Editoriale

Chiesa e Partito

La sfida della storia accomuna una volta di più le massime Istituzioni religiose e laiche

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

ella pubblicistica degli anni ’70 del secolo scorso, fioriva spesso il paragone del Partito Comunista con la Chiesa, in particolare quella cattolica. Prescindendo ovviamente dalle origini e dai contenuti, non si trattava di un accostamento del tutto fuor di luogo: come la Chiesa, infatti, quel Partito offriva ai suoi seguaci una visione onnicomprensiva del mondo e della storia; come quella, poteva contare su Profeti, Martiri e Santi o Figure Esemplari; talune procedure e liturgie presentavano non pochi tratti in comune: processioni/cortei, sinodi/politburo, Concili/congressi; e poi c’era  l’uso di parole-chiave, la nozione stessa di peccato (contro Dio o contro il Partito, unico rappresentante del Proletariato divinizzato); perfino la tragica parodia di un sacramento come la confessione/autocritica - unitamente alla comune regola della frugalità e dell’obbedienza - sembrava giustificare la designazione del Partito Comunista come Chiesa laica; una Chiesa che conosceva e praticava l’Istituto della scomunica, ma ben più raramente quello del perdono. Vi era – e, nella “vulgata” comune, vi è tuttora – ancora un profilo di somiglianza: l’esser vicini agli ultimi, ai più deboli, sia la Chiesa che il Partito Comunista, entrambi in spregio del potere mondano. Soltanto su questo aspetto, sarebbero possibili non infondati rilievi critici: qui, per il comunismo ci limitiamo a ricordare che l’esercizio del potere nei regimi che ha ispirato ha comportato sofferenze proprio ai più deboli e, per la Chiesa, che, secondo San Paolo, ogni autorità viene da Dio e che la povertà evangelica va intesa in senso simbolico.

Tonando agli accostamenti, soprattutto l’approccio fideistico e teleologico alla realtà poteva essere assimilato nelle due Istituzioni, dislocando, in un caso, la felicità possibile in una dimensione salvifica ultramondana, nell’altro collocandola in un futuro indefinito, dove l’immancabile vittoria nella lotta di classe avrebbe ricondotto i fedeli ad una vera età dell’oro. Per entrambi quei soggetti, insomma, il presente aveva il significato ed il valore di banco di prova nel cammino del riscatto, tanto da poter sacrificare beni se non effimeri almeno secondari – borghesi? – come la proprietà privata e la stessa libertà individuale, subordinandoli al conseguimento del più alto traguardo a venire, sotto la guida illuminata degli interpreti autorizzati delle Scritture (ovviamente Vecchio e Nuovo Testamento, da un lato, Capitale o Libretto Rosso, dall’altro).

Oggi, se la Chiesa – che del resto vanta origini divine e da sempre si pone come Corpo Mistico votato all’Eternità, ma chiamato ad operare nel tempo storico – sembra attraversare una fase di trasformazione, proprio a partire dai suoi vertici, è sotto gli occhi di tutti la crisi profondissima che investe l’Istituzione-Partito, fin nell’ultimo esponente di questa moderna, fondamentale formula associativa della Politica, vale a dire il Partito Democratico, erede di “quel” Partito Comunista.

Il fatto è che mentre la Chiesa si trova ad affrontare, come le è sempre accaduto nel suo cammino bimillenario, la sfida della storia, che le impone di far salvi principi e valori fondanti – “non negoziabili” – tentando, di generazione in generazione, di conciliarli con le istanze del presente (oltretutto nel pieno di un lungo processo di secolarizzazione), il Partito, fino a ieri basato su valori altrettanto fermi e irrinunciabili, appare inadeguato a fronteggiare l’analogo processo di secolarizzazione che lo ha investito, fin dalla fine delle ideologie, intese come complesso interpretativo del Libro e della sua religione laica.

Ora il passato e il futuro sono relegati in secondo piano, facendo premio su tutto il Presente (per limitarci ad un piccolo esempio della quotidianità italiana, basti pensare alla possibilità di farsi anticipare in busta paga il TFR, fino ad oggi presidio reddituale dell’avvenire, al termine del ciclo lavorativo). Certo, la Chiesa non rinuncia ai suoi principi: ci mancherebbe altro! Tuttavia, la loro attuazione negli indirizzi pastorali – emersi, da ultimo, nel recente Sinodo straordinario per la famiglia – appare talmente edulcorata e diluita da far dubitare non pochi fedeli della loro sussistenza: basti pensare all’indissolubilità del matrimonio, fortemente scossa dal “nuovo” atteggiamento raccomandato nei confronti dei divorziati desiderosi di accostarsi ai Sacramenti, ed alla stessa nozione di peccato, in presenza di convivenze non santificate dal Sacramento. Su questa linea, che privilegia il tempo presente rispetto all’eternità, non ci stupiremmo di una inversione di tendenza, in materia di difesa della vita, ad esempio consentendo – magari come caso d’eccezione, di gesuitica memoria – l’uso del profilattico, specialmente in Africa…

Quanto al Partito, a fronte di una frangia ancora ampia di “fedeli” – bollati dall’attuale dirigenza come patetici seppur legittimi esponenti di una retroguardia destinata ad essere spazzata via dalla storia: ecco un determinismo di ritorno… - pronti a scendere in piazza per difendere totem e tabù d’antan, si va diffondendo una sensibilità allogena, secondo la quale il Partito – “quel” Partito, erede del PCI -  non solo deve avere una composizione interclassista, ma deve essere fluido e leggero, nel recepire le istanze del tempo e nel proporre soluzioni variabili ai problemi dell’ora, anche a quelli di fondo, come la trasformazione del lavoro e delle Istituzioni Costituzionali, o come l’atteggiamento da tenere di fronte all’ingegneria genetica ed all’evoluzione/involuzione della famiglia, o ancora, come le alleanze in politica estera e, naturalmente, il ruolo da occupare in Europa e nel mondo. Corollario: se il Partito Guida sovietico – ma poi anche quello italiano – fu contrassegnato nell’ultima fase della sua esistenza, prima dell’avvento del “rottamatore” Gorbaciov, dalla gerontocrazia, la guida del nuovo corso viene coerentemente assegnata ai giovani emergenti, preferibilmente di comprovata fedeltà al leader del nuovo corso.

Dunque, la sfida della storia accomuna una volta di più le massime Istituzioni religiose e laiche, mentre una profonda trasformazione della civiltà nella quale siamo nati e vissuti e che ormai impropriamente continuiamo a chiamare “crisi”, esplica i suoi effetti, inducendo a porre in ombra, come dicevamo, passato e futuro, per fronteggiare una perenne emergenza del presente. In un tale contesto, i simboli e i leader chiamati a rappresentarli rivestono un’importanza cruciale, ma ancor più appaiono decisive le identità e, dunque, i riferimenti alle proprie radici, ricordando che non solo chi non ha passato non ha futuro, ma vive male anche nel presente.

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