l rapporto fra poeta e musicista

Falstaff: due geni per una burla

C’è dunque tutto un nuovo equilibrio tra musica e letteratura: il testo, il famigerato “libretto” non dove avere più solo funzionalità drammaturgica...

di Domenico Del Nero

Falstaff: due geni per una burla

Tutto nel mondo è burla: questa “fuga buffa” chiude il Falstaff e con essa cala il sipario sulla carriera operistica di Giuseppe Verdi: un finale davvero stupefacente,  per il compositore che, come scrisse d’Annunzio: “Dette una voce alle speranze e ai lutti; pianse ed amò per tutti”.  Eppure, fra tante tragedie, il desiderio di scrivere un’opera buffa non si era mai sopito in Verdi, almeno da quando, nel 1840, era rovinosamente caduta alla  Scala il suo secondo lavoro Un giorno di regno, a carattere giocoso ma forse poco sentito dal compositore, colpito tra l’altro da terribili sventure familiari.

Il “pancione, lo sfonda – letti, lo schianta scranne” come lo chiamavano scherzosamente i due compositori un tempo rivali ma ormai fraterni amici, Arrigo Boito e Giuseppe Verdi, approda ora, graditissimo ritorno, al teatro dell’Opera di Firenze con una coppia veramente collaudata: Zubin Mehta e Luca Ronconi, che hanno già firmato insieme una edizione al Maggio Musicale nel 2006. Sei recite, dal 29 novembre al 12 dicembre, per quello che si annuncia, senza nulla togliere agli altri, come lo spettacolo più promettente di questa stagione.

 

Regista del  secondo e ben più fortunato tentativo comico di Verdi fu dunque Arrigo Boito (1842-1918) il grande poeta e musicista scapigliato che, dopo le incomprensioni giovanili, si era, dietro intervento di Giulio Ricordi affiancato a Verdi sacrificando la sua stessa attività di compositore, nonostante il trionfo del Mefistofele, trascurando la composizione del suo monumentale e bellissimo Nerone.  Dopo le prime rappresentazioni dell’Otello (1887) i dirigenti della Scala avevano espresso il desiderio di avere presto un’altra opera verdiana; e curiosamente Gaetano Negri, sindaco di Milano, aveva aggiunto: “un’opera buffa”. Ecco allora che, sempre nel segno di Shakespeare, Boito prova nel luglio dell’89 a sottoporre a Verdi lo schizzo di un Falstaff : la reazione è subito entusiasta, il musicista legge attentamente L’Enrico IV, Enrico V e Le gaie comari di Windsor in cui compare il grasso, furfantesco e canagliesco sir John Falstaff (ispirato, pare, ad un personaggio dell’età elisabettiana realmente esistito) e sembra innamorarsi del soggetto; non senza però qualche perplessità, dovuta ai suoi 76 anni: “E se non reggessi alla fatica? E se non arrivassi a finir la musica?” scrive preoccupato a Boito,  timoroso anche di distrarre il più giovane collega dalla composizione del suo Nerone.

La risposta di Boito travolge e spazza via ogni esitazione: “C’è un solo modo di finire meglio che con l’Otello ed è quello di finire vittoriosamente col Falstaff.  Dopo aver fatto risuonare tutte le grida ed i lamenti del cuore umano finire con uno scoppio immenso d’ilarità! C’è da far strabiliare!”

Il rapporto fra poeta e musicista ormai amici corse questa volta sereno, senza quelle tensioni che avevano talvolta caratterizzato gli anni dell’Otello. Si ha anzi la sensazione, nella corrispondenza tra i due, che il lavoro al pancione  fosse spesso una sorta di gioco: “lo lasci fare, lo lasci correre, romperà tutti i vetri e tutti i mobili della sua camera, poco importa…vada tutto a soqquadro, ma la gran scena sarà fatta. Evviva! Dai, dai! Che Pandemonio!” scrive Boito a Verdi per incoraggiarlo in un momento di stasi. Eppure questo “gioco” ha prodotto un capolavoro straordinario, il cui merito (senza toglier nulla a Verdi) è senz’altro anche del testo boitiano, giudicato a buon diritto esemplare nel genere non sempre eccelso della librettistica.  Da sempre attento, sia nella creazione poetica che in quella musicale, al rapporto tra poesia e musica,  a ricercare l’affinità e il legame profondo tra il verso e la nota, Boito compone dei versi che sembrano spesso contenere già in se stessi il proprio ritmo, la propria “anima” musicale. “ Parla il tuo verso finché dall’accento giusto, parlato, esca il ritmo e l’intervallo musicale da sé” scrive Boito in un suo taccuino dei primi anni del Novecento, ma queste considerazioni, che egli faceva per il suo Nerone, possono valere benissimo anche per il Falstaff.  Ancor più straordinaria appare quindi al riguardo la sintonia tra i due artisti, ormai affratellati da un grande progetto comune. Il testo boitiano, costruito con un occhio di riguardo alle Gaie Comari ma senza trascurare gli altri drammi “falstaffiani” si regge tutto su un delicato equilibrio di temi e motivi, da quello comico a quello fiabesco (la scena della regina delle fate), con un idillio appena accennato (Fenton e Nannetta) e anche un tocco malinconico di medioevo al tramonto; con sir John si chiude un’epoca e il personaggio ne è ben consapevole (Va vecchio John per la tua via). Se ne accorse bene quella gran donna di teatro che fu Eleonora Duse, che, sia pure esagerando, scrisse a Boito “mi è parsa una cosa così malinconica quel Falstaff”. Il vecchio cavaliere, pur nel presentimento della sua fine, non si piega e riesce a sorridere anche di se stesso.

C’è dunque tutto un nuovo equilibrio tra musica e letteratura: il testo, il famigerato “libretto” non dove avere più solo funzionalità drammaturgica, anche a costo di versi e espressioni orripilanti come la mogliera frullata del Macbeth  o sento l’orma dei passi spietati  del Ballo in Maschera, con contorno di figli perduti e ritrovati, amori impossibili e via … cantando,ma deve anche avere una dignità poetica e letteraria che miri per l’appunto all’armonia, alla fusione tra parole e musica. E anche qui non mancano certo le novità:  L’aspetto più vistoso del tardo stile verdiano, a cui i maestri “veristi” dovevano in larga misura rifarsi, consisteva in nuovo equilibrio tra strumentalismo e vocalità: il canto strofico poi, che nelle sue categorie e schematizzazioni tradizionali era stato alla base dell’opera italiana, non spariva del tutto ma subiva una significativa erosione, mentre l’orchestra assurgeva al ruolo di vera e propria protagonista.

  E’ un soffio dionisiaco quello che percorre il testo di Boito non a caso attento lettore della Nascita della Tragedia di Nietzsche e che  ma questa volta la maschera enigmatica del dio non disdegna di piegarsi al sorriso, anzi alla gaia risata che il grande vecchio fa sprigionare come una sorta di catarsi dopo tanti lutti e tanti pianti dei sui drammi precedenti. Un capolavoro straordinario di un ottuagenario, forse il suo più grande capolavoro.

L’edizione di Firenze vede schierati due baritoni,  Ambrogio Maestri e Roberto Candia (9,12 dicembre) nel ruolo di Falstaff e Alessandro Luonghi in quello di Ford (ma il 29 novembre e il 7 dicembre sarà lo stesso Roberto Candia a calarsi nei panni del rivale del grasso cavaliere). Le tre comari saranno rispettivamente Eva Mei (Mrs. Ford) Elena Zilio (Mrs. Quickly) e Ekaterina Sadovnikova (Nannetta Ford), mentre il giovane innamorato Fenton sarà Yijie Shi. Sul podio Zubin Mehta, che ha già dato una bellissima lettura dell’opera nel 2006; la regia  di Luca Ronconi si avvale delle scene di Tiziano Santi e dei costumi di Maurizio Millenotti:   “Mi rendo conto ora che anche quello che avevo fatto a Firenze era in abiti anni ’50, era spiritoso ma di una certa frivolezza, a tratti addirittura inconsistente. Questo al contrario è leggerissimo, ma ha una consistenza maggiore. A livello dei rapporti intersoggettivi, e perfino per quanto riguarda la scenografia. Ce n’è pochissima, solo quello che è scenicamente necessario: nel corso dell’opera cambiano solo tre tappeti, e nel terzo atto tra il primo e il secondo quadro non c’è intervallo, né soluzione di continuità visiva. Spero di essere riuscito a fare un Falstaff lineare e senza stupidaggini, senza finte trovate, leggibile da ogni persona di buon senso” – dichiara Ronconi nelle note di regia. [1]

Uno spettacolo dunque, da non perdere assolutamente.

 

Rappresentazioni: 29 Novembre, 2, 4, 9,12 dicembre ore 20,30; 7 dicembre ore 15,30.

 

                                                TRAMA DELL’OPERA[2]

 

ATTO I

 

Parte prima
All’osteria della Giarrettiera, il Dottor Cajus si lamenta di essere stato derubato da Bardolfo e Pistola, servi di Sir John Falstaff. Questi, dopo aver assolto i due furfanti, si rende conto di non aver abbastanza soldi per saldare il conto dell’oste e decide di corteggiare Alice Ford e Meg Page, due ricche signore di Windsor.

 

Parte Seconda
Nel giardino della casa dei Ford, Alice e Meg si accorgono di aver ricevuto due lettere d’amore perfettamente identiche da parte di Falstaff. Assieme a Quickly e a Nannetta, la figlia di Alice, decidono quindi di vendicarsi dell’affronto subito. Nel frattempo anche Ford, avvisato dei piani di Falstaff da Bardolfo e Pistola, medita vendetta assieme al Dottor Cajus e a Fenton, il giovane corteggiatore di Nannetta.

 

ATTO II

 

Parte prima
Dopo che Quickly ha invitato Falstaff ad un appuntamento con Alice per il pomeriggio, compare Ford sotto il falso nome di signor Fontana. Egli lo supplica di sedurre Alice cosicché, una volta perduta la sua virtù, la bella possa finalmente concedersi anche a lui. Falstaff gli confessa di avere già un appuntamento con Alice, aumentando terribilmente la gelosia di Ford.

 

Parte seconda
Mentre Falstaff è impegnato a corteggiare Alice, Meg entra precipitosamente in casa e afferma che Ford, scoperto tutto, vuole uccidere l’amante della moglie. L’annuncio fa parte della burla e il cavaliere si nasconde dietro un paravento. Irrompe quindi Quickly, dichiarando che Ford è davvero in arrivo. Falstaff, celatosi ora in un cesto per la biancheria, viene gettato nel Tamigi.



ATTO III

 

Parte prima
Quickly torna da Falstaff per fissare un nuovo appuntamento, questa volta alla quercia di Herne, a mezzanotte. Egli dovrà però abbigliarsi da Cacciatore Nero, con un enorme paio di corna in testa.

 

Parte seconda
Nel parco, Falstaff è terrorizzato dagli abitanti di Windsor travestiti da creature fantastiche. Scoperta la burla, e festeggiate le nozze tra Nannetta e Fenton, non gli resta che di esporre la morale della storia: Tutto nel mondo è burla!

 



Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.

TotaliDizionario

cerca la parola...