Teatro

Un grande Miller alla Pergola tra Umberto Orsini e Massimo Popolizio

di Domenico Del Nero

Un grande Miller alla Pergola tra Umberto Orsini e Massimo Popolizio

Un quartetto  di attori affiatato e di sicuro effetto,  in cui ciascun “solista” dà il meglio e si integra con gli altri.   Il prezzo  di Arthur Miller, opera amara quant’altri mai del grande drammaturgo americano, si impone sul palcoscenico fiorentino della Pergola grazie alla traduzione  di Masolino d’Amico, portata in scena da una compagnia Orsini in piena forma, con la regia di  Massimo Popolizio che ricopre anche il ruolo centrale, quello del poliziotto Victor. Una regia  che va diritta al cuore del dramma, senza concedere nulla ad abbellimenti o a “trucchi” scenici:  una gran catasta di mobili occupa il palcoscenico, mentre da fuori giungono i rumori spietati della demolizione degli edifici circostanti; perfettamente “intonati” e sobri anche i costumi di Gianluca Sbicca e le luci di Pasquale Mari.   Ogni tanto, qualche lieve musica degli anni ’30.  Ma anche la casa in cui ha vissuto per alcuni anni  Victor, il fratello che ha rinunciato a un brillante avvenire per fare il poliziotto ed accudire il padre, e da cui invece è fuggito Walter, medico di successo, sta per fare la stessa fine.[i] Una situazione che può ricordare un testo che quasi sicuramente Miller non conosceva, la bellissima lirica Case Nuove di Arrigo Boito, dove la mannaia della demolizione si abbatte senza pietà non solo sulle mura, ma anche e soprattutto sui ricordi. E come ricorda Umberto  Orsini “ I mobili rappresentano l’accumulo di una vita e di come in realtà l’esistenza, per errore o coincidenza, possa cambiare il suo corso”.

Ma nel testo di Miller non c’è solo questo: c’è il ritratto di una società allo sbando dopo la grande crisi del ’29, uno sfacelo che non è solo e forse neppure soprattutto economico e finanziario,  ma che investe come una pestilenza affetti, legami familiari, gerarchie di valori, portando alla luce ben altro.  Ma è anche un perfetto spaccato di storia americana anni trenta- quaranta, che più che i lustrini lascia intravedere tutto quanto di torbido ed egoista si agita in quella società: “ I quattro personaggi sono un prototipo di tutti quei personaggi che abbiamo visto in decine di film  perché questo tipo di drammaturgia si avvicina molto alla sceneggiatura e noi recitiamo la nostra parte in maniera assolutamente non psicologica. E’ uno spettacolo per certi versi acido e può essere messo in confronto, per esempio, con un film dei fratelli Cohen: è lo stesso tipo di contemporaneità molto stridente, dove la cattiveria diventa suo malgrado anche humor”, dichiara l’attore – regista  Massimo Popolizio.

Recitazione “non psicologica”? Effettivamente il modo di vivere i personaggi è molto diretto, immediato: a tratti potrebbe sembrare persino “macchietti stico”, ma sarebbe un giudizio superficiale. Proprio il Victor di Popoleschi è un certo tipo  poliziotto americano, curato nell’atteggiamento e nell’andatura: ma non ha assolutamente niente di “superoe” o di giustiziere della notte: si limita a lavorare all’aeroporto e come lui stesso dichiara con candore, in tanti anni di lavoro ha arrestato appena 19 persone.  E se nella prima parte dello spettacolo è tutto sommato un personaggio goffo e imbranato, vittima della moglie (interpretata da Alvia Reale9  e decisamente inetto, nella seconda parte in cui si assiste “a un cambio di luce e di ritmo narrativo” diventa invece un personaggio dolente e umanissimo.  Popolizio riesce benissimo  in questa “metamorfosi” del suo personaggio, senza che fra i due  momenti dello spettacolo si avvertano stridori e cesure.

Umberto Orsini non smentisce se stesso: nei panni del vecchio e saggio ebreo Solomon dà vita a un personaggio divertente ed equilibrato, vero  ago della bilancia di una situazione sempre a rischio di una rottura definitiva.  “Con la merce usata non si può essere sentimentali” è il suo leitmotiv,  di chi ha “capito il gioco” del mondo e sa riderci sopra, pur senza irriderlo. Una interpretazione come sempre di grande livello, con un personaggio  sicuramente complesso che sarebbe stato facile svilire a semplice macchietta.

Bravo anche Elia Schilton nei panni di  Walter, il fratello “di successo” che cerca di mettere Victor di fronte a una amara realtà che questi non può e non vuole accettare. Ma Miller non giudica, non si può dire se nella vicenda vi sia un “cattivo” e in questo caso chi sia realmente.  L’unica, triste  “morale della favola”, ricorda ancora Popolizio, è che “tutto ha un prezzo, a seconda del differente punto di vista: ognuno ha un prezzo da pagare e ognuno ha pagato un prezzo per la propria vita.”

Uno spettacolo toccante, curato e di ottimo livello, che giustamente il pubblico ha accolto con calorosi applausi. Decisamente consigliato, soprattutto di questi tempi ….

Prossime repliche fino a domenica 24, feriali ore 20,45, domenica 15,45.



[i] Per la trama e indicazioni sulla storia del dramma vedi http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=7996&categoria=1&sezione=8&rubrica=8 

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