Spigolando tra i giornali

In Forza Italia si comincia a discutere sul futuro (con un po' di disgraziato ritardo)

di Vincenzo Pacifici

In Forza Italia si comincia a discutere sul futuro (con un po' di disgraziato ritardo)

Tre articoli sono apparsi sabato su “Il Giornale”. Il primo è un “fondo” di Alessandro Sallusti, intitolato “Perché non può bastare un premier sindaco”, che si pone, tra qualche immancabile rilievo (la patente di simpatia attribuita al dott. Renzi appare tutt’altro che fondata e affatto condivisa, il paragone con le squadre di calcio “che in campionato fanno scintille” è poco credibile perché le “scintille” sono consentite dai sistemi e dai metodi seguiti ed imposti in Parlamento, calpestando i diritti dei pur deboli ed inconsistenti oppositori) ad un livello di accettabilità, anche se si dovrebbe parlare più che di inesperienza di inadeguatezza. Sallusti non si chiede però, noi, liberi, indipendenti ed autonomi, possiamo farlo, il nome del personaggio dal quale l’uomo che non ha alle spalle “un’ora di lavoro”, ha tratto tanta forza e tanta supponenza con l’accordo capestro, detto “Italicum”, la cui eventuale bocciatura provocherebbe la caduta del governo.

   Quanto mai discutibili sono invece le note di Giuseppe De Bellis “Una nuova idea di partito. Il sogno repubblicano di Berlusconi”, e di Fabrizio de Feo, “L’identikit del coordinatore manda Forza Italia in tilt”. Nel primo si parla di trapiantare l’esperienza del partito repubblicano americano in Italia, come fossero simili o assimilabili le situazioni base, gli ambienti, le mentalità e soprattutto la storia. De Bellis si lascia andare ad un accostamento, che con il fallimentare precedente richiamato, condanna il sogno di Berlusconi ad essere tale e a rimanere tale, “se il paragone non fosse improprio si potrebbe dire che la cosa più somigliante in Italia al Gop sia stato il Pdl, nel quale conviveva la destra sociale di An e la parte più liberale di Forza Italia”.

   E’ nella lista “di poche cose in cui un repubblicano deve essere credere”, che diviene del tutto improponibile in Italia il progetto,  null’altro che propagandistico: “liberalismo economico, quindi zero intervento dello Stato nell’impresa,  bassissima pressione fiscale, deregulation nella vita sociale, rispetto assoluto del dettato costituzionale”. Per gli elettori di destra,  attenti alla solidarietà e alla socialità, sono tutte idee o inaccettabili (la prima e la terza) o realizzabili solo dopo una lunga, delicata e complessa revisione  delle norme portanti dello Stato, nato in situazioni opposte e costruito da partiti dai principi antitetici.

   Il secondo contiene una presentazione anacronistica, perché del tutto superata: “da qui al 2018 dobbiamo trovare – asserisce il Cesare di Arcore – un federatore. Il centrodestra oggi è spappolato, abbiamo tre anni per ricostruirlo”. Ancora continuiamo? Non si comprende che l’intesa non è quella di federazione, ma di un cartello elettorale, destinato a sfasciarsi in caso di sconfitta o a marciare tra mille difficoltà in caso di successo. I pastrocchi, come l’accordo stretto in Liguria sia con Fratelli d’Italia che con Area popolare, non suscitano altro che legittimo e sacrosanto scetticismo con un candidato, tutt’altro che trascinatore, estraneo e catapultato da Arcore.

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