Una versione singolare e divertente

Donizetti ... all'americana tra i colonnati di Palazzo Pitti

Parte la stagione estiva dell'Opera di Firenze nella reggia toscana, con l'Elisir d'amore

di Domenico Del Nero

Donizetti ... all'americana tra i colonnati di Palazzo Pitti

Chi l’avrebbe mai detto, che un Donizetti in versione yankee poteva funzionare? L’Elisir d’Amore per la regia di Pier Francesco Maestrini, che ha esordito ieri a Firenze nello splendido scenario del cortile dell’Ammannati, aveva più di un motivo di destare inquietudine. E certo, soprattutto all’inizio quello scenario  United States anni  60 – 70, con tanto di yankees, figli dei fiori, ragazze pon-pon , cow boys e cow girls per non parlare pure di due bonzi o pseudo monaci buddisti che cantano tutti insieme il bel coro iniziale Gran conforto è al mietitore quando i l sol più ferve e bolle invece di   oh Susanna o cose del genere, lasciava di stucco. E che dire poi di un sergente Belcore quanto mai … trash e di un gruppo di soldati che più yankee non si potrebbero …

Eppure, incredibile a dirsi, ma tutto questo funziona.  Questo perché comunque si riusciva facilmente a comprendere quanto avveniva sul palcoscenico e lo spirito della commedia di Felice Romani riusciva in qualche modo ad emergere. Sicuramente il librettista,  spirito neoclassico amante del bello e cesellatore forse sin troppo raffinato di versi  e scene per certi aspetti già un po’ desueti all’epoca sua avrebbe faticato ad accettare i suoi personaggi in una versione decisamente più … cafonal.   Il primo atto, ambientato in una sorta di distributore con tavola calda, e il secondo in una sorta di ranch, non avevano certo nulla del paesaggio “arcadico” previsto dall’originale. Eppure, nonostante questo, non si riesce a parlare di “stravolgimento” come era avvenuto invece nella versione, questa veramente fuori luogo e priva di senso, firmata nel 2013 da Rosetta Chucchi e ambientata in una scuola americana tra bulli e pupe.  Merito forse della eccezionale bravura, anche scenica, del coro e degli interpreti, dei costumi di Juan Guillermo Nova e delle scene di Luca dall’Alpi, talmente assurdi e compositi da riuscire divertenti; e anche sicuramente della mano abilissima del regista che ha fatto funzionare lo spettacolo alla perfezione. Insomma, la perplessità iniziale s’è trasformata in stupore e lo stupore in divertimento, anche se qualche momento un po’ “eccessivo” c’è stato.   Un esperimento tutto sommato interessante e divertente, con una punta di satira verso Usa e costumi che non può  non piacere: ma che lascia comunque, tutto sommato, la storia di Nemorino e di Adina nella sua ingenuità e nella sua freschezza.  Qualcuno dirà: una cosa del genere tra i severi colonnati di palazzo Pitti? ma Maestrini, da buon fiorentino e figlio d’arte del grande Carlo,  avrà pensato che in fondo i Medici, e soprattutto quello spiritaccio di Gian Gastone, avrebbero gradito ….

Un altro punto di forza dello spettacolo è stato sicuramente il cast vocale:  cantanti che hanno affrontato una prova non facile anche per un fresco serale decisamente … fuori stagione e venivano letteralmente i brividi se si pensa che il povero Nemorino rimane ben tre volte  in mutande (e non per modo di dire!) mentre Adina, come le ragazze del coro, aveva un abbigliamento decisamente .. estivo.  Ma questo non ha impedito al tenore argentino Juan Francisco Gatell di dare un’ottima prova: se in passato ha suscitato a volte perplessità in questo ruolo, ieri sera si  dimostrato un interprete raffinato, dalla voce ben impostata e elegante, con un ‘ottima scansione e una recitazione sentita e appassionata;  da giovane imbranato in veste di …ragazzo sandwich con tanto di costume di pollo (evidente allusione anche al suo carattere di “sempliciotto”) a improbabile soldato per amore,  Gatell ha espresso tutta la delicata carica sentimentale del personaggio, interpretando tra l’altro Una furtiva lacrima con  morbida delicatezza  e con bel gioco di sfumature. Un tenore insomma, davvero “di grazia”.

Davvero notevole anche  la soprano  Laura Giordano ; una Adina provocante e anche … manesca, che alla fine cede alla tenera ostinazione di Nemorino: una bella voce  chiara, vivace  e brillante, che è andata sempre più “scaldandosi” con il procedere dello spettacolo acquistando in chiarezza di linguaggio, controllo di emissione, agilità e potenza, con acuti svettanti e sicuri soprattutto nel duetto finale.

Ottimi anche i due “buffi”: il baritono Biagio Pizzuti è stato un Belcore quanto mai miles  gloriosus  (in versione yankee, poi!) con una voce chiara e potente, senza forzature, con un fraseggio elegante (malgrado il personaggio). Esilarante il Dulcamara di Marco Filippo Romano: la “carrozza dorata” sostituita da un macchinone, sigaro in bocca e aria vagamente da Al Capone, Romano ha dato vita a un personaggio di grande comicità, soprattutto nella scenetta del secondo atto La  Nina gondoliera e il senator  Tredenti,cantato con la Giordano in un divertentissimo accento …. Slang americano.  Romano è un baritono di ottima verve comica, perfettamente a  suo agio anche in ruoli di basso – baritono come quello di Dulcamara, grazie a un  ottimo uso del sillabato e di un fraseggio brillante ed espressivo. Brillantissima  come sempre la prova del coro, sia sul piano vocale che scenico e dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Il direttore d’orchestra Alessandro d’Agostini ha offerto una lettura vivace e scattante, per certi aspetti quasi “rossiniana”, ma senza rinunciare a sottolineare i momenti e le sfumature patetiche e sentimentali.

Pubblico numeroso e soddisfatto, applausi convinti ed  entusiasti. Decisamente da vedere e apprezzare.

 

Prossime repliche: Giugno, 22 e 26; Luglio,, 5, 13,19,26. Ore 21,15.

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