Teatro

Chi ha vinto il Duello in scena alla Pergola? Sicuramente lo spettacolo

Il duello è una metafora di quanto ci mancano oggi la dignità, l’etica, il rispetto e l’onore, parola di Alessio Boni ottimo interprete dello spettacolo fiorentino

di Domenico Del Nero

Chi ha vinto il Duello in scena alla Pergola? Sicuramente lo spettacolo

Una sfida senza fine.  L’idea dello scontro  perpetuo, che è alla base de il Duello  è una geniale intuizione di  Joseph Conrad, che ne fa una metafora dell’antichissimo tema del doppio : i due avversari, d’Hubert e Ferraud, sono sicuramente due personaggi diversi, ma in fondo ciascuno rappresenta  un completamento dell'altro: ufficiale e gentiluomo il primo, molto meno gentiluomo il secondo, ma entrambi legati in fondo dall’appartenenza a un codice d’onore ormai tramontato, anche se lo vivono ed interpretano in modo almeno apparentemente opposto  [i]

Lo spettacolo  i Duellanti che ne è stato tratto ed è ora in scena a Firenze , nato l’estate scorsa al Festival di Spoleto, si regge su un quartetto di attori e soprattutto una coppia di “solisti”. Se infatti Francesco Meoni se la cava benissimo in 5 ruoli del tutto diversi, con particolare efficacia e perfidia nel ruolo del diabolico ministro Fouché,  e l’abile virtuosa del violoncello Federica Vecchio quando non suona interpreta Adèle, la fidanzata di D’Hubert  e  madame de Lionne, i mattatori  sono senza dubbio Alessio Boni nei panni del “damerino” d’Hubert e  Marcello Prayer in quello di Feraud, guascone sanguigno e prepotente. Due personaggi che in effetti rappresentato benissimo il clima del periodo napoleonico: il freddo e apparentemente frivolo cinismo dell’aristocratico che riesce a rimanere a galla in tutto il mare magno degli sconvolgimenti al confine tra i due secoli “l’un contro l’altro armati” e il soldato che ha il bastone di maresciallo nello zaino, disgustosamente plebeo nella stupida arroganza e violenza di alcuni atteggiamenti, ma con uno spiccato e disperato senso della dignità e dell’onore.

Non c’è dubbio che Boni e Prayer siano riusciti in un compito che non era per nulla facile, anche perché I duellanti è tratto da un racconto, è dunque all’origine un testo narrativo e questo un po’ si avverte in  alcuni momenti e “pesa” leggermente, malgrado l’indubbia bravura, anzi maestria dei protagonisti che sono tra l’altro due grandi amici:  “Io e Alessio siamo diventati come fratelli negli anni perché veniamo da una stessa matrice di formazione teatrale, che è quella del nostro maestro Orazio Costa  (…) Da tempo lavoriamo insieme sulla poesia italiana e partendo da questa linea, in particolare per questo spettacolo, ci rimbalziamo la voce reciprocamente cercando di crearne una sola” -  dichiara Prayer.   In effetti, per interpretare bene questi ruoli occorrevano due attori molto affiatati e collaudati: il confronto tra d’Hubert e Ferraud  non è dato solo dal cozzar di spade, ma anche dal racconto reciproco, da un rincorrersi parola per parola.  E anche sul piano scenico, la danza delle spade e l’incrociarsi dei brandi  avviene con maestria e eleganza, grazie al maestro d’armi Renzo Musumeci  Greco che è riuscito davvero a fare dei due attori due … buone lame.  Ottimo nel creare tensione sino allo spannung del duello finale –  se così può davvero definirsi -  il gioco di luci di Giuseppe Filipponio, caratterizzato da  improvvisi lampi di tenebra  in cui  i personaggi si muovono come eleganti  fantasmi guerrieri.

“D’Hubert e Feraud sono due lati della stessa medaglia, il bianco e il nero. Feraud è una sorta di Minotauro che sta dentro a D’Hubert, gli circola nelle viscere: è quello che più detesta, ma di cui ha più bisogno. Forse D’Hubert non ce la fa più a stare sempre in mezzo a dei borghesi, a degli uomini che dicono sempre di sì, ma che temono le emozioni. Lui non sopporterà più questa borghesia che compie solo delle piccole trasgressioni per sentirsi viva, ma che in realtà non vive realmente la propria esistenza. È difficile riuscire a spiegare questo antico codice che si instaura tra D’Hubert e Feraud, proprio perché è lontano nel tempo. Una volta, per esempio, a mio nonno bastava una stretta di mano per siglare un contratto: non c’era bisogno di firme e avvocati, bastava guardarsi negli occhi … Il duello è una metafora di quanto ci mancano oggi la dignità, l’etica, il rispetto e l’onore”  Parole forti di Alessio Boni, che possono anche essere fraintese ma che è impossibile, almeno per chi scrive, non condividere: ed stato proprio questo forse il  maggior punto di forza dello spettacolo, in questo messaggio davvero controcorrente che gli attori hanno voluto trasmetterci e che il pubblico ha saputo vivamente apprezzare.  

La scenografia e la regia mostravano un ottimo e raro equilibrio tra tradizione, rappresentata soprattutto dai costumi, e contemporaneità: un luogo che potrebbe essere “ovunque”, una sorta di fight club ante  litteram con tanti oggetti accatastati  tra cui un busto di Napoleone (richiamo forse alle gozzaniane buone cose di pessimo gusto?). Una  messa in scena dunque che non irrita ma è credibile e funzionante, con una regia sapiente e bene impostata.  Anche questo, tra l’altro, lavoro di equipe;  la messinscena è opera corale: Francesco Niccolini ha tradotto e adattato il racconto di Conrad, la drammaturgia è di Alessio Boni, Roberto Aldorasi, Marcello Prayer e dello stesso Niccolini, mentre la regia è dei soli Boni e Aldorasi.

Dunque, spettacolo da vedere:  repliche sino a domenica, feriali ore 20,45, festivo ore 15,45.



[i] Per la presentazione e la descrizione dello spettacolo cfr. http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=8081&categoria=1&sezione=8&rubrica=8 

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