Inutili dibattiti

Testamento biologico, eutanasia, suicidio assistito: dov'è la politica?

In uno Stato serio, con politici seri si dovrebbe affrontare una vera discussione in proposito. Ma lo stadio della Roma è l'unica materia che appassiona chi va in cerca di voti invece di governare seriamente con qualche idea e qualche valore

di Simonetta  Bartolini

Testamento biologico, eutanasia, suicidio assistito: dov'è la politica?

Eutanasia, suicidio assistito, testamento biologico. Ogni tanto la questione si riaccende fra fautori e contrari, fra libertari assoluti e cattolici osservanti, per il caso di qualcuno che fa della propria vicenda drammatica un caso paradigmatico.

Poi tutto torna nel silenzio della lontananza dalla cronaca!  È accaduto per Eluana Englaro, per Lucio Magri ora per Dj Fabo, domani chissà!

Ma pensiamo veramente che in Italia solo queste poche persone siano ricorse alla fine vita indotta artificialmente? Ovvio che no. Anzi naturale che no. Ma questa è un’altra faccenda sulla quale torneremo in un altro momento, quando avrà un senso parlare seriamente del merito del problema.

Lo sviluppo della medicina, la possibilità offerte dalla ricerca scientifica di prolungare la vita altrimenti spezzata da un incidente o da una malattia ha moltiplicato in maniera esponenziale il numero di coloro sospesi fra una vita piena e il fantasma doloroso, disperante di essa.

È un bene? È un male? Chi può dirlo, senza dubbio rispetto al corso naturale della vita quel che non può essere addotto a argomento è la difesa di quello che i credenti chiamano un dono Signore, già perché chi ci dice che domineddio sia d’accordo sui nostri sforzi di prolungare l’esistenza oltre il suo corso naturale? Chi ci dice che non sia la nostra arroganza di uomini che hanno conquistato e maneggiano la scienza al posto di Dio (le manipolazioni genetiche su tutto siamo proprio sicuri che interpretino la volontà di Dio?) a fare dell’esistenza qualcosa di diverso da quello previsto dall’Altisimo? Ma lasciamo da parte anche questa faccenda perché ci porta nel merito e non è di questo che vogliamo parlare.

Dunque nelle discussioni accese a cui abbiamo assistito in questi giorni si sobo schierati i credenti contro tutti gli altri. Per i credenti vale il principio che all’uomo non è concesso sovrapporre la propria volontà a quella di Dio, eppure esso vale (valeva? dovrebbe valere?) per il matrimonio che contemplava nella celebrazione la formula “non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito. Valeva per l’aborto che interrompe una vita in via di formazione. Eppure divorzio e aborto sono ormai leggi dello stato, rimane ai credenti vedersela con la propria coscienza di fedeli in caso di divorzio o di aborto. E proprio per una questione di coscienza la legge ha introdotto l’obbiezione per quei medici che non se la sentono di praticare un’interruzione di gravidanza. Si potrebbe anche chiamare in campo la dissoluzione della famiglia, altro caposaldo della società, che voglia dirsi civile, “dal dì che nozze tribunali e are diero all’umane belve esser civili” dice Foscolo nei Sepolcri, con l’introduzione delle unioni civili e recentemente con il pronunciamento della Cassazione a favore di due padri che hanno commissionato la prole (due gemelli) a chi poteva fisiologicamente produrglieli.

Per eutanasia, testamento biologico e suicidio assistito la faccenda sembrerebbe diversa, almeno per il legislatore che sembra guardare con timore assai più profondo alla possibile rottura di un altro tabù, quello riguardante il fine vita.

Posto che testamento biologico, eutanasia e suicidio assistito sono tre ordini di problemi assai diversi fra loro e tali e tante sono le diversità da non poterli riunire in un unico problema. Infatti un conto è stabilire che nel caso in cui un individuo si trovi nella malaugurata circostanza di essere rianimato per poi passare il resto dell’esistenza attaccato ad una macchina, questi possa preventivamente stabilire di non voler essere rianimato, un conto è legiferare sulla possibilità dare la dolce morte a chi non ha più speranze di guarigione, altro infine è normare la possibilità di suicidarsi quando lo si ritenga opportuno. Poste queste necessarie e non trascurabili diversità, viene da chiedersi per quale motivo una classe politica che accetta e difende l’aborto, accetta e difende il divorzio, accetta e difende le unioni civili e vorrebbe procedere alla finale e definitiva dissoluzione della famiglia naturale, opponga resistenza di fronte anche al solo testamento biologico.

La risposta, sospettiamo, sta nel calcolo bieco, da contabili attenti alla propria borsa-voti, dell’opportunità di procurare un ulteriore “dispiacere” al Vaticano, senza avere in cambio il pacchetto di voti provenienti da una diffusa opinione pubblica raggruppata in lobby o in genere che sollecita una decisione.

Già perché se si fa una legge sul fine vita chi ti potrebbe essere grato difficilmente potrebbe votarti essendo passato nel mondo dei più, certo c’è la possibilità di fare in vita (e dunque da elettore attivo) il testamento biologico, ma siamo proprio sicuri che il numero di coloro che sono interessati a stabilire di non voler essere tenuti in vita artificialmente, essendo magari in coma, costituiscano un bacino di voti significativo? Non parliamo poi di quanti possono essere coloro che come Lucio Magri desiderano avere la possibilità di porre vita alla propria esistenza considerandola ormai insopportabile a causa per esempio di una profonda e insanabile depressione. Ce lo vedete un depresso che desidera morire andare a votare?  Se sì, significa che non sapete cosa sia la vera depressione, il male di vivere che ti paralizza da quando ti svegli a quando cadi in quella breve morte come Leopardi chiamava il sonno nel Cantico del gallo silvestre.

Per affrontare il problema del fine vita con scienza e coscienza occorrerebbe una classe politica che avesse veramente un’etica profonda del proprio mandato, tale da contemplare l’impegno a favore o contro in base a valori ineludibili, assoluti, seri.

Va detto che attualmente gli unici politici rispettabili sotto questo punto di vista sono i Radicali. Marco Cappato, che crede nella necessità di una legge che renda libero e magari gratuito il suicidio assistito è disposto ad andare in galera per aver aiutato Dj Fabo a togliersi la vita, altri radicali si sono fatti arrestare e processare per essersi autodenunciati per la coltivazione di piante di marjuana, o per diffusione gratuita per strada di spinelli.

Sono battaglie che personalmente non condivido, che avverserei con tutte le mie forze, ma che apprezzo perché dimostrano il tentativo di fare politica in nome di un’idea (sbagliata, certo, ma è la loro e hanno diritto di battersi per cercare di affermarla, come chi non la condivide ha il diritto di opporvisi), di un valore, di una concezione dello Stato che prescinde dalla popolarità presso l’elettorato.

E questo è dimostrato dal fatto che la battaglia per il divorzio, o quella per l’aborto che hanno visti per primi in prima fila i radicali non ha portato loro il consenso di voti che la vittoria del referendum in proposito avrebbe potuto far immaginare. In compenso il fatturato politico della sinistra si è accresciuto quando essa è scesa in piazza per fare quella battaglia, ma la sinistra è scesa in piazza per quella battaglia solo quando ha realizzato che avrebbe portato un buon bottino di consenso.

Il caso di cui sono state piene le cronache dei giornali in questi giorni è dunque solo un’ennesima prova della disperante degradazione e sostanziale inutilità della politica, senza valori senza principi, senza una vera idea dello Stato.

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