Editoriale

La destra e la cultura: una divergenza mai sanata

La “destra” in Italia si è sempre rivelata essere la peggior nemica di se stessa e soprattutto della Cultura

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

o lo spunto dall’intervista rilasciata da Pietrangelo Buttafuoco a Maurizio Caverzan de La Verità qualche giorno fa. Dice l’ottimo Pietrangelo: «La destra al governo è stata una disgrazia. Come conferma il progetto culturale delle tre I: Internet, Inglese, Impresa. Se non ricordo male fu proprio la destra a eliminare dai licei l’insegnamento della storia dell’arte e della musica».

E su questa cosa non posso che essere d’accordo. Il motivo è un vecchio ritornello in effetti, la “destra” in Italia si è sempre rivelata essere la peggior nemica di se stessa e soprattutto della Cultura – anche di quella che ad essa dovrebbe far riferimento -, e a nulla servono adesso alcuni stenti e inadatti tentativi di recuperare il tempo perso dopo che si sono create generazioni di vuoto culturale. Perché? Perché in realtà la parola Cultura in certi ambienti politici è sempre stata considerata un fastidio, lo era nel vecchio MSI, lo è stato ancor più nella nuova e poco duratura AN, per tacere di tutte le altre strutture nate in seguito dalla diaspora di Alleanza Nazionale.

L’attuale destra è priva di basi culturali, vere, solide, e dunque non mi riferisco di certo al continuo rifarsi al “quando c’era Lui” o agli anni Settanta e altri refrain ormai di rito e come tali divenuti obsoleti. Andiamo sul concreto, tanto tenere dotti simposi su cosa dovrebbe essere una visione culturale di destra – dunque un moto trascendente e formativo dello spirito – sarebbe cosa troppo ostica per molti, prendendo ad esempio quella che sarebbe stata un’eccellente operazione culturale – non nostalgica, ma di testimonianza futura – data dalla mostra sul settantennale del MSI attualmente in corso a Roma proprio in via della Scrofa.

Mi chiedo, per esempio, sanno gli attuali dirigenti della Fondazione di occupare spazi fisici di antico e nobile lignaggio che risalgono alla Roma del Cinque e del Seicento? Sanno che quel palazzo ha visto passare tra i tanti spiriti magni, Caravaggio e Bernini? Perché già da questo si potrebbe cominciare a fare Cultura.

Ma torniamo a noi.

La mostra voluta ideata e cesellata da Marcello Veneziani, Giuseppe Parlato con la collaborazione ineccepibile di Simonetta Bartolini e di Mauro Mazza, sarebbe stata una grande occasione per poter parlare non soltanto “a noi” appunto, ma anche e soprattutto a chi non ha conosciuto quella storia. Lo stesso scrivente, essendo nato nel 1963 ne ignora una buona parte, di là dai personali interessi che mi fanno prediligere altri periodi storici e come me tanti altri venuti al mondo quando i giochi erano già stati tutti fatti e dunque senza aver mai vissuto certi “anni ruggenti”.

La mostra vanta un apparato documentaristico, d’immagini e reperti originali assolutamente straordinario e di prim’ordine e un ottimo catalogo che funge da guida alternativa e al tempo stesso fedele all’esposizione. Allora perché, a mio immodestissimo avviso, la Fondazione An ha mancato un’occasione e un obiettivo culturale? Non soltanto perché l’esposizione si rivela avere il piede d’argilla dell’autoreferenzialità, ma dimostra ancora una volta come una simile raccolta di eccellenti documenti d’epoca venga vanificata da un’adeguata applicazione della “comunicazione visiva”. Il “difetto” è quello antico della mancanza di una “corporate identity” – mi spiace dover usare l’inglese, ma la terminologia riguardante la comunicazione in Italia è totalmente in mano anglofila – e quindi di un’”immagine coordinata” che se sommata a una quasi totale assenza di adeguata campagna di comunicazione fa il resto. Questo perché è tipico, ancora oggi, e con rammarico lo noto in un gruppo come la Fondazione An non certo privo di mezzi economici, ma soprattutto avente un parterre di intellettuali di alto profilo, come Veneziani, de Turris, Bizzarri, Malgieri e altri ancora non  abbia compreso simili defaiances.

Finché non si comprenderà che avere un sito – abbandonato a se stesso – una mostra che non arriva, produrre un’assenza pressochè totale e nessun peso sul panorama della Cultura in Italia è non soltanto inutile ma deleterio, bisogna rassegnarsi al vuoto che incombe; finché non si smetterà di ragionare con i paraocchi ormai logori e vecchi di quarant’anni e quindi si vorrà cominciare ad agire in maniera professionale ed efficacemente incisiva, non vi sarà mai un recupero culturale efficace della destra e dovremo sempre assistere ogni giorno di più a un pauroso declino che lascerà non più rovine ma soltanto il desolato nulla.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da Domenico del Nero il 23/11/2016 23:59:16

    Vecchia storia, caro collega! Vecchia, ma sempre dolorosamente valida. Anche perchè, più che uomini di cultura, la destra ha avuto qualche intellettuale stitico che ai tempi di AN ha semplicemente cercato qualche misera prebenda e stop. Io ricordo bene i tempi del MSI; con tutti i suoi limiti (che non erano certo pochi) foclorismi e nostalgismi vari, c'erano però fermenti, minoranze magari "eretiche" ma vivaci, persino qualche rivista ... insomma, fermento c'era. Poi con il potere il deserto, e far fiorire il deserto è impresa titanica e ciclopica. Ma l''importante è non disperare, solo con certa cente non si andrà mai da nessuna parte.

  • Inserito da ghorio il 23/11/2016 20:46:30

    L'editoriale di Dalmazio Frau mi spinge a scrivere, dopo un lungo silenzio, anche se leggo sempre questo ottimo sito. Infatti condivido le argomentazioni dell'articolista, anche se non " c'è niente di nuovo sotto il sole". La destra politica infatti ha sempre guardato con idiosincrasia alla cultura. Una volta mi ricordo di aver letto, mi pare su" Italia Settimanale", un articolo di Renato Besana dove si affermava che il filosofo Rosario Assunto valeva 100 Gramsci.In realtà anche sulla stampa di area non ho mai letto niente di Assunto negli ultimi vent'anni. Ricordo che scriveva elzeviri su"Il Tempo" di Roma, allora grande giornale con diffusione rilevante. Non ho mai militato in un partito di destra , ma mi sono "cibato" di giornali di quest'area, dove ho registrato spesso , in tanti commenti, che mentre a sinistra si fanno ponti d'oro per avere "le firme" autorevoli, anche se hanno 100 anni, a destra tante grandi firme non hanno e non trovano spazi e passano nel dimenticatoio. Perfino i grandi giornalisti del passato vengono dimenticati, anche in occasione di anniversari. Cito in questo caso Giovanni Artieri, grande inviato speciale, ed Enrico Mattei, grande giornalista, editorialista e corsivista. I loro anniversari sono stati ignorati . Proprio su Mattei, in occasione dell'alluvione di Firenze,allora ero giovanissimo, ricordo un numero speciale de"La Nazione" di cui era direttore, che mi pare venne stampato nella tipografia de"Il Resto del Carlino" , altro giornale del gruppo Monti, allora diretto da Giovanni Spadolini.Quindi l'intervista di Buttafuoco conferma la situazione catastrofica della destra politica verso la cultura di area. Ho citato "Italia Settimanale", un periodico che manca nell'editoria di destra e proprio il bravo Marcello Veneziani venne defenestrato. Non è mai troppo tardi per riparare , ma occorre anche che i cosiddetti intellettuali di destra vadano d'accordo, perché spesso si registrano persone che"irati ai patri numi" si ritirano sotto le tende come Achille, anche se questo eroe è poi ritornato sul campo per difendere la morte dell'amico Patroclo. A suo tempo anche su questo sito si era scritto molto di" un ritorno ad Itaca", ma poi non mi pare che ci sia stata la svolta auspicata. Il mio naturalmente è un piccolo sfogo di lettore un po' controcorrente ,in una nazione dove il "politicamente corretto" è troppo di moda, anche nel giornalismo. Basta andare a leggere i corsivi e i controcorrenti dei vari Montanelli, Mattei e fare tesoro di tutte quelle polemiche che campeggiavano sui giornali, tra gli anni 60 e gli inizi degli anni 90. Nell'area di centrodestra per essere espliciti manca un settimanale. Nella suo sito Veneziani ha fatto una domanda sul ritorno di" Italia Settimanale" , ma le risposte di politici e imprenditori di area non sono arrivate sinora. C'è da sperare che qualcosa cambi. Giovanni Attinà

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