Potrai arrivare a chiamare Papà il tuo capo…

Alcuni segnali importanti che ti avvertono che stai lavorando troppo

di Il Melo

Alcuni segnali importanti che ti avvertono che stai lavorando troppo

Quando il troppo lavoro stressa

Nonostante i tempi, ove l’economia è in calo e non è cosa di cui lamentarsi, tra le altre frasi che hai sentito pronunciare da tuo cugino, non puoi dimenticare quella che dice “dobbiamo lavorare per vivere e non vivere per lavorare” e che ripete ossessivamente ogni volta parlate di lavoro.

Cioè, non dimentichiamo che esistono cose molto più importanti del lavoro, come per esempio le crocchette di patata della mamma, i sofà molto grandi dove “stendere” la ragazza da una botta e via e l’ultimo game da consolle difficilissimo da portare a termine. Con il coraggio di ricordare le priorità, qui ti elenchiamo alcuni segni di allarme: se ti riconosci in uno di essi è solo questione di lavoro, anzi di troppo lavoro. Equesta è una cosa che occorre evitare a ogni costo.

 

Risparmiare.  

Oggigiorno è possibile risparmiare solo se hai uno stipendio formidabile o se lavori così tanto che non hai tempo per spendere il denaro, a parte tutto quello che può fuoriuscire a causa di affitti ed altre spese che la tua banca ritiene opportunatamente di addebitarti. In pratica ti sei messo da parte qualcosa perché sono sei mesi che non entri in un negozio.

In realtà, è da tanto tempo che non compri vestiti, che la giacca si sta scucendo dietro le spalle e i pantaloni sono completamente scoloriti. Inoltre, le camicie sono sfilacciate sul collo e hanno un disegno ormai passato di moda da anni.

Non vai al mare dal 4 di agosto del 1999 e la tua pelle ha un tono verdognolo per colpa della scarsa esposizione al sole.

Una domenica mattina hai spento il cellulare e dieci minuti dopo, davanti a casa tua, si è presentata un'ambulanza perché eri stato colpito da angina pectoris.

I confini sono sempre più labili e trovi oggetti quotidiani lontani dal loro ambiente naturale. Per esempio, una lametta per radersi nel cassetto del tavolo di cucina. Una relazione di lavoro, nel comodino del bagno. Una camicia di scorta in un armadio dell'ufficio. Chiami papà il tuo capo o mamma la tua capa. Dai del carino all'attaccapanni!

Il tuo lavoro è uno schifo. Quando lavori troppo, sei troppo stanco per farlo bene. I tuoi giorni si sono trasformati in una successione di date di consegna, liste di scadenze pendenti, riunioni e conversazioni telefoniche il cui unico obiettivo è che nessuno ti sgridi troppo.

Alcuni giorni fa hai mangiato con i tuoi genitori e per tutto il tempo ti hanno parlato della tua ex che ancora rimpiangi.

Il tuo telefonino è pieno zeppo di notifiche di colore rosso. Centinaia di sms e mail senza mai rispondere. Gruppi di whatsapp trascurati. Aggiornamenti di apps e sistemi operativi disattesi. Se tanto ti piace giocare col tuo telefono, vai alla tua amata Cuba.

Ti mostri sovente molto irritabile, come quel giorno in cui ti hanno fatto un commento sulle tue occhiaie e hai dato fuoco all'ufficio. Avresti ringraziato per quei sei anni di prigione se non fosse per il tuo capo, sempre molto umano, che ti ha chiesto di lavorare anche all’interno della tua cella.

Il tuo account Instagram è una collezione di foto di graffatrici, commentate e punteggiate dallo 0 al 10.

Il tuo migliore amico si chiama Giovanni. O Riccardo. Magari Antonio. E’ un tipo alto, dai capelli castani, che dice sempre qualcosa di spiritoso. Uno che ha studiato al liceo con te. Che ha una fidanzata. O un fidanzato. Magari era solo il fratello. No, aspetta… un gatto. Ha, aveva un gatto. Nel bagagliaio dell'automobile. E quella signora pettegola all’angolo del bar l’ha denunciato per maltrattamento verso gli animali.

Ti devono 25 giorni di ferie da tanti anni, che ancora si usava la lira.

Trascorri le prime due ore della giornata lavorativa a redigere la tua lista di compiti pendenti. E hai cominciato ad aggiungere cose come: respirare, prendere una breve pausa per piangere di nascosto senza un perché, gridare contro qualcuno, tirare il telefono dalla finestra, masticare la cravatta del direttore generale, riflettere circa 30 secondi sul fatto che ciò che stai facendo abbia un senso, e concludere che la risposta più probabile è un inquietante no.

Ti dolgono varie parti del corpo a caso.

Non vuoi che assumano altre persone perché perderesti troppo tempo a insegnare loro quanto hai imparato in questi anni e, quindi, è più facile che continui a farlo tu, come del resto ogni cosa, perché in questa impresa nessuno sa fare niente. NESSUNO! E pensi, da anni “ Un giorno mi stuferò ed andrò via per non ritornare mai più. Allora si renderanno conto di quello che valgo e si dispiaceranno di non avermi dato quell’aumento, che chiesi loro. Rinchiudetemi fino a quando non ho finito questa relazione! HO ACQUA PER SEI GIORNI E MUTANDE DI RICAMBIO!”

Quando qualcuno Ti domanda come ti chiami, rispondi : “NON LO SO, E’ STRANO CHE NESSUNO ME LO DOMANDI! PERCHÉ ME LO DOMANDI? CHE COSA VUOI DA ME? SMETTI DI MANIPOLARMI! NON HO TEMPO PER QUESTI GIOCHI PSICOLOGICI! CREDI CHE SIA INNAMORATO DI TE?! MA, PER FAVORE, SPOSATI CON ME! NON MI GUARDARE! ROZZA, NON MI GUARDARE! ALLONTANATI DA ME! NON VOGLIO VEDERTI MAI PIU’!

Nel letto di morte riunirai i tuoi tre figli e domanderai loro come si chiamano. Quindi, passerai a spiegargli come hai stilato il contratto Orfani di Firenze, quando supponevi che l’azienda in cui lavoravi girasse a benefici. Concluderai con il divertente aneddoto : “l’avevo detto io, ah ah ah, sinergie, ci vogliono le sinergie! Bisogna pensare al lungo termine. Se il cliente ha un bilancio solido che firmi per cinque… an...”

Chiuderai gli occhi prima di esalare l’ultima parola. Avrai avuto una vita piena.

L’unica cosa di cui ti dispiacerai è di non avere passato più tempo con quella persona… Come si chiamava? Ah sì, “moglie”. Sembrava-ma lo era?- gradevole.

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