Una situazione esplosiva.

La Francia è davvero in guerra; ma si tratta di una guerra civile.

Riflessioni di un giovane docente italiano che risiede e lavora da alcuni anni oltralpe.

di Luca  Costa

La Francia è davvero in guerra; ma si tratta di una guerra civile.

Dopo il massacro di Nizza del 14 luglio, dopo il brutale assassinio di padre Jacques Hamel a Rouen, la Francia si ritrova immersa in un’atmosfera quasi surreale, che ricorda quella della Orano de la Peste di Albert Camus. Da un anno e mezzo a questa parte, sono duecento-trentasei i cittadini francesi uccisi su suolo francese per mano del nazismo islamico, senza contare i non francesi.

 Il popolo francese è paralizzato, incredulo, mentre lo Stato lo avvolge come un serpente nella morsa dell’emozione, della mediatizzazione del dolore politicamente corretto. Una patina di nebbia ideologica, volta a nascondere la natura e le motivazioni degli assassini che ormai colpiscono e ammazzano senza sosta.

 Su queste motivazioni bisogna fare chiarezza, almeno provarci, perché come diceva lo stesso Albert Camus: non chiamare le cose con il loro nome, vuol dire aggiungere altro male al male.

 I recenti atti terroristici sono stati commessi esplicitamente in nome dell’Islam. I terroristi non sono stati reclutati in Medio-Oriente bensì sul suolo francese, sono cittadini francesi di religione musulmana nati in Francia che nell’ambiente islamico francese trovano costantemente protezione e aiuto.

 La Francia è davvero in guerra, come dichiarano il primo ministro Valls e il presidente Hollande, ma si tratta di una guerra civile: francesi che uccidono altri francesi. Il nemico è qui, non in Siria o in Iraq. Lo stato islamico è ormai uno stato nello stato.

Questa guerra civile è la manifestazione europea di una guerra di religione planetaria. Di religione, occorre dirlo, perché è chiaro che l’assassinio di non-musulmani perpetrato dagli islamisti assume i caratteri del sacrificio religioso, dell’offerta espiatoria ad Allah (per questo i terroristi sono giovani con un passato di criminalità alle spalle: si reclutano coloro che cercano la redenzione, coloro che si convincono attraverso le fonti coraniche che devono redimersi di fronte ad Allah e a Maometto). Un omicidio morale, sacro, cui segue un “martirio” (virgolette obbligatorie) che “apre” le porte del paradiso. Poco importa se nel massacro perdono la vita anche altri musulmani.

 È il Consiglio europeo per la fatwa che lo afferma.

 Che cos’è il Consiglio europeo per la Fatwa? Una fondazione privata con sede a Dublino, sorta nel marzo 1997 grazie all’iniziativa dell’Unione delle organizzazioni islamiche d’Europa, diretta dall’imam Youssef Al-Qaradawi, qatariota di origini egiziane, mentore dei Fratelli Musulmani e amico intimo del propagandista Tariq Ramadan. L’Imam Qaradawi ha dichiarato più volte ai media egiziani che è assolutamente lecito predicare la djihad contro i miscredenti e gli apostati dell’Islam, tuttavia davanti ai media occidentali afferma che sarebbe comunque meglio islamizzare l’Europa con la predicazione, e che tutta l’umanità deve essere riunita sotto la bandiera dell’Islam, perché il destino del mondo deve essere quello di un Califfato mondiale.

L’obiettivo del Consiglio per la Fatwa (composto da giuristi esperti di diritto islamico cooptati un po’ ovunque un Europa) è quello di uniformare la giurisprudenza islamica in modo da rendere la charia una norma di vita per tutti i musulmani che abitano il vecchio continente, uniformazione che deve tener conto dei diversi contesti e dei diversi ordinamenti coi i quali i musulmani stessi devono confrontarsi.

Il consiglio emette quindi delle proprie Fatwa (responsi giuridici) e si occupa a sua volta di diffondere le fatwa emanate dall’Imam Al-Qaradawi, il quale ha affermato che l’uccisione di non musulmani, specialmente degli ebrei, può essere, in determinati contesti, un modo lecito di difendere e illustrare l’Islam. Al-Qaradawi arriva al punto di affermare che se il martire lo ritiene necessario, l’uccisione di non-musulmani potrebbe accompagnarsi, per il buon fine dell’operazione, alla morte di alcuni musulmani, i quali sarebbero immediatamente ammessi in paradiso, ovviamente.

 Ciò dimostra in maniera inequivocabile che la matrice islamica degli attentati, e il loro legame con le fonti coraniche ufficiali, non è minimamente in contraddizione con l’eventualità che anche alcuni musulmani rimangano uccisi.

 Ciò dimostra quanto siano patetici i tentativi dei media e dei vari pseudo-intellettuali sinistroidi di nascondere il legame tra terrorismo e Islam dietro fumose spiegazioni di tipo sociologico. Qui non si tratta delle povere pecorelle smarrite del mansueto gregge dell’Islam, non si tratta degli emarginati delle banlieues che si ribellano contro una società che li rifiuta (come se case, scuole, lavori, sport, diritti, denaro, sussidi, etc. fossero segni di rifiuto). Si tratta di musulmani che fanno ciò che prescrive il Corano (ma i giornalisti di sinistra lo hanno letto almeno?), che fanno ciò che faceva Maometto (ma qualcuno ha letto la vita del “profeta”?). Fonti coraniche alla mano, nessuno può dire che questi assassini non siano musulmani, altrimenti si arriverebbe al paradosso tragicomico di un Maometto non-musulmano.

 Quando in qualche parte del Medio-Oriente un musulmano sunnita attacca un musulmano sciita, o viceversa, la vittima (come il carnefice) sa benissimo che ciò accade in nome di una certa visione dell’Islam: perché questa evidenza si rifiuta quando un musulmano ammazza un cristiano, un ebreo o un ateo?

 In nome della pace sociale, dicono sottovoce, strisciando, i vate della sinistra.

 Ma quale pace sociale? Quella francese? Quella dei trecento morti all’anno? Quella dei seicento atti violenti di antisemitismo per mano islamica taciuti dalle autorità negli ultimi dieci anni? Quando degli innocenti vengono ammazzati come cani per strada, quando nelle banlieues di Francia i non musulmani vivono nella paura e nella discriminazione costante? Quando cinquemila ebrei lasciano ogni anno il paese? di quale pace sociale si parla? Forse di quella dei salotti buoni, nelle torri d’avorio dei quartieri chic di Parigi…

 L’Islam è divenuto intoccabile, guai a provare a far una domanda, una critica, un’analisi. Si è subito accusati di fascismo! di razzismo!

Come se la libertà di critica e di analisi applicate all’ideologia islamica rivelassero di una specie di “fobia”, l’islamofobia appunto, termine coniato da quella vecchia volpe di Erdogan e subito adottato dai media europei.

Si applica la stessa severità nei confronti di coloro che quotidianamente criticano (giustamente, siamo in un paese libero o no?) l’ateismo, il cristianesimo, l’ebraismo, la massoneria? No! I media e la sinistra hanno identificato la lotta all’islamofobia con la lotta al razzismo, così da mettere a tacere sul nascere ogni vero dibattito sulla natura dell’Islam.

È intollerabile.

Come può un paese laico ammettere un tale privilegio per una religione che non è nemmeno la religione storica della nazione? In nome di che? Della pace sociale?

Eppure il governo Hollande dice che siamo in guerra contro l’Isis. Allora perché i cittadini francesi musulmani partiti in Siria a combattere con l’Isis e poi tornati,(di cui si conoscono nomi, cognomi e indirizzi) non vengono condannati per il reato di tradimento e collaborazione col nemico? 30 anni di carcere per il codice penale francese, in teoria.

No, gli estremisti schedati e radicalizzati, sono tutti a piede libero, in nome dell’ideologia des droits de l’homme lo stato paga loro lo psicologo e il life-coach per la de-radicalizzazione…

I francesi sono smarriti. Secondo i media, i terroristi non devono avere il nostro odio, non devono aver era nostra vendetta. Cosa avranno allora? La nostra stima? il nostro rispetto?

Il nostro perdono?

 Ma noi, cristiani e non, poco importa, siamo chiamati al massimo a perdonare il male che viene fatto a noi, non il male che viene fatto impunemente agli innocenti. Davanti alla mostruosità dell’ingiustizia fatta ai deboli ci si indigna, si reagisce, si fa appello al popolo perché tutti si impegnino a ribellarsi contro il male fatto ai più piccoli.

 Oggi no, oggi la sinistra ci impone di accettare in silenzio la condizione di vittime designate, per non disturbare la pace sociale.

Ma non solo la sinistra ha una reazione inquietante di fronte alla furia islamista, lasciano perplessi anche le dichiarazione provenienti dal Vaticano.

Ma i vescovi dove sono? Non si accorgono che i lupi attaccano il gregge? Perché si uniformano al clima politico? Che ne è del magistero dei grandi cardinali Siri, Biffi e  Cafarra?

 


Fonti: articolo di Shmuel Trigano apparso su LeFigarodel 29 luglio: Terrorisme : on sacrifie les victimes pour ne pas avoir à livrer bataille contre les bourreaux

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