La Rudge 500 Ulster

Ancora su moto da corsa, poesia e letteratura -Prima Parte-

Negli anni 30, quando l’automobile economica era il miraggio lontano cui si tendeva da più parti, era la motocicletta ad essere il succedaneo d’una motorizzazione diffusa

di Piccolo da Chioggia

Ancora su moto da corsa, poesia e letteratura -Prima Parte-

Dal catalogo del 1929 per l’anno che arriva, il 1930, la casa di Coventry presenta la sua Rudge 500 Ulster qui ritratta nelle fotografie ritoccate al massimo grado delle pubblicità del tempo. Ecco dunque la motocicletta arrivata allo stadio suo estetico definitivo: proporzioni armoniche, vuoti e pieni in armonia, sella ben raccordata a serbatoio e parafango posteriore, linee dove nulla è in più e la decorazione è data semplicemente dal buon funzionamento della macchina, dalla sua affidabilità meccanica, dalla sua rapidità. Che qui è dichiarata in buone 85 miglia orarie, pari a onesti 136,8 chilometri l’ora. Non sorprenda se le macchine britanniche sono ambite dai motociclisti, piloti da corsa o turisti, di tutt’Europa: una motocicletta di questa velocità è, in Germania o in Italia, ancora lungi dall’essere in vendita al pubblico. Le monocilindriche italiane Moto Guzzi, Gilera, Benelli, Sertum non si spingono oltre i 115/120 orari, così come le contemporanee BMW e Zündapp che sono pure bicilindriche o le Windhoff a quattro cilindri in linea. Plausibilmente le fabbriche inglesi possono contare su macchine utensili a maggior grado di qualità anche sui grandi numeri, e su operai più specializzati nelle lavorazioni di precisione le quali garantiscono che i motori siano potenti e al tempo stesso non perdano in affidabilità meccanica. Importantissima poi è l’esperienza sulla metallurgia delle leghe, ghise e acciai da impiegare nella costruzione delle parti termiche dei propulsori.  Un dettaglio curioso ci aiuta poi a capire il clima del motociclismo britannico di allora: nelle serie successive la Rudge perfezionava il suo modello capolavoro, appunto la Ulster, e dichiarava le 90 miglia orarie. Puntuali arrivarono alcuni reclami: qualcuno dei bravi motociclisti inglesi che l’avevano acquistata l’aveva sottoposta a prove cronometrate sul chilometro lanciato, una prova allora non difficile ad organizzarsi stante il moderato traffico automobilistico, ed aveva riscontrato che i fatidici 145 orari non si raggiungevano. Nel catalogo degli anni che venivano dopo, la casa, preso atto della critica, scriveva che da quel momento in poi le prestazioni dichiarate venivano garantite, esattamente come già faceva la Brough Superior per la sua magnifica SS100, ogni modello della quale si vendeva con un attestato nel quale si assicurava che la macchina aveva superato le 100 miglia orarie nel corso delle prove prima di essere consegnata nelle mani del cliente. Vi è di più, sempre per la Brough, il pilota collaudatore di ogni macchina arrivato alle alte velocità eseguiva delle prove, abbassandosi sul serbatoio e staccando le mani dal manubrio allargandole in guisa di equilibrista onde mostrare che la macchina era perfettamente stabile anche nelle decelerazioni da forte velocità…   

 


La politica della BMW se non è rivolta per i primi anni trenta a fornire modelli molto veloci ai suoi clienti non trascura però i record di velocità, onde continuare la sfida con i costruttori inglesi e pure francesi e belgi. Una sorta di revanche tecnica che allevi il senso deprimente della sconfitta subita nella guerra mondiale. Sconfitta per la quale i tedeschi ne portarono una ferita languente e insanabile anche per il fatto che il loro esercito non era stato battuto sul campo ma aveva ceduto per fatti sui quali la storiografia ha davvero ancora oggi molto da indagare. Ecco che inizia a prender forma il cliché che diverrà comune dopo il secondo conflitto: quello dei prodotti tecnici tedeschi pressochè perfetti e indistruttibili, allegoria delle armi, i quali loro malgrado non hanno potuto impedire una triste sconfitta. Nella fotografia Ernst Henne, il pilota dei record del costruttore bavarese, indossata una sorta di cintura aerodinamica ed un caso affusolato, si appresta a percorrere ad alta velocità la tratta cronometrata con la sua macchina a compressore e cambio a leva sul serbatoio, anch’essa fasciata da estesi pannelli laterali che agiscono da schermatura aerodinamica. Non vi è la ruota a disco che si adotterà nelle prove successive. Dalla divisa del gendarme in fotografia si deduce infatti che questo scatto avviene prima del 1933, momento nel quale su tutte le divise in breve deve essere adottato lo stemma con svastica. E questa motocicletta resta in auge, con minime modifiche apparenti, fino al 1935 con un ultimo record. Dopo del quale è obbligatorio, per raggiungere le velocità oltre i 260 all’ora con motori che restano ancora sotto gli 80 cavalli, vestire il mezzo con le carenature complete che rendono la macchina un dirigibile su due ruote.



Non v’è dubbio che la sfida sui record di velocità massima per motociclette sia vinta, in fine, dalla BMW nel 1937 con un siluro su due ruote che effettivamente ha più della fusoliera d’aeroplano che della motocicletta. Ma a dispetto di ciò che si può immaginare, ovvero essere la vittoria solo una questione di aerodinamica, la ragione forse più radicale è altra: anche le motociclette inglesi sono ben studiate per offrire all’aria la minor resistenza possibile, come lo si vede dalla Excelsior J.A.P. qui raffigurata del 1932 e già nota da un precedente capitolo apparso su Totalità. Una questione che ha afflitto i poderosi bicilindrici sovralimentati da 1000 centimetri cubi e quasi 100 cavalli era stata la scarsa possibilità di raffreddare il cilindro posteriore soprattutto se la macchina era completamente carenata come qui è il caso. La BMW con i cilindri esposti direttamente al vento di corsa anche se la restante parte della macchina veniva carenata non soffriva di questo svantaggio. Nemmeno con le successive carenature a siluro dove era elementare la soluzione di un canale di presa d’aria che investisse direttamente le testate dei due cilindri. Che questa ragione sia stata la più effettiva lo si vede proprio oggi, dove macchine solo lievemente schermate da 1000 centimetri cubi e potenze di 120 e più cavalli raggiungono i 280 e oltre chilometri orari senza doversi rivestire di fusoliere aeronautiche. 




Negli anni 30, quando l’automobile economica era il miraggio lontano cui si tendeva da più parti, era la motocicletta ad essere il succedaneo d’una motorizzazione diffusa. Ed alta era la percentuale, fra i mezzi circolanti, di motociclette con il carrozzino, oggi del tutto sparite dalle strade e solo culto di rari appassionati dell’Europa centrale e settentrionale. Il motivo della sparizione di questo ibrido meccanico è evidente: l’automobile economica ha maggiori capacità di carico, ripara di più dalle intemperie e spesso costa di meno tanto all’acquisto quanto all’uso. La motocicletta con il sidecar intravede la sua condanna fino dal 1940 almeno. E nel campo sportivo corse con questo mezzo erano state vietate nel Reich fin dal 1936 o 1937 quando in un ultimo di incidenti disastrosi persero la vita il pilota Toni Babl e il suo navigatore. La misura era colma e necessitava arginare il prezzo troppo alto di corse spettacolari ma pericolosissime. Nella foto qui seguente è raffigurata una combinazione della DKW 500 bicilindrica a due tempi a cilindri sdoppiati e sovralimentazione a cilindro pompa. La macchina è nella versione del 1935. A solo la DKW 500 di quest’anno raggiungeva sui rettilinei dell’AVUS i 185 orari. Con il carrozzino, stante l’assenza di dati precisi, si deve procedere per ipotesi: i 140 orari erano forse alla portata del mezzo. Con uno scarto di 5 chilometri in più o in meno possibili visto che si tratta di una stima.


I meccanici trattano con cura questo effettivo capolavoro della tecnica bavarese. Si tratta della BMW 500, la R 51 qui in una versione assolutamente particolare: la macchina è infatti eguale in apparenza al modello di serie ma se si osserva con attenzione sulla parte anteriore del motore è calettato il compressore di sovralimentazione. Il motore è poi del tipo a monoalbero sdoppiato e non ad aste e bilancieri come le motociclette in vendita al pubblico. In pratica sul robusto e collaudato telaio della R 51 è stato montato un propulsore da corsa adattato comunque ad un tipo di uso che prevede fanali targa e via di seguito. La macchina sta partecipando infatti ad una gara di regolarità che si svolge pure su percorsi non asfaltati e su strade normali aperte al traffico. La stampa germanica del 1935 descrive le imprese della macchina che si conquista dell’ammirazione anche dagli stranieri. Il suo pilota, l’intrepido Henne dei record, nelle prove speciali supera agevolmente i 160 orari e dimostra che il costruttore bavarese, se vuole, sa sviluppare una motocicletta da turismo assai veloce con la quale sfidare le macchine inglesi pure in questa specialità, meno appariscente certo ma forse più indicativa di tutte le qualità d’una motocicletta. Purtroppo a questa combinazione così riuscita la BMW non lascia seguire una macchina di serie che possa vantare, come la Brough o la Rudge Ulster preparata dalla casa su richiesta, la garanzia delle oltre 100 miglia orarie. Forse volutamente: può essere che non si volesse troppo affidare alla curiosità dei concorrenti un propulsore sovralimentato che prometteva i notevoli sviluppi che poi hanno effettivamente portato i bavaresi a dominare le gare del Campionato Europeo nel biennio 1937 e 1938. È solo nei tardi anni cinquanta che la BMW mette in listino una macchina sportiva da oltre 160 orari, la famosa R 68 oggi ambitissima dai collezionisti e molto costosa. La R 68 è però una 600 centimetri cubi ad aste e bilancieri elaborata e non il capolavoro di meccanica dell’immagine, con il compressore e la particolare distribuzione. 



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