Editoriale

100 anni dopo: una Patria da riconquisatre

Con l'unità fu fatta l'Italia ma mancavano gli italiani, la Grande guerra fece gli italiani, ma mancava il senso della politica identitaria, ci provò il fascismo. ma... Ora bisogna ricminciare

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

e c’è un argomento che dovrebbe suscitare ottimismo e qualche speranza, anche in tempi di crisi economica, questo è l’idea di Nazione. Perfino l’etimologia della parola, con questo suo richiamo alla “nascita”, la natio latina, invita a pensare positivo, suscitando idee e sentimenti  di  identità, di radicamento e di rinnovamento.

Ben venga perciò anche il centesimo anniversario della prima guerra mondiale - quarta guerra d’indipendenza, se l’occasione serve a “ripensarci” italiani, evitando fughe ucroniche nel mondo dell’impossibile (E se l’Italia si fosse alleata con gli Imperi Centrali? E se fossimo rimasti neutrali? E se avessimo accolto l’appello papale sull’ “inutile strage”?).

La questione va evidentemente ben oltre le rievocazioni d’occasione. Essa riguarda la sostanza del nostro essere Nazione, i valori che essa richiama, la nostra Storia, l’idea che abbiamo della nostra Unità. Mette in gioco le ragioni stesse del nostro stare insieme come Stato unitario.

L’idea di Nazione è certamente “proiezione” identitaria, ma anche capacità quotidiana di   essere percepita nel cuore e nelle menti delle persone che la compongono.

E’ qui che bisogna trovare la sostanza del nostro essere Nazione unitaria, che ha tutt’altro che un valore retorico, perché si fonda ormai su storie comuni, su comuni linguaggi, su modelli di vita assimilabili, su simboli riconoscibili, che nessuno intende rinnegare. E questo perché è fatta di culture sovrapposte, di famiglie intrecciate nel complesso viaggiare tra Sud e Nord, tra cognomi che si mischiano e sfumano l’originaria appartenenza, tra usi e gastronomie che si confondono.

Proviamo/provate a sentire e a vedere questa nostra Italia fuori dalla retorica dell’ufficialità, del rito imposto, cercando di scoprire tutto ciò che ci unisce in termini suggestivi, di “immaginario collettivo”, piuttosto che a ciò che ci divide in ragione di tante storie diverse.

E’ Italia, c’è l’Italia, nella grandiosità del Colosseo e nell’austera bellezza delle Dolomiti,  “Patrimonio dell’Umanità”, nella Valle dei Templi ad Agrigento e nelle calli veneziane, nella federiciana immagine di Castel del Monte e nella Reggia di Venaria, nelle migliaia di città e paesi, segnate dall’originalità del nostro essere italiani. Così come per le raffinate produzioni della nostra industria, della nostra moda, della nostra gastronomia. Per il nostro sentirci diversi rispetto ai francesi piuttosto che agli inglesi ed i tedeschi.

Ecco, la nostra diversità e dunque la nostri identità nasce da qui, dalla “fisicità” del nostro essere, ancor più che dal nostro “pensarci” italiani. E’ proprio a partire dalle nostre tipicità che troviamo il senso del nostro percorso unitario e la nostra forza nazionale. Magari non sempre ne siamo consapevoli, ma nessuno è disposto a ripudiarla, perché essa fa parte di noi.

Un anniversario può aiutare a fare crescere questa consapevolezza, magari riscoprendo nelle vecchie foto di famiglia, nelle lapidi dei caduti, nelle rievocazioni in bianco e nero,  il senso non generico di una partecipazione popolare alla guerra e poi da lì le ragioni profonde di una ricomposizione nazionale, fatta letteralmente sul campo, dalle giovani élite, rappresentate dagli ufficiali di complemento, e dalle masse popolari,   che si incontrano sulla “linea di fuoco”; dagli italiani del nord e del sud, impegnati ad intrecciare i loro dialetti e a “capirsi” per la prima volta; dall’orgoglio di una Vittoria che abbraccia tutti, senza distinzioni di classe e di provenienza. 

Da questa consapevolezza anche un anniversario centenario può ritrovare la sua attualità e freschezza, trasformandosi in un atto di volontà collettiva : “riconquistare” la Nazione, per ritrovare in essa nuovo slancio sulla via del domani, convinti che comunque il futuro, anche in mondo globalizzato come l’attuale,  appartiene a chi ha la memoria più lunga.

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