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Arrigo Boito

Inno alla sinestesia...

Abbandona il tuo orecchio alla musica, apri i tuoi occhi alla pittura: intuizioni “profetiche” di questo compositore

di Laerte Failli

Inno alla sinestesia...

Arrigo Boito

Questi colori dovrebbero avere una loro speciale strumentazione. Per esempio: il  bleu sarebbe rappresentato dagli strumenti a corda; il giallo dagli ottoni acuti; il verde dagli oboi, dai fagotti nel creare un ambiente pastorale: il viola dai flauti, dai clarini (…) il rosso dagli ottoni bassi”[1]

Così scrive Boito in una lettera a Giovanni Bottesini, parlando della danza dei colori, progettata  per l’opera “Ero e Leandro” a cui aveva iniziato a lavorare dopo la caduta del primo Mefistofele (1868) e che sfortunatamente rinunciò a condurre a termine cedendone il libretto appunto a Bottesini, musicista non certo all’altezza di un simile programma.

Quest’espressione di Boito sembra proprio rappresentare uno “spartito” che mette in contatto i linguaggi delle varie arti; note, semitoni e pause sono rimpiazzati da colori, suoni e immagini: questo “Inno” alla sinestesia esplicita perfettamente le novità apportate alla poesia da Correspondances di Baudelaire: la lirica è una descrizione della natura come libro non scritto a caratteri razionali, ma dove esiste una rete sotterranea di richiami, di rimandi, di analogie: i profumi freschi, gli oboi dolci richiamano infatti a sfere sensoriali diverse che si uniscono, si incrociano nei loro linguaggi per creare quel quadro che solo il poeta sa evocare e solo l’iniziato decifrare[2]

Sulla scia boitiana,nel solco dell’opera d’arte totale teorizzata da Wagner, in cui le “corrispondenze” tra i linguaggi delle varie arti si fondono in un'unica, somma creazione artistica ,si inserisce nel’ 900 il pittore russo Wassily  Kandinskij; gli esperimenti più efficaci si notano nell’ opera “il suono giallo” (1912) dove  egli esprime una mescolanza di colore, luce, danza e ritmo:

“Abbandona il tuo orecchio alla musica, apri i tuoi occhi alla pittura e smetti di pensare!chiediti soltanto se il pensiero ti ha reso incapace di entrare in un mondo finora sconosciuto. Se la risposta è si, che cosa vuoi di più?”.  Perfetto aforisma per descrivere l’intento di questi geniali artisti, che  facevano di un linguaggio senza parole il loro strumento di comunicazione, affidandosi all’intuizione e all’interiorità.

Non commettiamo l’errore di trascurare Boito come pioniere dell’esplorazione e delle varie sfere sensoriali e della contiguità dei linguaggi artistici. Nella produzione puramente poetica  egli ricerca soprattutto l’unione di poesia e musica basandosi sul ritmo dei versi più che su figure retoriche particolari; pur tuttavia la sinestesia non gli è sconosciuta, come si può vedere in “Dualismo”, in cui parla di un “aspro carme” associando dunque una sensazione uditiva ad una gustativa: “e in aspro carme immerso/ sulle mia labbra il verso/ bestemmiando vien”.

La poesia di Boito ha una musicalità tutta sua, lontanissima dalla melodia della tradizione petrarchesca italiana e richiama semmai le rime aspre e chiocce di dantesca memoria.

L’associazione musica e immagini, suono e visione ritorna spesso in alcune lettere e notazioni di Boito, anche nei libretti minori alcuni passi e soprattutto alcuni cori sono costruiti in funzione di una musica che sia fortemente evocativa;  oltre alla danza citata di “Ero e Leandro” possiamo prendere ad esempio l’umoristico coro del primo atto dell’Iràm, da alcuni ritenuto opera esoterico massonica ma molto più facilmente esperimento di “varie sinestesie”: “ trilla nel calice la birra bionda, trilla nel salice la molle fronda, tra l’erba e il grillo strilla il suo trillo, trillando tremolano l’aure sui fior (…) il mondo è un trillo per l’uomo brillo, vedo trillare il cielo e il mare, l’otre la ciotola, il fumaiol. Oscilla e rotola e trilla il suol.[3]  “

A parte le sinestesie vere e proprie come trilla il suol o vedo un trillo, è un vero peccato che ancora una volta Boito abbia rinunciato ormai preso dal furore creativo del Nerone a musicare questo suo stupendo testo poetico, tutto intessuto di brio e sottile umorismo. La musica avrebbe sicuramente saputo sottolineare non solo le sfumature sonore del testo ma anche perfettamente evocare la visione.. di un ubriaco.

Un procedimento simile lo ritroviamo infatti  nel prologo del Mefistofele, dove tramite strumenti a fiato e pizzicato d’archi viene rappresentata l’apparizione del demonio che si muove a scatti saltellando esattamente “al par di grillo saltellante a caso”. L’orchestra, prima ancora che Mefistofele inizi a cantare ci evoca l’immagine di un personaggio sinistro, in un’atmosfera grottesca e quasi infuocata, ma senza quelle sonorità eccessive e quasi ridicole con cui veniva di solito evocato il diavolo in musica, ad esempio nell’opera “Roberto, il diavolo” di Meyerbeer.

Del resto che Mefistofele sia “opera totale” si può vederlo anche dalla disposizione scenica curata dall’autore, pubblicata nel 1877 e riproposta e studiata da William Ashbrook  e Gerardo Guccini. Già per il prologo, nelle avvertenze pel pittore, il musicista indica:” come dunque appare dall’unito disegno, la scena deve essere mista di veli azzurri trasparenti e di tela opaca con effetti d’ombra fredda al basso, e trasparente calda a sinistra in alto. Nel fondale scintilleranno le stelle nello spazio infinito. Notte. Penombra fosca e fantastica”. Per chi conosca la stupenda musica del prologo queste notazioni evocano sicuramente la suggestiva magia di suoni e colori che lo caratterizzano dalla prima nota all’ultima.[4]

E ancora per il Sabba infernale (Atto II) dove già nell’introduzione la musica evoca la luce guizzante di un folletto, Boito raccomanda sempre il pittore “si devono cercare degli effetti di luce stranissimi, misteriosi, fantastici e una generale fusione tra il dipinto, la musica, il palcoscenico”.[5]

Tutta l’introduzione del Sabba vuole evocare una tenebra rotta da guizzi,lampi e strani bagliori; qui il musicista dà veramente delle note di regia perché anche la scena dia il suo contributo all’effetto generale.

Sono solo due esempi che però dimostrano come Boito intendesse veramente creare un’opera d’arte in cui palcoscenico, orchestra e linguaggio poetico si muovessero all’unisono: la musica doveva cioè evocare delle visioni, la poesia sprigionare già dai versi il proprio ritmo e la scena fare da sfondo al tutto.

Operazione riuscita? Molti critici ancora dicono di no, ma il pubblico è di parere contrario: e questa volta è proprio il caso di dar ragione al pubblico: capace di riconoscere i meriti dell’artista nel mare suggestivo dei suoni e delle immagini.



[1]Piero NARDI, Vita di Arrigo Boito, Mondadori,Milano, 1942 pag. 456

[2]Laerte FAILLI, La Sinestesia, in Corrispondenze, Il Cerchio, Rimini, 2011 pag. 14

[3]Arrigo BOITO, Tutti gli scritti, a cura di Piero Nardi, Milano, Mondadori, 1942 pag. 825

[4]William ASHBROOK – Gerardo GUCCINI, Mefistofele di Arrigo Boito, Milano, Ricordi, 1998 p. 42

[5]Ibidem p. 74

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