FIRENZE: teatro della Toscana.

ROMEO E GIULIETTA: una lettura mozzafiato

Al teatro della Pergola una edizione molto particolare del capolavoro shakespeariano. Regia di Andrea Baracco, protagonisti Lucia Lavia, Antonio Folletto, Alessandro Preziosi.

di Domenico Del Nero

All’inizio è un pugno nello stomaco. Viene il sospetto e il timore che sia uno di quegli spettacoli in cui la parola d’ordine è attualizzare, il che significa sovente violentare e devastare.

Un consiglio, dunque: non giudicare per i primi dieci minuti. Anche perché, molto presto, si fa strada la convinzione di trovarsi di fronte a qualcosa di semplicemente straordinario.

Che cosa dà la dimensione di una messa in scena davvero riuscita? Quando si ha la sensazione che in realtà si sia rimasti molto più fedeli all’autore di tante versioni più “filologiche”,  con tanto di pizzi, merletti, sospiri e … sbadigli. Anche perché quella del regista Andrea Baracco, che ha usato la bellissima traduzione di Salvatore Quasimodo, non è esattamente una attualizzazione, ma se mai una collocazione atemporale.  Una di  quelle opere che non appartengono solo alla loro epoca, ma a ogni tempo e all’eternità.

Nel Giulietta e Romeo in scena in questi giorni alla Pergola di Firenze -Teatro della Toscana (una produzione di Alessandro Preziosi, Tommaso Mattei e Aldo Allegrini, in coproduzione con KHORA.Teatro e TSA Teatro Stabile d’Abruzzo)  c’è davvero Lui. C’è Shakespeare che ci ricorda che la sua era una poetica forte, d’impatto, che toglieva il fiato: che rappresentava le passioni  lasciando da parte le unità aristoteliche e senza esitare, vero Dante britanno, a mescolare le espressioni più tenere e sublimi con quelle più dure, volgari, proprio da slang; alla faccia di tutte le svenevolezze petrarchesche e peggio ancora petrarchiste. Con una durezza che sapeva veramente colpire al cuore, allora come oggi.

Congratulazioni allora ad Andrea Baracco, che ha dato allo spettacolo un taglio estremamente “mozzafiato”, veloce e dinamico ma senza  eccessi o sbavature. Di grande effetto, nella prima parte, gli attori che scendono in platea, le loro voci che sembrano veramente “salire” sul palcoscenico, il loro interagire con il  pubblico con qualche leggero tocco meta teatrale, anche questo sempre nel modo e al momento giusto. Uno spettacolo che ha il passo veloce e crudele della modernità, ma che era quello previsto già da Shakespeare stesso, il quale aveva accelerato vorticosamente il ritmo dell’azione in appena quattro giorni: “Questo è un testo corale, in cui tutti gli elementi fanno parte di un grande ingranaggio. Tutto accade in quattro giorni e gli eventi precipitano: si apre il sipario con Giulietta che è una sorte di bambola incipiente sottoposta al comando dei propri genitori e Romeo invece è un ragazzino imbevuto di amor cortese (…) Dal momento che si incontrano avviene una rivoluzione: Giulietta diventa una femmina passionale, quasi rivoluzionaria più che ribelle (…)e Romeo assurge al ruolo di vendicatore. In pochi giorni non solo gli eventi che costruiscono il plot, ma proprio i personaggi in sé vivono una vera rivoluzione che porta la situazione complessiva a degenerare in maniera assolutamente imprevedibile e fulminea”  dichiara il regista e in effetti non si potrebbe sintetizzare in modo migliore lo spettacolo e lo spirito “feroce” che lo anima.  Una dimensione “corale”, anzitutto: Baracco vuole davvero portare alla luce l’animo dei personaggi e le loro motivazioni spesso meschine, e riesce in maniera straordinaria a creare la contrapposizione di due blocchi opposti, “i vecchi e i giovani”:  le famiglie rivali, i Capuleti e i Montecchi, con lo spirito mercantesco e pragmatico del “borghese” che vuole la propria affermazione sociale anche a costo della infelicità dei propri figli; e dall’altra loro, i due ragazzi, che vogliono invece sottrarsi a quella logica a costo della loro stessa vita.

Uno “scontro di generazioni” dunque, una lettura che veramente porta alla luce tutti i temi di un testo che va ben oltre la storia d’amore: il potere, il denaro (bellissima la battuta di Romeo quando acquista il veleno con cui si suiciderà da uno speziale fallito, dicendogli che il vero veleno è l’oro con cui egli compra il suo fallimento)  e il tentativo di trovare un qualcosa che li superi o quantomeno ne contenga gli effetti pestilenziali.  La forza nuda di questa interpretazione è sottolineata anche dalle scene di Marta Crisolini Malatesta:  due “cubi” in ferro e plexiglass,  tetri e quasi spettrali (che possono anche ricordare vagamente le case – torri medievali) e che rappresentano le dimore dei Capuleti e Montecchi, i cui nomi sono “graffitati” sulle superfici trasparenti da un pennarello rosso; lo stesso che utilizza Giulietta per scrivere sulla parere della sua “camera”  le fasi della sua rapida trasformazione. Graffiti dunque, come arte da strada …

I costumi di Irene Monti contaminano insieme, in modo provocatorio ma efficace, tradizione e modernità: se Romeo sembra più un ragazzo da discoteca che un giovane e raffinato damerino (cosa che poi non è affatto ) la gorgiera del principe di Verona dà un elegante tocco d’epoca; bello il chiaroscuro di luci Piero Sperduti, mentre il commento musicale di Giacomo Vezzani alterna citazioni di De Andrè a musica da discoteca allo Stabat Mater.

Infine, la compagnia.  Bisognerebbe parlare dettagliatamente di tutto il cast, di come ciascun attore riesca a dare del suo personaggio una lettura viva, appassionata, convincente e soprattutto fuori da ogni stereotipo;ad esempio il frate Lorenzo di Gabriele Portoghese, un dandy  narcisista che sembra veramente più un prete dei nostri giorni che non un pio frate medievale, o la balia di Elisa di Eusanio, personaggio forte e incisivo, più mezzana e maitresse che saggia consigliera.

Ma  il vertice è toccato sicuramente dai due protagonisti e da Mercuzio: “un grande poeta delle emozioni” lo definisce il regista, e un grande Alessandro Preziosi è perfetto in questo ruolo: straordinario affabulatore, riesce a passare dalla gioia estrema al più profondo sconforto, con cambi di registro improvvisi e repentini, sorta di fool shakespeariano che domina lo scena con il suo disprezzo dell’amore o i suoi atteggiamenti di un cameratismo goliardico ai limiti del morboso.

La Giulietta di Lucia Lavia è un personaggio straordinariamente vivo e drammatico: donna innamorata ben più che ingenua fanciulla “ha una furia dentro di sé che ribolle in continuazione”( Baracco). L’attrice rende con una forza straordinaria il rapido passaggio della giovane dalla docilità e spensieratezza giovanile a una fredda e risoluta determinazione.   Per quanto riguarda il Romeo di Antonio Folletto, la  sua caratteristica secondo il regista è “quella di essere un ragazzo metropolitano: nonostante appartenga a una famiglia ricca, vive in strada, con tutte le sue contraddizioni”. Senza dubbio e c’è da aggiungere che Folletto dà al suo personaggio una caratterizzazione straordinariamente “adolescenziale”: sognatore e impetuoso, con repentini passaggi dall’esaltazione alla malinconia, il suo Romeo è  veramente la personificazione di una giovinezza alla ricerca, spesso  - e soprattutto oggi – disperata di un senso per la propria vita.

Poi … si può non essere d’accordo su alcuni dettagli e non apprezzare determinati particolari. Ma alla fine l’effetto è quello di uno spettacolo che non si dimenticherà facilmente: come il bellissimo, struggente finale, fatto di muti sguardi prima del suicidio e di una ultima  - anacronistica quanto si vuole, ma suggestiva – sigaretta fumata insieme. L’ultimo guizzo di luce prima del buio che cala pesante come una mazzata sul palcoscenico.

Teatro esaurito, applausi entusiasti.  Come direbbe forse frate Lorenzo, perdere questo spettacolo sarebbe un vero peccato!

Prossime repliche: 9,10,11 febbraio ( ore 20,45); 12 febbraio (15,45)

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