Opera di Firenze - Solo Belcanto

Rosmonda: una rinascita a furor di pubblico

L’opera dimenticata di Donizetti entusiasma il pubblico fiorentino. Ottimo il cast, spettacolari la Mei e la Pratt.

di Domenico Del Nero

Rosmonda: una rinascita a furor di pubblico

Già dal primo atto, si comprende che gli applausi sono quelli dei grandi successi. Eppure l’opera era davvero una scommessa: Rosmonda d’Inghilterra, nata alla Pergola di Firenze il 26 febbraio 1834, non ebbe certo un grande successo, anche se l’autore cercava di rassicurare Ricordi dicendogli che alle repliche il consenso cresceva sempre di più. Pietosa bugia forse, se è vero che l’unica ripresa che si conosce è quella di Livorno del 1845.  In età moderna vi è stata una isolata riscoperta inglese nel 1975 e qualche sporadica esecuzione con un paio di incisioni discografiche, ma l’esecuzione di domenica pomeriggio aveva una particolarità: si trattava della prima esecuzione mondiale della revisione basata sull’autografo donizettiano, effettuata da Alberto Sonzogni.

Una ripresa fortemente voluta dal  teatro fiorentino, in particolare del coordinatore artistico del teatro dell’Opera di Firenze  Pierangelo Conte e dal direttore artistico del festival  solo Belcanto Giovanni Vitali,  realizzata in collaborazione con la Fondazione Donizetti di Bergamo. L’allestimento fiorentino è in forma di concerto, ma a Bergamo l’opera ritroverà anche la veste scenica.

La mancanza della scenografia si fa certo un po’ sentire in un’opera, ma tanto era l’incanto e lo stupore di questa esecuzione che non so è sentita più di tanto. Merito certo di un cast davvero di prim’ordine, che pur trovandosi alla prese di un’opera sconosciuta non ha avuto esitazioni o incertezze ed è riuscito comunque, anche con il solo canto, a caratterizzare i propri personaggi.  Ma se dal cast, come vedremo, c’era da aspettarselo, la vera rivelazione è stata proprio lei, l’opera.

Nella conferenza stampa di presentazione, sia  Conte che le due grandi soprano, Eva Mei e Jessica Pratt, avevano avvertito che ci trovavamo difronte a un’opera di grande valore. Non si trattava di una di quelle opere donizettiane (e certo ce ne sono, come avviene un po’ per tutti gli autori  grandi ma …prolifici) che era bene restassero nel cassetto; anzi per certi aspetti c’è da stupirsi che ci sia finita.

Il testo è di un maestro della librettistica italiana, Felice Romani, collaboratore per eccellenza di Bellini ma che lavorò anche per Rossini e Donizetti. Anzi, questa Rosmonda, secondo un costume comunissimo all’epoca, era già stata musicata 5 anni prima da Carlo Coccia;  del resto il soggetto ebbe una discreta fortuna sulle scene, musicali e non. Non c’è da stupirsene: la vicenda, romantica con atmosfere gotico-medievali, era fatta per sedurre il pubblico di allora (e non solo di allora, in fondo!) [1]

Eppure, la critica non è stata benevola con quest’opera, per quel poco che se n’è occupata.  Il recensore della prima fiorentina del 1834 lamentava che l’opera “fosse una fila di Cavatine e Duetti, Duetti e Cavatine”[2], oltre che uno squilibrio tra il primo e il secondo atto, che avrebbe raffreddato l’entusiasmo del pubblico; secondo altri più moderni invece l’opera mostrerebbe un affievolirsi della energie creativa del musicista e una scarsa caratterizzazione psicologico – musicale dei personaggi. [3]

Per quanto riguarda la prima osservazione,  come fa notare anche  Giorgio Pagannone, che ha dato una concisa ma eccellente analisi dell’opera, è del tutto discutibile che essa sia un difetto.  Tra l’altro l’opera presenta anche una pregevole sinfonia, alcuni cori di cortigiani che contribuiscono al colore d’epoca e un magnifico concertato nel finale primo. Una aspetto notevole è poi il fatto che l’azione si realizza attraverso una serie di confronti a due altamente drammatici: ed è qui che si è manifestata particolarmente la bravura degli interpreti.  Da rilevare  anche l’ottima direzione di Sebastiano Rolli, veramente vibrante e appassionata, ma anche stilisticamente avveduta,  che ha reso benissimo le accensioni “romantiche” e quelle liriche, non frequentissime in verità ma senz’altro d’effetto, della partitura; certo Donizetti non è Rossini e non ci si può né ci si deve aspettare dalla sua orchestra gli straordinari effetti della “tavolozza” rossiniana, ma  anche sotto l’aspetto strumentale la Rosmonda non è affatto priva d’interesse.

Molti i brani vocali di grande presa ed efficacia: a partire dalla cavatina di Rosmonda  Perché non ho del vento (l’unico brano assurto a una certa notorietà), al drammatico e teso duetto tra la ragazza e il padre Cllifford, che precede da poco il primo finale.

Il secondo atto  vede una sorte di “maturazione” di quella che sembrava una fanciulla ingenua e vittima degli eventi: soprattutto nel  drammatico duetto con Enrico (Tu stesso al padre rendimi). Rimane forse un po’ problematico il finale: la morte di Rosmunda, uccisa dalla regina (un “femminicidio” operato da un’altra donna non è un caso frequente, sul palcoscenico lirico ) in un impeto di folle gelosia rime un gesto brutale fine a se stesso, che sembra quasi concepito per troncare improvvisamente  la vicenda: per quanto quel “ Io regno ancora” di Leonora dà al tutto un sigillo quasi da …Jago!

E veniamo finalmente agli interpreti.  E’ raro – soprattutto oggi – trovare un cast di cui dire solo bene, ma a meno di voler essere  ipercritici come un fanatico loggionista che si è sentito in dovere di rivolgere un isolato fischio alla Pratt ( pare per un “sovracuto” non perfettamente centrato), veramente gli interpreti hanno fatto di quest’opera un’eccellenza di  “belcanto”. A  partire da Eva Mei, che interpretava  il ruolo della regina Leonora.  La Mei è un soprano di coloratura, anche se ha affrontato degnamente ruoli da soprano lirico come Violetta (recentemente, proprio a Firenze) e la Contessa nelle nozze di Figaro.  Un fraseggio accurato, una linea di canto omogenea, morbida e ben modulata, anche negli acuti, ha dato grande spessore a un personaggio che la Mei  è riuscito a rendere cupo e drammatico senza bisogno dell’ausilio della scenografia.  Un complimento però è doveroso anche per l‘eleganza, davvero regale, con cui si è presentata in scena.

Jessica Pratt, già reduce dal successo di Semiramide, ha interpretato in modo magistrale un personaggio radicalmente diverso dalla regina assira, sia sul piano psicologico che su quello vocale. Estensione formidabile, facilità negli acuti e sovracuti, capacità eccezionale di coloratura caratterizzano il soprano australiano che nell’esordio, soprattutto nella cavatina iniziale, ha evocato un personaggio fragile e ingenuo: in Perché non ho del vento le colorature rendevano perfettamente la natura di questa eroina tanto sconosciuta quanto affascinante. Soprattutto nel secondo atto, la Pratt ha invece sfoderato  una “grinta” maggiore che risponde perfettamente all’evoluzione psicologica del personaggio, sfruttando al massimo la propria potenza vocale con risultati davvero straordinari. Non parliamo poi di acuti o gorgheggi, secondo qualche ipercritico addirittura eccessivi (come se oggi li sapessero fare in tanti ….)

Raffaella Lupinacci impersonava Arturo, forse il personaggio più evanescente dell’opera; ma non certo evanescente è stata la sua voce. Mezzosoprano, la Lupinacci aveva un timbro scuro quasi da contralto che ben si prestava a un personaggio maschile, come in effetti avveniva all’epoca , in cui i ruoli maschili, se interpretati da donne, erano affidati in prevalenza a contralti. Voce gradevole e ben modulata, ma anche di notevole potenza, la Lupinacci non ha certo sfigurato davanti a due “regine” come la Mei e la Pratt.

Il tenore Michael Spyres è stato un Enrico caratterizzato da un timbro caldo, da una buona dizione (caratteristica questa comune a tutti) e da una eccellente modulazione che gli consentiva una grande agilità nei  crescendo e nei diminuendo e anche negli acuti.  Buona anche la prova del baritono Nicola Ulivieri (Clifford), che ha reso in modo convincente la drammaticità – ma anche la meschinità – del padre di Rosmonda. Ottima come sempre la prova del coro (nel secondo atto presente solo nella componente maschile) e dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, che  sono stati perfettamente all’altezza della loro fama anche con una partitura che si può per certi aspetti definire “nuova”.

Veramente uno spettacolo d’eccezione,  da non perdere, che il pubblico ha calorosamente apprezzato con vivissimi applausi. Davvero da complimentarsi con gli organizzatori e con chi ha compiuto questa scelta.

Repliche: mercoledì 12 e sabato 15 ottobre, ore 20,00.

 

 



[2] Giorgio PAGANNONE, “una tragedia bella e buona e delle più orrende” in Belcanto Festival, Rosmonda d’Inghilterra, Firenze, Opera di Firenze (programma di sala) p. 90.  Tutti i riferimenti alla storia dell’opera sono presi da questo saggio

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