Quegli stessi bus si sono fatte tombe

Hazara- Muharram 1436- sacrificio

Otto le vittime questa volta, lì al mercato ortofrutticolo di Quetta, a due giorni dall'inizio di Muharram

di Marika Guerrini

Hazara- Muharram 1436- sacrificio

E’ così tanto il tempo trascorso da che, un giorno, ci trovammo per la prima volta a salire su uno di quei bus che trasportano da un luogo all'altro la vita degli uomini, laggiù. Uno di quei bus che, come i camion, al passaggio rallegrano la via, quelli che, di giorno, narrano la  storia contingente e non, snodandola in colorate immagini dipinte, e di notte, rallegrano il buio accendendolo di colori lampeggianti da decine di piccole luci che li incorniciano. E' così tanto tempo che quegli stessi bus si sono fatte tombe, spesso, molto spesso, quasi sempre ormai, tombe del popolo Hazara. 
E' quel che si è consumato a Quetta ancora una volta. 

Quetta la città pakistana di cui spesso abbiamo trattato, la città al confine con l'Afghanistan di Kandahar e con l'iran, lì, nel Baluchistan meridionale, in quella martoriata regione in cui vive la più cospicua comunità del popolo Hazara in Pakistan. Quetta, con la sua città nella città, Hazara Town, appunto, con le sue scuole, la tradizione della sua gente, il suo indipendente tutto, e lì, ancora lì, e sempre lì, continua, nel silenzio del mondo, a consumarsi il genocidio di quel popolo. 

In quest'ultimo mese di ottobre gli attentati mirati hanno consegnato ancora vittime hazara alla storia. Dinamiche sempre le stesse, per mezzo di un suicida, come nei primi giorni del mese, con cinque vittime o, come due giorni fa, con motociclisti che assaltano un autobus dei colori, della storia, della tradizione, che ora raccontano anche gli attentati nei loro disegni con scoppi di fuoco. Otto le vittime questa volta, lì al mercato ortofrutticolo di Quetta, a due giorni dall'inizio di Muharram, un mese sacro, il mese del dolore per gli sciiti, quello del ricordo di Kerbala nel 61° anno dell'Egira, 680 del nostro Anno Domini. Kerbala, la battaglia, in cui perse la vita terrena Husayn Ibn Alì, cuore pulsante dello Sciismo. 

E ancora e sempre Hazara ad essere immolati, colpevoli di nulla se non che di vivere in un luogo ricco di risorse minerarie, non certo d'essere sciiti come si vuole si creda, luogo che, ricordiamo a chi l'avesse dimenticato, si vuole sgombro sì da farne un immenso sito minerario con agglomerato urbano ad uso e consumo straniero.

Tutto mentre continua l'inettitudine del governo centrale pakistano e del governo provinciale del Baluchistan, tutto con il via libera ai vari Lashkar-e-Jhangvi, forse, data l'assenza d'ogni recente rivendicazione. Ma per noi i gruppi terroristici sono sigle senza alcun valore, che sia  nome o attribuzione o motivazione o rivendicazione, poiché la sostanza non cambia, il sacrificio hazara non cambia, il dolore non cambia. Ora è così tanto tempo che denunciamo il genocidio del popolo Hazara che le parole si sono fatte vane, le consegniamo per questo a Hùshal Hàn, a quell' antica poesia da lui vergata ch'era il diciassettesimo secolo del tempo gregoriano, da noi già citata in altre pagine, quella sua poesia che dice:

Il dolore è una cosa

che bisogna tenere ben cucita nel cuore

tenerla a disposizione

sì che forse se ne accorga

un certo giorno 

il Signore. 

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