Da Bin Laden a al Bagdadi.Niente è cambiato

11 settembre 2014: il nemico yihadista è ancora vivo e vegeto

Siamo, intanto, vicini ad una nuova terrificante guerra tra Stati Uniti e Stato Islamico

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11 settembre 2014: il nemico yihadista è ancora vivo e vegeto

Erano le 8.46 della mattina a New York quando un Boeing 767 dell’ American Airlines si schiantava contro la torre nord del World Trade Center. Era l'inizio di un incubo che lascerà quasi tre mille morti e che la storia ricorderà per sempre come gli attacchi dell’11 Settembre.

Il mondo da allora non è più stato lo stesso.

Oggi si compiono tredici anni da un massacro che congetturò il principio di una nuova era nell'ordine mondiale, un sisma la cui onda d'urto raggiunge l'attualità, e la minaccia dell'odio islamista contro gli Stati Uniti e l'Occidente liberale continua irremovibile la sua marcia distruttiva. Ora, con un rinnovato brio del sanguinario impulso dello Stato Islamico, e dei suoi macellatori da videocassetta casalinga.

L'anniversario degli attentati alle Twin Towers arriva il giorno dopo che il presidente Obama, un anonimo membro del Senato dell'Illinois in quel settembre del 2001, ha fatto pubblico il suo piano per combattere questi assassini, una sfida che ricorda, in questo momento storico, che il nemico yihadistaavrà pur cambiato capoccia e sigle, ma non è assolutamente mai sparito dalla circolazione.

Molte cose hanno oltrepassato il tempo e lo spazio in questi tredici anni.

L'allora presidente George W. Bush reagì all'unghiata terroristica dichiarando la sua "guerra" contro il terrorismo sotto la cui egida Washington lanciò le invasioni dell'Afghanistan e dell’Iraq, interventi ove vi lasciarono la vita migliaia di suoi militari, quantità ingenti di denaro e gran parte del suo credito internazionale. Fu una lotta cruenta che resuscitò nei nordamericani i fantasmi del Vietnam e che trasmise un'immagine arrogante dell'Amministrazione Bush all'esterno.

Gli statunitensi dovettero ben presto abituarsi, in quegli anni, alle scene dei cadaveri dei loro giovani che tornavano a casa dentro borse di plastica e a quelle di Bin Laden e del suo temuto Kalashnikov. Mentre, in parallelo alle guerre di Bush, sull'albero terroristico di Al Qaida germogliavano ovunque talee. Sorsero filiali come Al Qaida nel Magreb Islamico, Al Qaida nella Penisola Arabica, Al Shabab in Somalia o il Fronte Nusra in Siria, ed i suoi seguaci irrigarono di sangue posti tanto distanti come Madrid, Londra o Nairobi.

Nel 2009 i democratici ritornarono alla Casa Bianca grazie alla figura carismatica di Barack Obama e alla sua politica estera sulla quale promise che avrebbe dato “un giro copernicano”.

Il nuovo presidente recuperò la bandiera wilsoniana del multilateralismo compromettendosi con la ritirata dal fronte afgano ed iracheno. Ma né la nuova retorica né la consegna del potere in Iraq al Governo formato da Nuri al Maliki stabilizzarono una regione che continua ad essere una grande dispensatrice di risentimento verso il Nord America, ed il vuoto che lasciò la partenza statunitense lo coprirono i settori autoctoni più fanatizzati.

In tutto questo tempo, i servizi d’ intelligence del Pentagono non desisterono mai dalla loro battaglia  contro il yihadismo, ed il 2 di maggio 2011 arrivò la notizia più attesa. Il criminale più ricercato, Osama Bin Laden, cadeva abbattuto da un comando dei Navy Seals, nel suo nascondiglio al nord del Pakistan. La morte del loro leader fu un duro colpo, ma che non sancì la fine del terrorismo.

I mesi successivi confermarono che la politica di eliminazione dei bianchi distaccati non era assolutamente sufficiente. La moltiplicazione degli attacchi con droni ed il rinforzo della cooperazione internazionale permisero di smantellare cellule terroristiche in tutto il mondo, ma mai di sradicare la loro matrice. Non erano trascorse 24 ore della morte di Bin Laden che l'egiziano Ayman Al Zawahiri lo sostituiva al vertice di AL Qaida.

Poco prima di quanto sopra, una massiccia mobilitazione popolare aveva abbattuto a Tunisi il suo anziano dittatore Ben Alí. Era l’inizio della primavera araba, un'onda rivoluzionaria che scuoterà tutto il confine meridionale del Mediterraneo e alla quale Obama volle reagire con una politica erratica che i suoi detrattori non smettono ancor oggi di rimproverargli e che, secondo i critici, derivò nell'attuale forza dallo Stato Islamico.

Con il suo non intervento in Siria e la sua retromarcia nella decisione di armare i ribelli che combattono Al Assad, Washington permise che il ben organizzato e finanziato Stato Islamico si trasformasse in un nemico tanto o più mortifero di quello di Bin Laden del 2001. Tredici anni dopo, la yihadha cambiato nome di matricola, ma la sua spada continua a mirare al cuore dell’ Occidente, ed Obama, benché molto meno convinto del suo predecessore, si vede trascinato in una nuova guerra in Iraq.

Forse la più pericolosa e letale di ogni tempo.

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