Cultura della scarsità

Ma è esistita un’era senza Google?

di Il Melo

Ma è esistita un’era senza Google?

C'è una frase ambigua dello statista francese Talleyrand che Bertolucci colloca all'inizio di uno dei suoi film, l'autobiografico “Prima della rivoluzione.” Dice così: “chi ha vissuto prima della rivoluzione non sa cosa sia la dolcezza di vivere”.

La frase può essere interpretata come nostalgia pura per i vecchi tempi dell'assolutismo, benché molti preferiscano leggerla in un altro senso: non puoi assaporare veramente quello che ora hai se non esiste un riferimento di paragone.

Provengo da una cultura della scarsità e della paura. Nel 1974, quando ho voluto sottoscrivermi a una rivista straniera di calcio il direttore delle Poste del mio paese, che stava gestendo il pagamento, ha insistito per parlarmi a quattr’occhi nel suo ufficio.

Era allarmato, ma ha voluto sincerarsi: “Massimo, assicurami che è veramente una rivista di sport, e non qualcosa che nasconde della letteratura sovversiva o mera pornografia!”

Come tutti gli impiegati statali era ossessionato dalle Brigate Rosse e dall’estremismo comunista di quel tempo. Perfino, per qualcosa di tanto innocuo come il calcio, dovevi affrontare difficoltà assurde. L’Italia, in quel periodo, era sotto la scure della censura ed ogni argomento, o immagine, che sembrava potesse andare contro la morale e il pudore veniva eliminato.  Così, una copertina di un LP di Baglioni con una ragazza troppo osé doveva essere modificata; l’ombelico della Carrà coperto; le canzoni di Dalla purgate di determinate parole…

Ora, invece, siamo abituati a ordinare dischi e libri con internet, a trattare con le dogane, a viaggiare senza problemi da una Nazione all’altra alla ricerca di riferimenti inediti.

Ai miei tempi il web sarebbe stato qualcosa di miracoloso solo a pensarci. Le informazioni erano scarse; non esistevano telegiornali che trasmettevano 24h al dì. In quel vuoto radicato e un po’ voluto, arrivavano notizie disparate, alcune folli come quella che narrava della morte di Paul McCartney e della sua sostituzione con un sosia; si sussurrava che Jim Morrison avesse simulato la sua morte per essere finalmente libero di vivere a modo suo.

Certo è che anche nell'era Google abbondano le bufale. Ma, con un po' di pazienza, uno finisce per scoprire, quasi sempre, la verità; inoltre, nel processo di accertamento si esercita lo scetticismo, s’impara a distinguere la credibilità del sensazionalismo. Specificamente, nel giornalismo musicale o cinematografico o sportivo (calcio) si sono trasformate radicalmente le regole del gioco.

Alla radio o sulla stampa, prima di internet, avevamo il vantaggio dell'accesso alle novità, con settimane di anticipo sull'arrivo nei negozi. Oggi, chiunque ottiene musica, perfino nel posto più remoto, a volte prima della pubblicazione ufficiale. La nostra professione si è trasformata: volenti o no, ora siamo pre-scrittori, guide di un safari in un territorio inespugnabile.

E così è finito il dogma dell'infallibilità. Qualunque errore o depistaggio è segnalato immediatamente nei commenti; se critichi troppo un certo artista, un calciatore, un attore,  i suoi seguaci ti trasformeranno in un comodo punching-ball nei loro forum, dove ti insulteranno impunemente. Per alcuni, questo è diventato un incantamento mortificante. Ma che, però, ci ha fatto migliorare: torni a rivedere i tuoi testi, comprovi i dati più triviali, scopri che Wikipedia non è infallibile, anzi!

Soprattutto, siamo scesi dalla torre d’avorio. Siamo coscienti che ci rivolgiamo verso persone in carne ed ossa: non si tratta più di una massa anonima. Sai che possono essere informati quanto te, nonostante tu possegga un bonus da aggiungere al tuo vissuto come giornalista. Approfondisci, analizzi il contesto ed assommi la tua esperienza.

Giochiamo nello stesso recinto ma, attenzione, alcuni utilizzano trucchi da vecchio cane furbacchione.

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