La Nazionale e l'Italbasket

«Dov’è finita la nazionale italiana di calcio? Tante domande, poche soluzioni»

Sono lampanti quindi le varie motivazioni che rendono la nazionale di calcio sempre meno seguita e sempre più screditata. Meno calciatori italiani, meno passione per il proprio sport, meno campioni nel proprio campionato, meno tifosi allo stadio

di Tommaso Nuti

«Dov’è finita la nazionale italiana di calcio? Tante domande, poche soluzioni»

Gallinari e Balotelli, cioè il Basket e il calcio di oggi

“Se state facendo qualcosa, smettete subito, sedetevi e guardate questi ragazzi!”

La voce di Flavio Tranquillo, commentatore televisivo per Sky Sport in questi giorni risuona incessante in ogni casa italiana, nei cuori di ogni appassionato di pallacanestro.

L’”Italbasket” pur avendo perso contro la Serbia ha raggiunto gli ottavi di finale degli Europei 2015. Due canestri e 10 cestisti riescono a far stare in tensione migliaia di ragazzi e adulti, pronti a saltare dal divano o dalle sedie. Dopo aver battuto a punteggio largo anche l’Israele alle prime fasi finali approda contro la Lituania ai quarti, nella gara che si svolgerà oggi, mercoledì 16 settembre.

Questo è l’effetto dell’attuale nazionale italiana di pallacanestro. Da Gallinari fino a Della Valle, i ragazzi agli ordini di coach Pianigiani stanno meravigliando una nazione intera.

Una domanda agli appassionati di sport sorge spontanea vedendo il sorriso post-partita di qualsiasi spettatore dell’”Italia show”: come sarebbe bello se la anche la Nazionale italiana di calcio tornasse ad essere seguita come ai tempi del 2006? Ai tempi dell’Olympiastadium e dell’urlo “andiamo a Berlino”?

È agli occhi di tutti in questi giorni che il basket è tutta un’altra cosa. Mettendo a confronto ciò che stanno facendo gli azzurri all’Europeo di basket e quello che è andato in onda prima all’Artemio Franchi e al “Barbera” poi il gap è più che evidente.

Quello che da una parte spinge il basket ad andare avanti al campionato Europeo è qualcosa di più di un semplice obbiettivo: è uno sprint massimale di squadra, un tragitto condiviso che punta alla lontana (ma non troppo) finale.

Il calcio dall’altra sponda è oramai dettato in ogni sua singola azione, prevedibile e scontato, falso. Qualcuno potrebbe insinuare che “si, anche nel 2006 c’era Calciopoli..” ed è vero, ma quello a cui si dovrebbe tornare a fare riferimento è lo spirito di una nazionale guidata da Marcello Lippi, di campioni sia dentro che fuori dal campo. Campioni che traghettavano una squadra al traguardo che ha unito la penisola ai tempi del più grande crollo calcistico degli ultimi anni.

C’è molto da riflettere su cosa si potrebbe fare per migliorare anche solo in parte la situazione in Italia. In molti si sono fermati di fronte alle prime difficoltà, annunciandosi incapaci (o inermi) a poter cambiare le sorti di un destino condannato allo sfracello. Il calcio sta diventando sempre più (perdonate il termine) “marcio”. Si corrode dall’interno come acido. Procuratori, presidenti, allenatori che diventano tali solo per il loro passato da calciatore (il che non vuol dire necessariamente poter allenare una squadra, saperla gestire e far crescere) e che risultano spesso veri incapaci.

Solo in pochi hanno provato a cambiare qualcosa; Damiano Tommasi, ex centrocampista della Roma e della Nazionale, ora presidente dell’Aic, oltre che a candidarsi per l’elezione del presidente della Lega Italiana (FIGC) ha combattuto mesi per abolire il vincolo che legava ragazzi dai 18 ai 25 anni a società sportive, provocando un blocco totale della passione per molti giocatori costretti a rimanere “imprigionati” a realtà che li avrebbero emarginati, e poco alla volta, invitati a smettere di giocare. Persa la battaglia per il vincolo e sconfitto alle elezioni da Tavecchio, Damiano Tommasi si ritrova con niente in mano, guardando sotto i suoi occhi il calcio sfumare verso un tramonto quasi imminente, ma con questo non viene reputato un “santo”, dopo aver cercato di bloccare il campionato 2010/2011 per i “diritti” dei calciatori ad avere più vacanze;  ma questo è un altro discorso.

Il problema sta alla base del clima della Serie A: le società ormai credono sempre meno nei propri vivai, nei giovani che crescono sotto lo sguardo attento (?) degli osservatori. Si punta sempre più su giocatori stranieri, senza accorgersi che la domenica nei campi di tutta Italia sono poche le squadre con minimo quattro titolari di nazionalità italiana. Slittano anche le società in sé, che passano spesso in mani straniere, ma anche questo è un altro discorso. 

Sono lampanti quindi le varie motivazioni che rendono la nazionale di calcio sempre meno seguita e sempre più screditata. Meno calciatori italiani, meno passione per il proprio sport, meno campioni nel proprio campionato, meno tifosi allo stadio.

E la domanda sorge spontanea: cosa fare? Prendere esempio. La Germania, così come la Spagna fin dagli inizi degli anni 2000 ha lavorato duramente sui propri giovani, ha puntato e scommesso sulle capacità di molti di loro. Gli anni passano e i ragazzi maturano, fino a diventare campioni. La Spagna ha vinto un mondiale e due europei nell’arco di otto anni, la Germania si è confermata campione nel campionato del mondo del 2014, pluripremiata sotto tutti i punti di vista, sia tattici, tecnici e comportamentali.

Purtroppo in Italia tutti aspettano un nuovo ciclo, si cercano speranze nei giovani che però non vengono valorizzati. Passerà di tempo prima che ciò che ha reso grandi Spagna e Germania torni in Italia e non ci sarà fino al momento in cui da piccoli passi si provi a cambiare il campionato in sé, nella sua natura sbagliata. Prima sarebbe necessario abbattere tutti i valori economici, gli scambi ultramilionari mirati solo a far andare in fibrillazione i tifosi; sono però quasi sempre acquisti finalizzati solo a quello, a far aumentare inizialmente il numero di abbonati, senza portare grossi vantaggi alla squadra in sé. Dall’economia alla tecnica e poi alla gestione di un gruppo solido.

Negli ultimi anni però l’unico passo che è stato fatto è porsi una domanda: i giovani dove sono?

Tornando al basket, nella nazionale italiana anche i vari Gallinari, Datome o Belinelli sono andati oltre oceano per migliorarsi e migliorare il campionato NBA, ma paragonandolo al calcio i trasferimenti di anni fa come Cuadrado dalla Fiorentina al Chelsea sembrano quasi ridicoli. Uscito dalla Serie A come campione è andato a paragonarsi con un campionato di un altro livello per tornare in Italia alla Juventus come un giocatore mediocre:  solamente per citarne uno. Qual è lo scopo? Solo il denaro, solo i soldi portano altri soldi e il calcio ha come obiettivo solamente il guadagno e lo stanziamento del budget per gli acquisti. Dov’è il messaggio da lanciare ai nuovi ragazzi? C’è solamente da rimboccarsi le maniche, guardare gli altri campionati e prendere appunti, perché non è mai tardi per imparare qualcosa

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