Editoriale

Il Prof. Monti fa il "maestrino" e bacchetta gli italiani

Una politica più a destra di Berlusconi, sottoscritta da Bersani, dettata dai poteri finanziari

Steve Remington

di Steve Remington

guardarsi intorno ti viene il dubbio che Mario Monti non sia a Palazzo Chigi da soli 100 giorni, spiccioli più spiccioli meno, ma da cento anni. Prendete il capitolo del debito pubblico, vero mantra di questo governo tecnicamente tecnico ma più politico di quelli espressi dalla politica, o la riforma del lavoro. Montagne inespugnabili ieri, collinette spianate oggi.

Ebbene ovunque sia andato Monti ha portato a casa i complimenti dell’interlocutore di turno. Obama, la Merkel, Sarkozy, le comunità finanziarie, l’Unione europea, il club delle giovani Marmotte, il circolo degli scacchi.

L’ombra del dubbio sulle possibilità del Belpaese, e non delle capacità, si badi bene, è stata spazzata via come acqua fresca.

Eppoi lo spread,  l’incubo degli italiani, il bromuro delle famiglie, tornato ad essere una cosa normale e non un mostro a due teste. Per non parlare poi della riforma delle pensioni. Nemmeno Mago Merlino sarebbe riuscito a far tanto in poco tempo.

Allora l’effetto Monti esiste davvero? Calma e gesso. Questi primi cento giorni hanno dimostrato, grazie ad un vero e proprio tour de force televisivo nel corso del quale il premier ha visitato tutti gli studi televisivi, che il professor Monti sa tenere l’aula, ha il polso adatto per gestire la classe dei ripetenti e impenitenti, quale si è rivelata essere la società italiana, ammalata di sprechi, evasione, ricchezza ostentata e voglia di strafare.

La prima lezione, moderna interpretazione di un corso d’inglese, ci ha insegnato che dobbiamo tornare con i piedi sulla terra e limitarci a spendere non quel che guadagniamo, come abbiamo fatto sino ad ora, ma ciò che ci è consentito. Appare ormai chiaro, infatti, che rientrato in parte il differenziale dello spread, il governo Monti si sta dedicando al tentativo di riscrivere le norme che regolano il Welfare, le relazioni industriali e il mercato del lavoro. In una parola, l’organizzazione economica e sociale del Paese.

E appare altresì chiaro in che direzione e a vantaggio di chi lo sta facendo.

L’ossessione contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha un valore simbolico molto più alto di quello materiale, per questo l’accanimento. La sua abolizione contiene in sé un valore paradigmatico delle relazioni industriali che si vuole imporre ai lavoratori e proporre alle imprese.

Tutto questo in cento giorni? Possibile? E se, invece, questa raccolta copiosa di frutti fosse il portato di quanto seminato, ma mai raccolto dal precedente governo? Ipotesi più che plausibile, considerati i danni provocati da Giulio Tremonti, di cui finalmente si vedono i risvolti, ma del quale non si trovano le tracce. Manca, insomma, la pistola fumante.

Certo è, leggendo il bilancio vero dei primi cento giorni dell’era Monti, o primi cento dopo Berlusconi, che risulta difficile scorgere elementi di discontinuità rispetto alla guida Berlusconi. Non ci sono la patrimoniale, la riduzione delle spese militari e l’uscita dai conflitti dove siamo impegnati. Esigenze del Pd, da una parte e del Pdl dall’altra. Non ci sono imposizioni o anche solo regolamentazioni al sistema bancario e mancano provvedimenti contro le speculazioni dei cartelli assicurativi, come chiesto anche dai centristi. Nessun controllo sulle aziende che aggirano le normative con trucchi contabili, non vengono previsti gli stop alle opere pubbliche dispendiose e non c’è la vendita all’asta delle frequenze televisive, battaglia attorno alla quale il Pd aveva dato l’intenzione di voler buttare il cuore oltre l’ostacolo.

Certo, abbiamo assistito al grande battage mediatico sul contrasto all’evasione, ma il ripristino del reato di falso in bilancio non è alle viste e di sole operazioni spot non si può campare. Pagano in termini d’immagine, fanno discutere, accendono le discussioni a cena. Ma conti di uno Stato non si risanano così. Ci vuole ben altro. E se a tutto questo aggiungiamo l’ubriacatura collettiva data dalle liberalizzazioni, il quadro che ne viene  fuori non è poi così esaltante.

Dategli tempo, dicono i buonisti, fateci lavorane, ribadiscono i tecnici-politici. E noi giù a firmare cambiali in bianco. Fino a quando però?

Dicono che questo Monti sia, in realtà, un uomo di destra ancorato ai desiderata dei poteri forti che lo sostengono fintanto che il suo lavoro premia i loro interessi. Può darsi. Però a tenerlo in piedi, più che il sostegno del Pdl, è il silenzio del Pd. Silenzio  imbarazzato e imbarazzante, sintomo di una totale mancanza di strategia, oltreché di leadership.

La prova, anche se non la si può considerare, quella del nove, nell’ultimo sondaggio settimanale sfornato ieri sera dal Tg de La7, diretto da Enrico Mentana. Dopo  la doccia scozzese delle primarie di Genova, dove il candidato vendoliano ha sbaragliato il sindaco uscente Marta Vincenti, la quota Pd è scesa al 27,6% con un calo dell’1,4% rispetto alla scorsa settimana. Si avvicina, così, il Pdl, stabile al 23,5%, segno che la strategia di appoggio a Monti non sta al momento costando preferenze al Cavaliere. Leggermente in ripresa la Lega , al 10,4% (+0,5) e su anche il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, al 4,4% (+0,4). A sinistra il Pd è l’unico a perdere, oltre a Sinistra e libertà di Vendola che scende di uno 0,3 al 6%. L'astensione si attesta al 33,4%, pari esattamente a un terzo degli aventi diritto. E oggi ci sarà pure chi brinderà a cento di questi Monti. Pardon giorni.

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