Opera di Firenze

BOHEME: la favola triste di Puccini entusiasma il pubblico fiorentino.

Ancora un grande spettacolo nella stagione autunnale di un teatro che.... non sbaglia una nota.

di Domenico Del Nero

BOHEME: la favola triste di Puccini entusiasma il pubblico fiorentino.

Foto Pietro Paolini

Un teatro veramente colmo in ogni ordine di posti, uno spettacolo che ha davvero riscaldato ed entusiasmato il pubblico: la Bohème in scena al teatro dell’Opera di Firenze ha fatto veramente centro. L’opera di Puccini , tenera e struggente, ma anche animata da  un vago senso di effimera gaiezza, può veramente definirsi “decadente” nel senso migliore del termine:   il sentore di innocenza e  di  mistero, come dirà splendidamente Pascoli  (non a caso sovente accostato a Puccini e come lui per molto tempo  frainteso) nella Digitale Purpurea.

Nel grande musicista lucchese – è ben noto – Eros e Thanatos  sono sempre strettamente intrecciati.  E in quest’opera lo sono davvero sin dall’inizio, dal mancamento iniziale di Mimì nel primo atto, che  la dichiara per l’appunto malata, eppure non per questo meno affascinante. [1]

Tornando però allo spettacolo fiorentino,non c’è dubbio che queste atmosfere siano nettamente emerse, dando  vita a uno spettacolo che, a parte quale leggera incertezza e scollatura  destinate quasi sicuramente a sparire nelle repliche, è apparso fin dalle  prime battute molto ben calibrato.  Anzitutto, la direzione d’orchestra: Daniel Oren è senz’altro un veterano della bacchetta e  Bohéme  uno dei suoi cavalli di battaglia.  Oren ha dato una lettura per certi versi intimistica, ricca di colori e di sottolineature, ma senza forzare i toni, a parte qualche impennata e sempre al momento opportuno. Il capolavoro pucciniano presenza una strumentazione molto raffinata e complessa; Oren è riuscito benissimo a evocare le diverse situazioni e atmosfere, da quella”scapigliata” e romantica del primo atto al bellissimo quadro parigino dell’inizio del secondo, sottolineando ed evocando ogni figura; grazie anche all’ottima prestazione non solo degli interpreti (e dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, naturalmente)  ma anche del coro, anzi dei cori vista la presenza in scena delle voci bianche, che hanno avuto in questa occasione il loro felice debutto sul palcoscenico;  sino all’ultimo atto,  con i richiami tematici agli atti precedenti (soprattutto il primo)  che brillano come vere e proprie scintille del ricordo.

Di ottimo livello il cast degli interpreti. Come è noto, la vocalità di Puccini – e quella di Bohème in particolare – è  profondamente diversa da quella “verista”, non procede per sbalzi  ma si basa su  melodie costruite per gradi congiunti, o piccoli intervalli.  Rodolfo è poi sicuramente molto diverso da un Cavaradossi  o da un Calaf, così come Mimì è lontana dalla vocalità di soprano drammatico di Tosca; entrambi  i protagonisti possono ascriversi alla categoria del “lirico puro”.  Quello di Bohéme è stato definito  un “canto di conversazione” che quindi privilegia una tessitura e una scrittura “centralizzante”.

Il tenore Fabio Sartori ha dimostrato una notevole potenza di emissione, m anche una voce ben  modulata e a tratti raffinata,  abile nelle colorature e non solo negli acuti ma nel”centro” della voce e nel declamato: molto apprezzato dal pubblico (a parte qualche ipercritico da foyer) che gli ha tributato una vera e propria ovazione, così come alla Mimì del soprano Jessica Nuccio: aggraziata e delicata,  dotata di ottima tecnica e capace di reggere il confronto con  Sartori, dimostrando una notevole agilità e potenza anche negli acuti.

Il  Marcello di Simone Piazzola si è dimostrato un po’ incerto nelle prime battute ma in seguito ha saputo interpretare il ruolo con discreta abilità e passione, anche se forse un po’ discontinuo da un punto di vista vocale.  La Musetta di Alessandra  Marianelli è stata simpaticamente “sfacciata”, dotata di una voce e squillante e bene impostata, che rendeva perfettamente il personaggio;  molto convincente anche il Colline di Gianluca Buratto, dotato di una voce calda e piena,  che ha rivelato soprattutto nell’aria del quarto quadro Vecchia Zimarra, cantata con struggente dolcezze malinconia.  Eccellente poi la presenza scenica di tutti gli interpreti, che si sono mossi con grande abilità,  evidenziando benissimo anche con la recitazione l’alternarsi di scene comiche, malinconiche e tragiche che caratterizza in modo quasi unico questo capolavoro.

La regia: si tratta di un allestimento ormai collaudato ma che non convince del tutto, soprattutto negli atti “della soffitta”: quella specie di ponteggio edilizio che rimane sulla scena per  i quattro quadri fa perdere la poesia dei tetti parigini, ma anche l’atmosfera intimistica della soffitta, mentre apparire molto più funzionale nel secondo quadro. Molto belli , coloriti e “intonati” invece i costumi di William Orlandi. Uno spettacolo decisamente da non perdere, un grande evento di una stagione che fino a questo momento  è andata oltre le  migliori aspettative: grandi produzioni degne di un grande teatro.

Repliche:

Sab 19 novembre, ore 20:00
Dom 20 novembre, ore 15:30
Mar 22 novembre, ore 20:00
Mer 23 novembre, ore 20:00
Sab 26 novembre, ore 20:00
Dom 27 novembre, ore 15:30



[1] Per la presentazione dello spettacolo cfr. http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=8571&categoria=1&sezione=8&rubrica=

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