Morte di un bimbo

Sulaimāniya: Aylan Kurdi e il trail of tears

Il cammino delle lacrime dei nativi americani oggi è quello di esseri umani travolti dalla guerra che l'Occidente non vuole fermare e sulla quale si limita a versare finte lacrime di demagogica pietà

di Marika Guerrini

Sulaimāniya: Aylan Kurdi e il trail of tears

I pantaloncini non sono più blu, né la maglietta è più rossa, non più i colori di una Vergine di Raffaello a distinguerlo, e di scarpine non ha più bisogno, ora scivola in bianca sembianza sulle acque verso il Tigri, è lì, su un affluente del grande fiume, a Sulaimāniya che, il primo giorno di marzo, è stata adagiata la piccola statua della sua sembianza, lì, riverso su di una piccola tavola di legno che funge da zattera, nella postura del suo sonno infinito, raggiungerà il fiume della storia dell'umanità, la sua storia, della sua terra, della sua gente, la storia di quest'attimo che è stata la sua vita terrena.

E' stato Aylan, Aylan Kurdi il nome che ha portato nei tre anni della sua vita. E il mondo l'ha conosciuto così, come per caso, per quell'immagine di bimbo addormentato nei pantaloncini blu e la maglietta rossa, riverso su una sabbia straniera, lontana dalla sua terra, sulla via per raggiungerne un'altra, con altri, molti altri, troppi altri, nel trail of tears di questi nostri giorni. 

Il "Cammino delle lacrime" dei nativi americani, che nel XIX secolo attraversò il continente estremo occidentale, lasciando una lunga scia di dolore e sangue, ora attraversa quello che dovrebbe, potrebbe essere l'occidente della civiltà, l'europeo, se decidesse di esserlo. Il motivo del Cammino di allora  non è dissimile da oggi, ora è solo più cruento, più doloroso  data la moltitudine di esseri umani coinvolta e se mai si possa misurare la portata del dolore. Così il piccolo Aylan un tempo colorato di rosso e di blu, ora, bianco, è tornato alla sua casa per scivolare sulle acque dell'antico fiume.

Ma i fatti non sono solo, i fatti, mai, i fatti sono simbologia d'un sottile linguaggio, sempre. E tutto quel che si verifica sulla scena sensibile, nella quotidiana vicenda, fino a presentarsi come fatto, come evento fisico, non è mai casuale, mai improvviso, anche se appare tale. Il fatto, l'evento, tende a parlarci, il fatto, l'evento è il mondo della necessità che fa appello alla libertà dell'uomo, che chiede all'uomo d'esser incontrato nell'essenza dei suoi perché, chiede all'uomo la conoscenza. Questo chiede ora Aylan.

Così, mentre in altri fatti, diversi dal fatto di Aylan, l'occidente continua nel suo alimentare con armi e danaro la tragedia umana che stiamo attraversando, ad alimentare tutto ciò che prolungherà questo trail of tears, che quotidiano sfila sotto i nostri occhi cechi, il piccolo, dove ora, grande Aylan, in bianca rigida sembianza, scivola verso le acque dello storico Tigri a simboleggiare la presente storia degli uomini. 

Ma il mondo si accorgerà del suo passare, si accorgerà dell'odierna sua propria storia, si accorgerà di lui?

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