L'altra metà del genio

In amor vince chi fugge, lo sapeva bene il conte di Cavour che collezionò amanti e portò al suicidio Anna Giustiniani

Pare che fosse fascinoso le donne impazzivano per lui e lui non se ne lasciava scappare una ma senza appassionarsi mai

di Francesca Allegri

In amor vince chi fugge, lo sapeva bene il conte di Cavour che collezionò amanti e portò al suicidio Anna Giustiniani

A vederlo così, come ce lo presentano i libri di scuola, con la faccia rotondetta, la barba e gli occhiali tondi, ha l’aria del secchione, come ce n’è uno in ogni classe. Camillo Benso Conte di Cavour non ha certo l’aspetto nobilmente pensieroso di Mazzini o la bellezza gagliarda di Garibaldi o, infine, le sembianze un po’ rudi e quasi contadinesche di Vittorio Emanuele I; fra i padri della patria è quello che sembra avere il minor fascino virile.

Mai impressione fu più errata, il Conte fu in gioventù un accanito frequentatore di case da gioco e un impenitente  tombeurde femmes; non bellissimo, aveva  quello che alle signore piace più della bellezza: il fascino.

Amò molto, ma spesso con una certa superficialità e fu quindi più amato che amante, ma tutte, anche quando, e succedeva spesso, era lui a lasciarle lo definirono buono, e non è certo un complimento da poco per donne che erano state abbandonate.

Certo le donne amano spesso con maggiore profondità, è cosa da sempre risaputa, come ebbe a dire addirittura Boccaccio nella sua introduzione al Decameron, gli uomini hanno mille distrazioni, le donne, invece, vivono, o meglio vivevano, soprattutto in casa, sentendo così maggiormente le pene d’amore.

Fra le numerose amanti dello Statista una merita un ricordo: Anna Schiaffino Giustiniani, non fosse altro per la sua tragica fine e per l’intenso epistolario che ha lasciato. Una vita nata all’insegna di molte fortune, quella di Anna, nipote di un ministro napoleonico, nacque in Francia nel 1807 e qui rimase per tutta la fanciullezza, ebbe il bene di un’educazione assai accurata, conosceva le lingue  e aveva una buona cultura letteraria, i suoi mezzi ingenti e la nobile casata le consentivano poi di frequentare la migliore società.

I problemi nascono sostanzialmente con il matrimonio con il conte Giustiniani, uomo con il quale non aveva niente in comune. Secondo una trama che avrebbe potuto uscire dalla penna di un qualche scrittore romantico, i due erano destinati a non intendersi: passionale, moderna fin quasi da essere rivoluzionaria Lei; freddo, conformista, reazionario Lui.

La nascita di tre figli non migliorò certo la situazione. Ecco che Anna, dopo qualche anno di matrimonio infelice, è pronta, forse anche desiderosa, di innamorarsi secondo un cliscé piuttosto in voga. In società a Genova, città dove allora risiedeva, incontra un ufficiale del genio più giovane di lei di tre anni, colto, anche lui di idee aperte e liberali. I due si innamorano, piuttosto tiepidamente lui a quel che è dato di sapere, con  tutta se stessa lei.

E il marito? Quando qualcuno si stupisce dei costumi attuali all’apparenza troppo liberi, dovrebbe porre mente a quanto succedeva, nell’alta società di un secolo e mezzo fa. Il marito non fa una piega, arriva a uscire da casa quando arriva Cavour, è perfettamente informato di tutta la situazione e non si scompone, anche se la relazione era sulla bocca di tutti, tutti che in realtà del resto erano molto pochi perché le persone eleganti, nella così detta buona società, non erano certamente numerose, basta che la cosa si mantenga nei limiti di un’apparente decenza e  nessuno trova da ridire del fatto che la Signora abbia un amante più o meno ufficiale.

Ma Anna non si mantiene nei limiti, del resto piuttosto larghi, che l’ipocrisia dell’epoca accettava, fosse per lei andrebbe oltre e questo non si può. Ecco che la relazione allora diventa pericolosa. Traboccanti di passione, quasi fino all’eccesso, le lettere di Nina. Era bella, anche se poco appariscente, appassionata e sognatrice, votata alle nuove idee di libertà e indipendenza; Camillo invece era portato verso gli studi di matematica ed economia, pratico, lontano da preconcetti e ipocrisie.

E furono proprio le idee liberali il primo motivo della loro complicità sull’onda dei moti del 1830, complicità che ben presto per Anna divenne una passione totalizzante, tale da stravolgere completamente il corso della sua vita. Quando Cavour viene trasferito e il suo amore si intiepidisce Anna continua a coltivare la sua passione, e fa quello che all’epoca proprio non si doveva fare.: si mette in mostra.

In occasione della morte di Carlo Felice, quando alle dame era prescritto l’abito scuro in segno di lutto, Anna si presenta a teatro con un abito sgargiante, è in questo momento che inizieranno i dissapori con la madre, rigida e conformista, dissapori che non si placheranno mai.

Passano i mesi e gli anni e Cavour ha molte altre avventure, si rincontreranno nel 1834 a teatro e dopo  l’incontro un appassionato convegno d’amore, eccolo descritto da Lui: Ella non poté resistere più a lungo, la sua fronte si piegò leggermente più in avanti e si appoggiò sulla mia, e la sua bocca cercò la mia per imprimervi un bacio d’amore e di pace.

Si incontrano, si perdono, si ritrovano in un andirivieni che ha l’aspetto di una passione travolgente per Lei, più tiepida per Lui; Camillo sembra piuttosto lasciarsi amare che condividere  i furori della Contessa che così gli scrive: Amarti con passione non è una follia, vederti, scriverti o morire non è una follia; essere irrevocabilmente decisa a rompere con la vita piuttosto che lasciarti dubitare del mio amore non è una follia.

E conclude con parole agghiaccianti: Ecco, sono questi i soli segni in base ai quali essi hanno pronunciato che le mie facoltà mentali si sono annebbiate. Io li compiango non sanno affatto comprendere l’amore.

Essi si riferisce, più che al marito, ai genitori che  in altre lettere confesserà essere incerti se chiuderla in manicomio o in convento.

Intanto Cavour intreccia nuove relazioni, per esempio con Clementina Guasco di Castelletto, e, pover’uomo anche questa volta frainteso, vorrebbe un’avventura leggera e priva di complicazioni, ma anche Clementina, secondo un copione già noto, si innamora pazzamente.

Lo sventurato così annota sul suo diario il 2 settembre 1834, quando scendendo all’Hotel della Ville di Voltri gli si offre l’occasione per una breve avventura con una contessa: Ma lasciando la signora Guasco, per andare a trovare la signora Giustiniani, sarebbe stato forse eccessivo passare la notte con una terza signora.

Quel forse è delizioso! In quel settembre staranno insieme quattro o cinque giorni e dall’alto del disincanto del tempo ci viene forse da pensare che fu meglio così,  forse se Anna l’avesse conosciuto meglio e ne  avesse potuto condividere la quotidianità avrebbe in poco tempo perso, col progredire  dell’abitudine, la sua grande passione. Invece così, con Camillo che poco dopo parte per un lungo viaggio, per nuove conoscenze che attraggono la sua mente desiderosa di sapere, e anche per nuovi amori, Anna conservò le sue illusioni intatte.

Dalla lettura del suo epistolario si ha l’impressione che questa passione, poco vissuta e molto vagheggiata, diventi a poco a poco, man mano che  Camillo si allontana, l’alibi che copre un male di vivere inguaribile  e che più che l’amore a distruggere la Contessa sia la sua impossibilità ad adattarsi alla quotidianità.

Nata per essere l’eroina di un romanzo romantico, con tutti gli ingredienti di prammatica: il marito freddo e insensibile, i genitori sordi al suo affetto, la minaccia del convento e del manicomio, la Schiaffino non riesce a vivere la normalità di una vita che pur sempre era e restava privilegiata, tre figli, grandi possibilità economiche, cultura, lusso e, se non altro la possibilità di seguire le proprie idee e anche di fare del bene.

In quegli stessi anni una donna, della sua stessa classe sociale forse più duramente di lei colpita dalla vita, con un marito libertino e debosciato, con la polizia alle calcagna, con una figlia probabilmente illegittima, seppe dare ai suoi giorni un senso e uno scopo: combattere per le sue idee, scrivere, cercare di migliorare le sorti di chi lavorava per lei, viaggiare e comprendere il mondo: Cristina Trivulzio di Belgioioso che non ebbe bisogno di attaccarsi  al fantasma di un amore mai veramente vissuto se non in pochi brucianti momenti, ma da sola, contando su di sé si guardò bene dal pensare al suicidio, cercò di essere utile a se stessa, a sua figlia, agli altri.

Per questo la tragedia del suicidio di Anna Schiaffino Giustiniani, se umanamente coinvolge con la pietà e il rispetto che è dovuto a chi comunque ha molto sofferto, non suscita la stessa sincera e aperta  ammirazione  come per altre donne a lei contemporanee, che seppero dare di più a se stesse e agli altri.

La donna che ti amava è morta…Addio, Camillo. Nel momento in cui scrivo queste righe ho preso l’incrollabile risoluzione di non rivederti più; tu le leggerai, spero, ma quando una barriera insormontabile si eleverà tra di noi, quando avrò avuto la grande  iniziazione ai misteri della tomba, quando forse ( rabbrividisco al pensarlo), ti avrò dimenticato.

La notte fra il 23 e il 24 aprile  1841, ben undici anni dopo che si erano visti  per la prima volta e dopo anni di separazione, Anna si gettò a una finestra, morirà dopo un’agonia di diversi giorni! Peccato che a questo l’abbia portata più che il suo amore il suo male oscuro, peccato che non abbia saputo fruire di più, cercando un ideale che non esiste, dei grandi doni che la sorte le aveva affidati.

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