Editoriale

Il falò delle incapacità

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

olti sono i mali che affliggono il nostro paese e la sua cosiddetta civiltà contemporanea. Alcuni sono esogeni altri no, alcuni sono connaturati altri no, ma tra i tanti quelli che più devastano e distruggono, impedendo ogni crescita e miglioria perché di fatto bloccano e interdicono, il più delle volte escludendo, colui che saprebbe cosa e come fare al meglio, favorendo invece l’inetto e lo stolido. Questi vizi perversi sono fondamentalmente tre, anche se poi un’infinità di altri ne consegue: L’incapacità, ovvero il non saper fare, neanche sapere da dove si cominci a fare; l’Ignoranza perché nessuno ha mai voluto apprendere né imparare ed infine l’Arroganza.

Sono tutte e tre gravi colpe che infestano ogni settore della pubblica organizzazione come di quella privata. M’imbatto ogni giorno di più in incapaci messi a presiedere a compiti per i quali si rivelano essere assolutamente inadeguati, inetti, saccentemente arroccati sulle loro poltroncine, collocati dai Consigli d’Amministrazione e ottenute in virtù di chissà quali meriti.

Questo lo rilevo pressoché ovunque, in una fiera del pressapochisimo e dell’approssimazione, della vacuità di un “fare” che non è il “faber”, non sanno più cosa sia un “artefice” figuriamoci un “artista”. Lo vedo in addetti alle più disparate fondazione bancarie – o politiche -, ai loro “esperti” nel settore artistico e culturale che, trovandosi improvvisamente  a dover gestire la messa in atto – per esempio - d’una mostra qualsiasi, non sanno neppure da che parte cominciare e si muovono vagolanti nella tenebra mentale dovuta al fatto che mai hanno fatto esperienza e arrogantemente, con oltraggiosa presunzione, non accettano insegnamenti da chi magari ha maggior esperienza di loro. Tutti nati imparati nell’Italia renziana!

Così si organizzano mostre ed eventi, sotto le mirabolanti egide di prestigiosi Istituti, senza neppure avere idea di come essi vadano fatti. Nessuno ha mai fatto una prospezione logistica, nessuno che faccia i capitolati di spesa, nessuno che con congruo tempo d’anticipo sulle date, si riunisca ad ascoltare esperti e consulenti, reali, capaci, del settore. Nessuno che faccia un vero progetto dettagliato. Tutto viene realizzato in maniera “alla viva il parroco” ma con una presunzione degna dei peggiori parvenue alla corte del Re Sole.

L’Italia che ha creato la maggior parte dello splendore assoluto del Bello, dell’Arte, della Cultura al mondo, è così ridotta. Un tempo, e non dico nel Rinascimento, ma sino a qualche decennio fa avevamo le migliori menti, i migliori organizzatori dotati d’intuito, capacità, competenza e conoscenza mentre adesso siamo in balia e preda di avventurosi dilettanti lasciati liberi di agire esclusivamente in base al denaro e alla politica.

Questo indistintamente tanto a destra quanto a sinistra in quanto vedo sempre più ristretti gli orizzonti “culturali” della destra attuale, quella post almirantiana per dirla così, la destra voluta da Fini ed epigoni caudatari, prima suoi avversari ora presto in odore di beatificazione e riappacificazione.

Il limite maggiore, ed è facile individuarlo, forse dovuto a “non conoscenza”, neanche elementare, è che non si riesce a vedere oltre il Fascismo. Tutto il milieu culturale di questa “destra” è circoscritto ad un ventennio che dinanzi ai secoli, anzi ai millenni d’una Storia, non è che un soffio. Ecco che è sempre tutto un continuo riferirsi – quando c’è ben inteso – all’opera insigne di Piacentini o di Sironi, mai che qualcuno sia andato a scoprire gli altri straordinari architetti e artisti dell’epoca… vero è bisognerebbe averne gli strumenti culturali per farlo adeguatamente, invece pescare nei soliti, adusati “luoghi comuni” della destra è molto più comodo e rassicurante.

Del resto sono sempre le stesse persone che non abbiamo mai visto oltrepassare la soglia d’una mostra neanche alle Scuderie del Quirinale o in Campidoglio, dove tra le altre cose, entrerebbero gratuitamente a usare la parola “cultura” in maniera impropria specie durante le campagne elettorali. Non li abbiamo mai visti ad un concerto di musica barocca, anche in questo caso per fare un esempio tra i mille fattibili, preferendo certo locali più trendy e alla moda da frequentare.

Quindi, possiamo aspettarci una formazione “culturale” da parte di una destra che ignora il proprio passato anteriore al 1922 e che non fa altro se non autoperpetuare un ricordo – sovente funebre – di sé stessa nei “mitici anni Settanta”? Più che scuole politiche e di formazione politica, sarebbe bene ci fossero scuole dove s’insegni che la “destra” non nasce con la marcia su Roma, ma è molto più antica, forse più della stessa Grecia che ne è considerata la culla. Ma non voglio spingermi così tanto da turbare certi sonni divenuti ormai catalessi.

Dunque ben venga il ricordo di tutti coloro che hanno combattuto – e alcuni hanno dato la vita – per le loro idee nel settantesimo anno della nascita del MSI, è giusto e doveroso farlo, perché quel partito almeno una solida base culturale l’ha avuta, basti pensare a quanto ha fatto un Pino Rauti e altri, ma ricordiamoci che la Tradizione d’un mondo che ha creato l’Arte, la Bellezza, l’Armonia dalle sponde dell’Egeo sino alle coste dell’Irlanda va conservata, ricordata e mantenuta viva perché “la maledizione dell’uomo è che egli dimentica”, altrimenti l’unica cosa che resta è soltanto il mantenimento dei propri – piccoli – stracci di potere. 

Ma desidero concludere con una nota se non allegra, almeno leggera: Ho appena visto il nuovo “simbolo” (i Simboli sarebbero altro però, dai su… facciamo finta che ) del “nuovo” Centro Destra e devo confessarvi di starmi letteralmente sganasciando dalle risate. Concedetemelo anche perché qualcosina di “comunicazione d’immagine” ne mastico da almeno trent’anni o forse più. Il primo sguardo gettato all’”aquilone” berlusconiano mi ha fatto pensare di tutto, perché veramente “di tutto” è celato nella grafica del simbolo del partito. A cominciare dal fatto che lo strano trapezoide tricolore non venga immediatamente identificato come un aquilone, in quanto l’occhio umano è attratto piuttosto dalle “curve” ( sì CURVE ) azzurre che lo circondano amorevolmente. Insomma, non vorrei che la predilezione muliebre del buon caro Silvio avesse influenzato troppo i creativi che hanno inavvertitamente creato un simbolo più allusivamente erotico che politico. Nulla di male, in effetti, in periodi come questo di eccessiva mobilità di genere, non è che “tette e culi” ci disturbino, ancorchè coperti da un perizoma tricolore… anzi… magari è la volta che il Centro-Destra riesce a tornare al Governo. Forza Tanga!

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