dal nostro corrispondente

Indagine PISA: la scuola pubblica francese in caduta libera

Non c'è solo la scuola italiana ad essere in crisi, anzi ...ma non diciamolo ai nostri ministri, che potrebbero impegnarsi per fare danni ancora peggiori!

di Luca  Costa

Indagine PISA: la scuola pubblica francese in caduta libera

Eppure era il paese delle lumières,il paese della cultura per eccellenza, dove tutti i grandi della terra sognavano un tempo di far studiare i propri figli.


Eppure anche quest’anno i risultati dell’indagine PISA e le classifiche internazionali non hanno avuto pietà: la scuola francese va a rotoli, un disastro.


La mediocrità degli studenti della République ormai non fa più notizia: gravemente insufficienti in ortografia, il nulla in storia, le nozioni più elementari di geografia rimpiazzate da sermoni politicamente corretti sulle energie rinnovabili, incapacità di compiere i più semplici calcoli mentali in matematica, etc.


Che cosa è successo? Che cosa è cambiato?

Semplice, in nome dell’égalitési è abbassato il livello di qualità per distribuire diplomi a sempre più studenti. Sopprimendo ogni criterio di meritocrazia la politica ha convinto le famiglie (non esenti da colpe) che il mero conseguimento di un diploma e una rigorosa trasmissione del sapere sono in fondo la stessa cosa.

Si ingrassano le statistiche. Un governo dopo l’altro, il ministro di turno annuncia orweillianamente che ormai il 90% dei ragazzi ottiene la maturità, facendo di questo dato la dimostrazione che le cose funzionano.

Mark Twain aveva ragione, esistono tre tipi di menzogne in politica: le menzogne, le grandi menzogne, e le statistiche. I giovani francesi non sono certo diventati più intelligenti negli ultimi decenni e il fatto che arrivino in numero sempre maggiore alla maturità significa semplicemente che il livello è crollato.


Si è soffocato il merito in nome di un cieco ed ideologico egalitarismo, buono soltanto a lavare la “coscienza" di élites di sinistra che in ogni caso iscrivono i loro figli in scuole di eccellenza, private, o si assicurano in maniera non proprio trasparente un posto al liceo Henry IV a Parigi per i loro rampolli.

Da quarant’anni, pedagoghi, sociologi e psicologi di sinistra, imbevuti delle ideologie liberal-progressiste made in USA hanno minato, una riforma dopo l’altra, il grande edificio della scuola di Jules Ferry. Quella scuola della Terza Repubblica che era un vero motore di uguaglianza e democrazia proprio perché scuola pubblica gratuita e laica ma soprattutto difficile ed estremamente meritocratica.

Potevi essere ricco o povero, nobile o proletario, celebre o sconosciuto, se volevi il diploma dovevi lavorare e lavorare sodo.

Scuola elementare, medie, liceo, non è rimasto più niente, niente si è salvato dal nulla ideologico della sinistra post-68 e dalla cronica incapacità di reagire delle destre liberali, che in maniera troppo condiscendente e vigliacca hanno rinunciato a lottare per difendere la scuola pubblica dalla furia sinistroide.


Una sinistra che ha fatto tabula rasa della trasmissione del sapere, del passato, delle tradizioni, delle radici, del romanzo nazionale, impegnata sempre e solo a fare l’homme nouveau, a convincere i giovani che ogni giorno è sempre e comunque il giorno zero della storia. La Storia in marcia. Una sinistra che ha convinto i francesi che i giovani non devono imparare, bensì imparare a imparare, che bisogna mettere l’alunno al centro del suo percorso di apprendimento, che bisogna lavorare in gruppi, andare su internet, studiare sui tablet, educare alla religione dei diritti umani e al rispetto delle minoranze, al vivere insieme, a riciclare e via dicendo. Questa è la litania che si ascolta ogni giorno nei corridoi.


Chi non è d’accordo è un retrogrado, un reazionario, un fascista, non si sprecano le etichette per colui che alza il dito per protestare contro questo disastro: “nessuna libertà per i nemici della libertà” come dicono a sinistra dalla Révolution in poi.

Intanto nelle classifiche internazionali brillano i paesi dell’estremo oriente (Singapore e Giappone su tutti) dove duro lavoro quotidiano e disciplina ferrea sono regole inderogabili nelle aule scolastiche. Come fanno? Facile, in quei paesi non c’è immigrazione, e non ci sono sermoni ideologici né indottrinamenti quotidiani in seno alla scuola perché in quei paesi lo Stato è ancora il volto istituzionale della nazione. Perché quei paesi hanno una direzione, un futuro, un destino. Perché sono dei popoli che non hanno scordato che a scuola si forma, si fa vivere e sopravvivere un popolo ancora prima che un individuo.

In quei paesi non si discute l’autorità assoluta del professore, non si mettono in discussione i programmi in nome delle sure del Corano.

In quei paesi si impara a memoria, si lavora sodo a casa ma soprattutto tutti hanno chiaro che la scuola è una, e forse la sola, vera occasione per costruirsi un futuro migliore.


Un possibile giro di boa per la scuola francese?

Due soluzioni possibili: una è l’autonomia assoluta degli istituti scolastici come nel mondo anglosassone, l’altra è avere coraggio e fare fuoco senza pietà sul vespaio dei pedagoghi (apparentemente irremovibili) che infettano i piani alti del ministero della pubblica istruzione.


La più grande e più celebre studiosa della Grecia antica, nonché per anni insegnante nella scuola pubblica, Jacqueline de Romilly nel suo testamento ideologico, il bellissimo Ce que je crois, ha trovato le parole, una formula perfetta per trasmettere il disastro operato sulla scuola da mezzo secolo di ideologia sessantottina:

"Ho avuto una grande passione, la mia professione di insegnante, ma dopo il ’68 i politici me l’hanno rovinata tra le mani, a colpi di riforme."



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