Euro 25,00)

Sinistra Nazionale e Ordine Nuovo, Nuova Repubblica di Pacciardi e i suoi ragazzi di Primula Goliardica: quale il filo rosso che accomuna gruppi così diversi per estrazione e provenienza ideologica, aspirazioni e ambizioni? Se negli anni Cinquanta tale ribellismo abbraccia inevitabilmente le radici sociali del fascismo e della Rsi o lo spiritualismo di stampo evoliano, evocando prospettive e soluzioni tra loro accomunate da un forte intransigentismo nei confronti della linea politica della Fiamma, gli anni Sessanta non necessariamente portano ad analoghe conclusioni e a sbocchi della stessa natura. I temi di politica estera dividono e infiammano i giovani estremisti i quali, a partire dalle riflessioni antimperialiste in chiave europea di Jean Thiriart e la sua Giovane Europa avviano e per certi versi continuano un percorso politico-culturale che, passando per l’esperienza di Primula Goliardica, il gruppo giovanile di Nuova Repubblica, porterà alla nascita del movimento più controverso della contestazione studentesca: Lotta di Popolo. Sono in buona parte i giovani provenienti dalle file del ribellismo di destra che, nell’ottica del superamento della polemica fascismo-antifascismo, furono attratti dalla battaglia antipartitocratica e presidenzialista del movimento capitanato dall’antifascista Randolfo Pacciardi. Sui giovani in generale ma su quelli di Primula in particolare, Pacciardi punta fortemente per riuscire a dimostrare la forza e la vitalità del suo movimento; tra di essi molti non si riconoscono nelle posizioni atlantiche e filoisraeliane del suo leader e si immergono nella contestazione studentesca sin da Valle Giulia. Tale gruppo, la cui genesi non può prescindere dall’esperienza del Movimento Studentesco di Giurisprudenza romano, nell’ottica antiborghese e antimperialista, elaborerà un originale mix di idee in cui l’Europa diventa il faro dei movimenti di liberazione nazionale e i nemici assoluti sono l’Urss, gli Usa e i suoi fedeli alleati come Israele. È il popolo che irrompe sulla scena, diventando il perno della storia e di tale cambiamento: i “nazimaoisti” di Olp, nella loro audace elaborazione di stampo profondamente antiborghese, evocano, rivisti e corretti, temi già cari al socialismo nazionale, e richiamano la visione geopolitica della Giovane Europa, che non può non prescindere dall’esperienza antisistema di Primula per andare a formare un bagaglio culturale e di valori il quale, dopo aver trovato ascolto nel corso degli anni in ambienti trasversali, ancora oggi, ottiene spazio in significativi movimenti, riviste e giornali.  

LETTERATURA

Piero Boitani, Dieci lezioni sui classici (Il Mulino, pagg. 266, Euro 16,00)

In dieci capitoli, Piero Boitani ci introduce nel mondo degli scrittori e delle opere letterarie della classicità greco-romana. Si parte con l’Iliade e con l’Odissea, non solo perché sono i documenti più antichi della letteratura ellenica, ma perché sono poemi perfetti e, sebbene diversi, pieni di fascino. L’Iliade è il primo classico, segna l’origine della nostra letteratura; scritto nel IX secolo a.C., esso è il poema della guerra, del primo conflitto mondiale: Greci contro Troia. Diversi decenni dopo, un ‘secondo Omero’ compone l’Odissea, il poema del ritorno, il racconto del reduce che, dopo dieci anni di combattimenti, ritorna a casa. Le Storie di Erodoto segnano la nascita della storiografia, col fine di perpetuare la gloria delle imprese ‘grandi e meravigliose’; l’atteggiamento dello storico con Tucidide cambia: nella Guerra del Peloponnesonon c’è intervento divino, le cause degli eventi sono soltanto umane. Il Prometeo incatenato di Eschilo mostra la tragicità della conoscenza e l’Apologia di Socrate, composta dal discepolo Platone, esamina il problema della giustizia e del modo di affrontare la morte. Ci sono l’Eneide di Virgilio, il poema più grande che Roma ci abbia lasciato, e le Metamorfosi di Ovidio. Mentre Virgilio costruisce un monumento alla storia e alla leggenda della città, alla dinastia Giulia – soprattutto ad Augusto -, Ovidio si dedica alla narrazione del mutare delle ‘forme’ in nuovi corpi: un canto che va dal principio del mondo sino ai suoi giorni. La trattazione ovidiana del principio del Cosmo viene dopo precedenti illustri: i presocratici e Platone in filosofia, Esiodo e Lucrezio in poesia. Se, nella Teogonia Esiodo parla degli inizi dell’universo in termini mitici, trova le cause prime nella genesi degli Déi, i presocratici ragionano sui principi in termini di elementi naturali (acqua, aria, fuoco, terra).

RELIGIONE

Renato Del Ponte, La religione dei romani (Arya, pagg. 288, Euro 28,00)

I Romani furono gli autori di un originale, intenso e straordinario rapporto col divino; senza questo, non si potrebbero concepire né la stessa esistenza fisica della città di Roma, né il millenario ciclo della sua civiltà. Un re àugure, Romolo, segna con l’aratro i confini della futura città, compiendo un atto giuridico-religioso; ha inizio la pax deorum, garanzia di protezione da parte delle divinità. La storia dei Romani – quindi quella delle loro istituzioni, prime fra tutte quelle religiose – però, non comincia con la fondazione di Roma. Le avanguardie latine, che si stabilirono nel sito della futura città capitolina fra il IX e l’VIII a.C., avevano dietro di sé una lunga ‘avventura’, una struttura sociale e usi religiosi di grande antichità. La loro lingua conservava il retaggio indoeuropeo; molti termini designavano contemporaneamente espressioni religioso-cultuali e politico-sociali. Tale conservatorismo costituirà un fattore essenziale della religione romana, così come la ‘tripartizione funzionale’, individuabile nei culti, nei riti e sul piano politico. Rispetto alla precedente edizione nuove considerazioni sul tema degli Indigitamenta e un capitolo dedicato alla ricezione nella Gens Iulia dei culti di Venere Ericina e di Vediove.

MUSICA

Claudio Mutti (a cura di), I canti della Guardia di Ferro (Effepi, pagg. 78, Euro 18,00)

All’apparire del Movimento Legionario, il panorama sociale della Romania era caratterizzato da un ceto medio locale esiguo, che viveva a stretto contatto con un mondo agricolo numeroso e povero. La borghesia cittadina, il grande capitale e la ‘classe dirigente’ si identificavano, invece, in gran parte con l’elemento straniero ed ebraico. L’anima nazionale romena, quindi, coincideva con quella del ceto rurale; ed era proprio fra gli agricoltori che il legionarismo trovava il suo seguito naturale. Il nazionalismo romeno non era il prodotto di un’attività filosofica o di una ideologia, bensì una esperienza di vita, duramente vissuta, penetrata nell’animo della comunità come un atteggiamento, più antico del termine ‘nazionalismo’. Questo spirito riviveva nei canti della Guardia di Ferro; inni dedicati a Dio per la vittoria imminente, ai lavoratori, agli eroi della Legione. I legionari, riuniti nel cuib (il nido) come in un tempio, intonavano il Canto dei legionaricaduti e osservavano un minuto di raccoglimento per i martiri e gli eroi della Legione. Il cantare del legionario completa la liturgia; se accompagnato dalla danza, ne accentua il carattere da confraternita iniziatica; infine, ispira la ‘mistica della morte’. Il testo è completato da un CD con i canti della Guardia di Ferro.

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