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È morto Dario Fo, non meritò il Nobel, ma era una vero giullare alla maniera medioevale

Le motivazioni dell'assegnazione del premio di Stoccolma erano corrette ma estranee al valore letterario, come quasi sempre, putroppo

di Simonetta  Bartolini

È morto Dario Fo, non meritò il Nobel, ma era una vero giullare alla maniera medioevale

È morto a 90 anni Dario Fo, attore e drammaturgo, regista, scrittore, Nobel per la Letteratura nel 1997 ma anche pittore, scenografo e impegnato attivista soprattutto nella politica di quelli che piacciono alla gente che piace. Dario Fo è morto questa mattina all'ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato da alcuni giorni. Da circa due settimane soffriva di forti dolori alla schiena. Secondo le prime informazioni, non ancora confermate, sarebbe stato ricoverato per una serie di complicazioni polmonari. La moglie, l'attrice Franca Rame, è morta a 84 anni nel maggio del 2013 nella loro abitazione di Porta Romana a Milano

L’attore si è spento proprio nel giorno in cui verrà assegnato il Nobel per la letteratura e se questi fossero tempi rispettabili (nel senso della cultura, dell’equilibrio fra quel che è giusto e quel che non lo è, di una visione etica dell’estetica e del potere) si potrebbe riflettere sulla coincidenza.

Fo ebbe uno dei Nobel più immeritati e squinternati dal punto di vista delle motivazioni rispetto alla linea sempre tenuta dall’accademia di Stoccolma, la quale, peraltro, solo in rarissimi casi, tanto rari da far pensare che siano stati fortunati abbagli, ha premiato il valore letterario, preferendo seguire logiche dettate dalla geopolitica, sottomettendosi ad una assurda alternanza fra paesi a prescindere dalla capacità di ciascuno di produrre letteratura.

Non possiamo garantirlo per la ovvia impossibilità di predire il futuro, ma siamo quasi certi che solo pochissimi fra i Nobel della letteratura resisteranno al vaglio del Tempo, che spesso in queste cose è galantuomo, soprattutto quando si tratta di ristabilire la differenza fa fama e valore, fra celebrità politicamente corretta legata alle mode del momento e qualità imperitura (si chiama valore universale dell’arte, ovvero capacità di parlare a tutti e in ogni tempo).

Dario Fo fu premiato «perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi». Una motivazione che sembrava uscita da un film di cappa e spada ispirato a Walter Scott, e come tale con un fondo di verità, interessante e significativo, per quanto estraneo all’idea del Nobel che vorremmo venisse applicata.

È vero che Dario Fo aveva scelto la strada del denunciar ridendo alla maniera dei buffoni di corte, ma chi erano i buffoni di corte? Giullari, che il signore manteneva, anche con una certa larghezza di mezzi, pagati per far ridere e poiché per fare della comicità si deve intaccare lo statuto convenzionale della realtà, essa è l’acido che corrode la vernice dorata che falsifica un metallo ignobile, e svela la vera essenza della materia denunciando l’imbroglio (lo scrive Guareschi che a Fo non aveva niente da invidiare quanto a comicità e umorismo di denuncia, ma che al posto del Nobel ebbe il carcere).

Uno dei celebri giullari della letteratura è stato Wamba (tanto che Luigi Bertelli, autore del Giornalino di Giamburrasca usò la versione italianizzata in Vamba come nom de plume) del romanzo Ivanhoe di Walter Scott, figura di servitore devoto al padrone, che, in parte in sua vece, morde con le parole caustiche sapientemente abbigliate dall’abito della comicità gli ospiti sgraditi presenti a corte, dice quel che il padrone non può dire per le ragioni della diplomazia, ricevendone finti rimbrotti e vere monete in nome della libertà del buffone di dire quello che vuole.

Dunque il giullare ha un padrone (che forse ama, forse no) al quale offre la sua capacità in cambio della giusta mercede, gode dell’immunità e sa di non rischiare.

È giusto che sia così. Anche San Francesco, che si proclamava Giullare di Dio, aveva un padrone, l’Onnipotente; lui sì, restituiva dignità agli oppressi o meglio ai poveri, ai diseredati, a coloro che la sorte aveva messo in ginocchio, e anche lui ebbe la sua giusta mercede: il riconoscimento della santità (la moneta con cui si compensano gli uomini, si sa, varia da uomo a uomo).

A questo punto è lecito chiedersi che ruolo ha la letteratura in tutto questo? e perché dare a Fo il Nobel della letteratura?

Adesso ci sorbiremo giorni e giorni di omaggi commossi, partecipati, acritici, enfatici nei confronti dell’autore del Mistero buffo, e ancora una volta c’è da riflettere, perché questo è veramente un mistero buffo!

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Mario il 13/10/2016 15:32:51

    Ma cazzo dici, un po' di decenza

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