Al Cinema con Michele

"Un giorno questo dolore ti sarà utile". Un anticonformista alla ricerca dei veri valori

Asciutto e lineare, il film di Faenza aderisce al romanzo di formazione di Cameron cogliendone l'anima

di Michele  Cucuzza

Non dico proprio correte a vederlo (perché si corre molto, nei parchi e lungo i marciapiedi di New York nel nuovo film di Roberto Faenza), ma almeno datevi una mossa tonica per godervelo in sala (non starà diventando una moda, per gli italiani, girare in America, dopo Muccino e Sorrentino? Almeno qui, c’è l’inattaccabile giustificazione dell’ispirazione dall’omonimo romanzo newyorkese di Peter Cameron).

 James è un 17enne intelligente, profondo e sensibile: non ha ancora chiaro cosa farà da grande e chi è esattamente, com’è ovvio per un adolescente di qualità in cerca di se stesso. Inevitabilmente, per la sua sgangherata famiglia, è un disadattato, un pazzo, un tipo bizzarro e, non a caso, ogni tanto, quasi convinto, si lascia andare a pensieri e tentazioni suicide. In realtà, James sa chi non è, a chi non vuole assomigliare: alla madre, anzitutto, una gallerista che tenta di vendere opere quali bidoni della spazzatura con musica e ghiaccio secco incorporati, che ha lasciato il terzo marito durante la luna di miele e che ripete come un mantra – con sottofondo di musiche orientali -  che il passato non deve interferire con il presente; James si sente istintivamente diverso dal padre, un uomo d’affari che si fa la blefaroplastica per abbordare l’ennesima giovanissima compagna e dalla sorella che vuole  scrivere le sue memorie a 23 anni e, intanto, viene lasciata – disperata – dal docente universitario cinquantenne di origine polacca con cui stava. James (un belloccio Toby Regbo che studia da Jude Law) è tutt’altro: gli piace leggere, ma non ha voglia di iscriversi a tutti i costi all’Università, è tentato dall’idea di fare l’artigiano (sconcertando il padre) e ama passare le ora con la nonna Nanette, decisamente la meno fuori di testa del gruppo:  inevitabilmente, finisce da una psicoterapeuta, anzi da una ‘life coach’ (una preparatrice alla vita, nientemeno) e, correndo correndo, a prezzo di inevitabili sofferenze interiori, individuerà se stesso.

Il film non è soltanto la classica storia di un’iniziazione alla Holden, è un ritratto graffiante e ironico della nostra contemporaneità: siamo noi adulti gli esseri smarriti, anaffettivi, che inseguono pseudovalori omologati e conformisti e che considerano marziani le eccezioni positive che – come James – grazie al cielo, qua e là, riescono a sbocciare, malgrado noi. Poveri ragazzi, verrebbe di dire. Riflettendoci ancora su,  realizziamo presto come il disagio sia in realtà più vasto e, probabilmente, più grave. Fa bene Faenza, attratto dall’esplorazione  dei nodi esistenziali, alternando   privato e pubblico, passato e presente, ( I giorni dell’abbandono, I vicerè , Silvio Forever), a richiamarci su questa nostra folle corsa priva di mete chiare.  Il pensiero corre al gran bisogno di punti di riferimento, di modelli, di positiva memoria condivisa di cui  tutti noi – e qui non siamo più in America –  avremmo bisogno urgente. Una riflessione inevitabile, dopo le grandi manifestazioni di affetto tributate in questi giorni, da tutte le parti, a un cantautore-poeta come Lucio Dalla. Ma questo, probabilmente, è un altro discorso.

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