Ancora Evola

Gli scritti de “Il Popolo italiano”(1956-1957)

Nel mese di giugno si sono tenuti Convegni di studio per commemorare il quarantennale della scomparsa del filosofo

di Giacomo Rossi

Gli scritti de “Il Popolo italiano”(1956-1957)

La copertina del libro

Nel mese di giugno si sono tenuti Convegni di studio per commemorare il quarantennale della scomparsa del filosofo Julius Evola. La maggior parte degli intervenuti, relatori e numeroso pubblico, non ha potuto non rilevare la straordinaria attualità intellettuale e politica dell’opera evoliana. La cosa trova conferma nell’ultima iniziativa editoriale della Fondazione che porta il nome del tradizionalista romano. Si tratta del volume J. Evola, Il Popolo italiano (1956- 1957), edito nella collana i libri del Borghese, dall’editore Pagine per la cura di Giovanni Sessa (per ordini: 06/45468600; euro 17,00). Il testo raccoglie gli articoli scritti da Evola per il quotidiano di Roma Il Popolo italiano, alla metà degli anni Cinquanta.

    Il quotidiano nacque dopo il Congresso di Viareggio del MSI del 1954. In quell’occasione, Almirante era stato eletto in Direzione quale rappresentante della corrente di centro del partito ma, nell’estate 1956, decise di spostarsi sulle posizioni della sinistra interna, fiducioso di poter, con questa mossa, riconquistare presto la guida del MSI. Trovò, allora, l’appoggio di Franz Turchi, fondatore de Il Secolo d’Italia. Michelini, Segretario nazionale, decise di dar vita a un secondo quotidiano del partito, che sostenesse le posizioni della segreteria. Il Popolo italiano, appunto. La direzione inizialmente fu affidata, per un brevissimo periodo, a Giuseppe Martucci e, successivamente, fu assunta da Romualdi in prima persona. Un anno dopo, nel luglio 1957, Almirante tornerà in Direzione per essersi riavvicinato (provvisoriamente) alla linea del Segretario. A questo punto era del tutto inutile tenere in vita Il Popolo italiano. Il suo ultimo numero andò in edicola il 19 dicembre 1957.

  Un primo merito del libro in questione è dato dal fatto che Sessa, nel saggio introduttivo, ricostruisce i tratti generali della storia controversa della Destra italiana del dopoguerra fino agli anni Cinquanta. Il curatore, più in particolare, contestualizza il contributo teorico di Evola al quotidiano, analizzando gli scritti del filosofo riferendosi ad una stimolante intervista concessagli, poco prima della recente scomparsa, da uno degli intellettuali più rappresentativi della Destra del dopoguerra, Claudio Quarantotto che ebbe parte attiva in quell’esperienza giornalistica. Evola fu chiamato a collaborare al giornale da Pino Romuladi,  in quanto il filosofo: “…aveva fama di essere il più significativo ed intransigente interprete di una corrente “intellettuale”, sia pure minoritaria, che era rimasta fedele al fascismo sino alla fine” (p. 27). Gli scritti evoliani de Il Popolo italiano si sono sviluppati attorno a quattro snodi teorici fondamentali: 1) ricostruire gli anni dell’ultimo fascismo e della RSI al fine di “fare i conti” con l’esperienza mussoliniana; 2) sviluppare un’analisi tematica dei principali fenomeni di costume di quegli anni; 3) proporre un’alternativa etico-politica; 4) affrontare la necessità di costruire una storiografia d’area.

   Il primo snodo è stato affrontato da Evola in sei articoli apparsi con la titolazione generale “Con Mussolini al Quartier generale di Hitler”. In essi, facendo ricorso alla ricostruzione autobiografica (assai inusuale per lui), fornì uno spaccato storico dei giorni concitati che portarono alla fondazione della RSI. Da essi si può trarre la conferma: “…di quella carenza di forze veramente temprate e salde dietro le strutture gerarchistiche e conformistiche del regime” (p. 28), che ne determinarono la fine. Il lettore può trarre dalla lettura dei sei scritti, significative informazioni relative a uomini, organizzazioni, scelte di gruppo, che furono messe in atto in quel drammatico contesto storico. L’esegesi della fine del fascismo, indusse Evola, in altri articoli, ad affrontare il secondo snodo che gli stava a cuore: fare appello alle forze sane della nazione perché recuperassero l’idea di Stato come “forma”, oltre ogni primato sociale e naturalistico. Il filosofo in essi esplicita la propria prossimità agli organicisti della Scuola di Vienna.

   Ricorda Sessa che per Evola: “Si trattava di ripristinare un principio distaccato di autorità, capace di organizzare dall’alto, di dar forma e coscienza alla nazione e di comprendere l’apriorità della dimensione politica” (p. 31). La rivoluzione dall’altoaveva per obiettivo la creazione di uno Stato organico, paradigma politico della Destra, oppositivo nei confronti delle visioni totalitarie e alternativo ai valori economicistici del capital-marxismo. In esso: “…ai civessi richiede lealismo, responsabilità, attenzione per il bene comune…affinché il collante della res publica non si riduca a misure d’intervento centralistiche e brutalmente coercitive” (p. 32-33). Evola pensa a una nazione spiritualein forza del suo platonismo di fondo, capace di correggere i vizi del perfettismo totalitarista e dello sradicamento modernista.

   In altri contributi, il pensatore si confronta con i principali fenomeni di costume che in quel decennio si annunciavano. Egli rileva il diffuso pan-sessualismo mentale, un rapporto onanistico con la potenza dell’eros, pervasivo e presente nella vita interiore e nell’immaginario dell’uomo del Quinto Stato. Ad esso contrappone la visione metafisica della sessualità, propria del pensiero di tradizione, in grado di indurre aperture verso l’alto. Sessa, in tema, coglie la sintonia del filosofo romano con le posizioni di filosofia dell’eros espresse, recentemente, da Romano Gasparotti. Evola, inoltre, individua i limiti della musica modernissima, incapace, a suo dire, di indurre effettiva liberazione. Critica aspetti rilevanti della psicoanalisi (al riguardo però il curatore sostiene, sulla scorta di uno studio di Adriano Segatori, come proprio il pensiero di Tradizione possa oggi svolgere un ruolo di rettificazione, di vero e proprio coagula alchemico, nei confronti degli sviluppi più recenti dello junghismo, introducendovi l’idea di ri-nascita iniziatica). Infine, il pensatore riconosce la necessità di costruire una storiografia e, più in generale, una cultura d’area, senza le quali riteneva impossibile l’affermarsi politico della rivoluzione dall’alto.

   In un momento di crisi come l’attuale l’evolismo, con la sua idea di Tradizione dinamica: “…può davvero divenire sorgente di nuova vita…pensiero del Nuovo (possibile!) Inizio” (p. 44). Oltre ogni accusa di determinismo e necessitarismo, la filosofia del tradizionalista è più che mai presente nel dibattito contemporaneo. Il libro che abbiamo presentato, analizzando l’interventismo culturale dell’intellettuale romano, è un invito a superare il pessimismo, a recuperare la speranza, ad agire nel mondo. Per cui si, ancora Evola per ripartire!

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