Editoriale

Il caso Lorenz: quando il mondo scientifico è peggio dei tribunali che bruciavano le streghe

Revocata al grande etologo la laurea Honor causa che l'Università di Salisburgo gli aveva data nel 1983. Motivo? Da giovane non era stato antinazista

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

n questi tempi, così laici, tolleranti e pluralisti, la revoca, con l’accusa di filo nazismo, della “laurea honoris causa” a Konrad Lorenz (Premio Nobel per la Medicina nel 1973) da parte dell’Università di Salisburgo, che l’aveva concessa nel 1983,  porta  alla mente episodi segnati dal peggiore oscurantismo:  come accade nell’897,  quando il corpo di Papa Formoso, un anno dopo la sua morte, viene riesumato, processato e condannato di fronte ai cardinali ed  ai vescovi riuniti in concilio, o come avviene, nel 1936, quando i corpi  di religiosi e di religiose spagnole, sono profanati, durante la guerra civile, dalle milizie repubblicane, che mettono in scena macabre fucilazioni.

Certe follie, pur nel mutare dei tempi, non hanno evidentemente età. Ma per il “contesto” ed il personaggio, la  “condanna postuma” di Lorenz è oggettivamente assurda. Lorenz è infatti scomparso nel 1989. Da allora nessuno aveva mai sollevato la questione dei suoi orientamenti politici prebellici. D’altro canto che il padre dell’etologia, nato in Austria nel 1903, avesse avuto simpatie nazional-socialiste era noto anche nel 1983, quando l’Università di Salisburgo gli ha concesso la “laurea honoris causa”, oggi revocata.  Era evidentemente in buona compagnia, visti i livelli di consenso del regime hitleriano. D’altro canto tutto si può dire, ma non certamente che le teorie lorenziane siano state segnate da orientamenti ideologici.

Lorenz è uno scienziato, un attento indagatore della natura, anche un creativo – se vogliamo – in grado di portare a sintesi  le osservazioni della precedente scienza etologica, ma non un “ideologo”.  A Lorenz piace osservare le cornacchie e le papere piuttosto che sfilare in camicia bruna. Studia i movimenti di rovesciamento delle uova dell’oca cenerina piuttosto che compulsare le pagine di “Mein Kampf”. Non cerca favori in qualche retrovia politica, tanto è vero che viene spedito come medico sul fronte orientale, per poi finire, prigioniero dei sovietici, in un campo di concentramento in Armenia, da cui torna in patria nel febbraio 1948.

Più che certe “simpatie” politiche di Lorenz il sospetto è che si voglia colpire l’opera del ricercatore, così scomoda per la vulgata corrente, pronta magari ad assimilare al nazismo le sue analisi scientifiche, tanto scientifiche da meritare un Nobel, sull’eredità rispetto ai comportamenti acquisiti, sull’aggressività, sull’antiegalitarismo.

La “condanna postuma” contro Lorenz non sposta ovviamente di un millimetro il valore della sua ricerca. Serve anzi a riportare il nome del padre dell’etologia all’attenzione del vasto pubblico, un’attenzione che è stata – soprattutto negli Anni Settanta-Ottanta del ‘900 – anche “politica”, proprio per l’anticonformismo delle sue analisi. Per questo a noi (intendo a un certo ambiente nazional-conservatore) Lorenz è sempre piaciuto. E non certo per le sue simpatie nazi.

Lorenz – è anche questo l’aspetto del suo pensiero che dà più fastidio – non è stato semplicemente un ricercatore originale, quanto un lettore attento della realtà sociale e culturale dell’Occidente, a cui ha dedicato pagine di smagliante critica. Pensiamo al pamphlet “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, pubblicato, nel 1973, in Italia, da Adelphi, nel quale elenca ed analizza  “scientificamente” i fattori che mettono a rischio la stessa esistenza  della nostra specie: lo squilibrio demografico, l’inquinamento e il saccheggio delle risorse naturali, lo stress “competitivo”, l’estinguersi dei sentimenti, la perdita del patrimonio culturale e la mancanza del modello paterno, l’indottrinamento di massa (attraverso i mass-media), il rischio atomico.

Pensiamo alle sue polemiche sulle dottrine “pseudo democratiche” e ai processi di disumanizzazione. Temi enormi che richiedono evidentemente approfondimenti doverosi e a cui non si addicono le condanne postume o le censure “liberali”.  I libri (e gli autori) al rogo li lasciamo ad altri, a cominciare dai chiarissimi professori salisburghesi.

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