primi di settembre 1944 XXII sera

La 500 a Gassogeno -Quinta e ultima parte-

si è avviato il settembre e qui su questa riva, ora divenuta la mia riva, i resti della canicola estiva hanno improvvisamente ceduto

di Piccolo da Chioggia

La 500 a Gassogeno -Quinta e ultima parte-

XI 

verso il 10 agosto 1944 XXII

il mattino è sereno.

ho passato alcune ore della notte in letture sulla storia di Spagna.

ascolto all'istante Mozart nei suoi concerti di piano e orchestra. al Reichssender.

dunque lo spagnolo è favella di bevitori e accattoni (che però tengono sempre anche nella miseria un qualche stile). ed è lingua di filosofi e diplomatici e scrittori che dall'estremo periferico d'una desolata e isolata Iberia contemplano il mondo con l'occhio abituato al senso di posterità di chi fu per un tempo anche dominatore e colonizzatore ma ora è inesorabilmente tramontato. ti ricordi forse di quella storia che vide contrapposti in una polemica, in un concilio del cinquecento, un principe svedese ed un legato spagnolo su chi fosse il vero discendente dei gloriosi Goti. lo spagnolo tagliò il nodo d'Alessandro con una considerazione che appunto rimase memorabile: son gli spagnoli i veri discendenti dei guerrieri di Teodorico l'Amalo dato che gli svedesi discendono dai Goti rimasti a casa senza avventure.

Conclusione esplicita e difficilmente contrastabile mi pare.


XII 

10 agosto 1944 XXII. Mattino.

mi son appena levato. ero crollato dal sonno verso le 23 dopo una lunga passeggiata verso la campagna. Quella con i colli sulla sinistra se vai verso Abano. leggevo e di colpo m'addormentai sdraiato sulla stuoia di orbace che orna il pavimento di legno.

dato che la missione vuol portarmi a Vienna voglio studiare un poco la figura di Raimondo di Montecuccoli, il gran maestro dell'arte militare di quell’Impero divenuto ora una Ostmark.

 

Il macinino a gassogeno dorme nella rimessa. tutto dorme. come il principe di Condè avanti la famosa battaglia. speriamo in bene.


XIII 

12 agosto 1944 XXII, sera.

nell'attesa musica. Beethoven, le prime tre sinfonie dirette dal Furtwängler.

la grande passione. infatti dice il Nietzsche comparando i due colossi della cultura germanica: "Goethe e Beethoven, ma quanto è più in alto Beethoven".

una bella epigrafe non c'è che dire. che si scolpisce come le pitture delle grotte di Lascaux nella memoria. te la rammenti bene ogni qualvolta ti ascolti l’adagio della sesta o l'incipit del terzo moto della nona. O le sinfonie di scena quali Leonore, die Ruinen von Athen e tutte le altre magnifiche ouvertures.

basta che ti arrivino all’orecchio le primissime note della prima sinfonia e ti accorgi subito che qui è letteralmente tutt’altro che si manifesta. il titano di Bonn si lagnava a volte sconsolato, non rammento se per lettera o in un diario: "nulla di quel che fo mi riesce eccetto la musica..." 

ove in quel "nulla di quel che fo" senti una sorta di diluvio d’impressioni e moti dello spirito che non si possono più affidare alle parole ma alle note. possenti come non mai.

pensa che Rossini nutrì un'ammirazione sconfinata pel Beethoven e lo andò pure a trovare.


XIV 

14 agosto 1944 sera

sulla Certosa di Stendhal. fossi nella municipalità di Padova farei metter su lapide trascritta quella splendida prima pagina dell'"avvertenza", datata al gennaio 1839. e la farei imparar a memoria agli scolaretti di tutta la provincia fin sui colli e a Chioggia. è, con le prime 80 o 100 pagine del libro, un capolavoro che vale per la prosa d'ogni tempo.

se ti ricordi, Stendhal racconta che tanti anni dopo la triste e sfortunata campagna del 1812 ritorna nel salottino del canonico. che però non era più di questo mondo. ma il nipote con la moglie ne eredita i doveri della cortesia e dell’ospitalità e così Stendhal poté, passata la tempesta della campagna di Russia, gioire di nuovo, sia pure con la malinconia delle illusioni infrante e del passato, d'una città che, come racconta, trova gli abitanti affaccendati nel lavoro più essenziale di tutti: che è quello di vivere e gioire della vita.

guarda che tempi: si ereditavano, da che passavano da zio a nipote, anche le belle consegne dell'ospitalità.


XV 

15 agosto notte. 

è ora Walter Gieseking dal Reichssender che invia pel tramite di vibrazioni d’invisibili campi elettromagnetici le immortali e delicate note del secondo moto del concerto per piano e orchestra numero 20 del Salisburghese.

dunque attraverso il cielo stellato si propagano con queste mutue variazioni dei due campi, l’elettrico e il magnetico le onde musicali. quasi che stelle e pianeti rotolino sulle loro traiettorie con più gioia se v'è musica. 

e penso al cospetto di questo cielo notturno a quante e quali onde musicali si sono udite vibrare nella Vienna solcata dalla lenta corrente del Danubio.

qui in riva Paleocapa le donne dicono di aver visto ascendere oggi nel pomeriggio, ballonzolante come un pallone aerostatico la Gran Madre. ma non era gonfia come si racconta lo fossero gli eroi di Baccio nel discorso burlesco del Cellini. semplicemente le avevano messo una tunica un po' larga. non si sa mai, in cielo di notte la temperatura non è quella delle spiagge assolate.

e poi come sai, le donne quando fra loro possono lanciarsi un dardo dalla punta avvelenata lo fanno. la Gran Madre era quale la vedi nelle Madonne di Piero della Francesca o in quella di Filippo Lippi. troppo bella per non suscitare qualche invidia sia pure devota. pazientare si deve comunque, la perfezione e la bellezza, lo sai anche tu, son tanto difficili. e quelle povere donne qui son confinate nell'ordinaria sopravvivenza.

i dolci voli dello spirito sai necessitano anche di un po' di stabilità economica.

prendiamone atto.

 

la 500 a gassogeno riposa nella rimessa accanto il carretto del fratello della mia ospite. son due dì che non la metto in moto. ancora nulla da Desenzano. il filosofo forse ha trovato compagnia. oppure la missione va discussa nei particolari. io attendo. e comunque son pronto a partire in ogni momento per Vienna: sai com'è, alla cosa non manca un certo "charme".

sui colli non v'è stato bisogno di andare perché avevamo fatto le scorte pel ferragosto e in ogni caso la tavola era imbandita più che bene. in fondo la guerra moderna, non come l'antica, tocca di meno le campagne. e fiorisce lo scambio senza moneta. e i nostri scambi gironzolano attorno la città senza entrarvi come fanno i gatti con una casa di cui non si fidano. vanno nei pressi, sgattaiolano per arraffare un bocconcino ma poi filano via. in fondo non è necessario ringraziare per la sola sopravvivenza.

 

che belli questi salici che si chinano sulle acque. inseguono la luna che qui si specchia, nella corrente lenta del fiumiciattolo. là la torre dorme in piedi come un cavallo stanco. solo le stelle paiono avere vita mondana in questa notte di quiete estiva. 

Râtri chiamano nel Rg-Veda la notte. è la tenebra divinamente luminosa.


XVI  

primi di settembre 1944 XXII sera.

sento che si avvicina a grandi passi l'atteso momento nel quale si deve partire.

ieri infatti la telefonata di un Carneade d'un qualche ufficio dell'Ispettorato di Desenzano avvertiva la signora che mi ospita in quest’angolo fluviale di Padova che forse a ore il mio compagno di viaggio parte alla volta di Venezia dove, come ti avevo già scritto or è più di un mese, si tratterrà forse un dì o un dì e mezzo presso un suo antico sodale.

e con sé, il barone Evola ha tutti i documenti e lasciapassare del caso comprese le altre parole d'ordine che dovranno esser trasmesse quando si passerà la frontiera di Villaco colla nostra piccola ma brava 500. di lì in poi pare che sulle strade del Reich vi siano assai meno impicci al transito. ciò dato che i fronti di guerra sono lontani e gli argentati bombardieri americani si occupano piuttosto della cintura periferica di Vienna popolata di industrie pesanti. la zona alpina non offre bersagli di sorta. dunque il viaggio dovrebbe essere privo di avventure e io posso vedermi la campagna carinziana che dicono assai bella. le alpi Giulie e più lontano i picchi delle Caravanche veglieranno sui due viatori in automobile.

 

si è avviato il settembre e qui su questa riva, ora divenuta la mia riva, i resti della canicola estiva hanno improvvisamente ceduto. al dì ancora è caldo se ti trovi sotto i raggi diretti del sole ma l'aria vespertina si è fatta fresca e non si può resistere assolutamente al divieto imposto dal coprifuoco. le pattuglie di gendarmeria e di squadristi chiudono un occhio se vedono un oscuro contemplatore di stelle a poca distanza dalle donne che abitano nei dintorni e in crocchio parlottano poggiate sul muretto che ti separa dal declivio dell'argine. a volte io sono col fratello della mia ospite sul ponte che vede la torre a guardare le acque che se ne scorrono verso il settentrione. la quiete è in questi momenti magnifica e le stesse oche, che dormono la loro notte stellata accoccolate nell'erba alta dell'argine,  tacciono o smorzano alla durata d'un istante il loro gracchiare.

anche il fratello della donna tace e io pure.

è una bellissima serata. ma è serata di guerra.  

 

ora che ti scrivo questa lettera e sento che presto devo lasciare questo luogo che mi è capitato di abitare per delle circostanze immense il cui intricarsi nella trama universale non ci è dato di comprendere mi chiedo perché mi sia così caro.

è certo la quiete in mezzo alla tempesta ma è pure la semplicità che ha composto qui, in un angolo, un mondo. le acque, il filare dei salici, il filare parallelo di case col loro bravo portico che è l'anteprima del tuo riparo, le finestre della camera che al primissimo crepuscolo mattinale sono abbracciate dall'aurora, la torre che veglia come un granatiere addormentato.

 

il bello del nostro tempo. nel mentre che ti scrivo queste righe, la radio cattura le onde del Reichssender ed è la sesta sinfonia di Beethoven che ho appena ascoltato. era una registrazione di quest'anno, diretta dal Furtwängler. ma forse è il bello d'ogni tempo. la musica che io devo udire pel tramite delle onde elettromagnetiche era udita dallo Stendhal colla sua memoria. e forse, dati i più lunghi silenzi della sua epoca, si presentava alla memoria altrettanto chiara di come la sento io dalla radio. era, il suo tempo, il medesimo di Leopardi. e non mi sorprendo. a momenti, come già trasmesso dall’annunciatore, è la settima sinfonia del titano di Bonn che deve vibrare via etere. buonanotte.



Figura 4 La Fiat 500 con il gassogeno a legna del tipo Stelvio montato posteriormente. Le fasce bianche dipinte sui parafanghi sono imposte dalle norme per il tempo di guerra.

XVII 

intorno al 13 settembre 1944, XXII. sera.

tempus fugit è scritto sui campanili delle pievi paesane.

o anche "zeit eilt, zeit weilt, zeit teilt, zeit heilt" su vetusti orologi a torre di case germaniche.

il tempo vola e come ti avevo scritto presto devo lasciare questa riva e queste acque.

mi chiedo cosa resterà delle lunghe settimane che vi ho trascorso.

è un avviso architettonico che di seguito ti voglio dare. il piccolo borgo qui sorto con i suoi salici, lungo il canale transitato dai quattro ponti che sono i termini di confine della riva, è vegliato, per così dire, dall'ombra della torre del castello carrarese. non vi sono chiese qui limitrofe a parte una piccola cappella romanica, invisibile però dalla riva.

da certe prospettive lungo l'argine il borgo potrebbe apparirti come a sé stante e non parte d'una città. ed è la torre con il castello a dare il suo tema. non croci, non facciate di chiese, ma una bertesca erta sul laghetto formatosi alla biforcazione del canale. 

è un borgo come lo poteva essere quello romanico al tramonto della paganità latina.

forse la bertesca, ora ricoperta da lastre metalliche, era un tempietto circolare in omaggio alle ninfe acquatiche, e i templi che qui decadevano davano man mano la pietra alle case che dovevano abbellirsi. le chiese ancora non sorgevano. se passi per questa località sembra davvero che per un istante, solo per un istante, tu ti sia ritrovata in quel tempo che commuoveva il galloromano Rutilio e gli dettava il "de reditu".

"die zeit weilt", e traduco: il tempo indugia. o si è attardato. non sempre e non ovunque. ma qui certo. E per un istante è stato rallentato o deviato su di un’altra traiettoria dalle pietre, dall'argine, dai salici e dal cielo qui sovrastante. 

dal Reichssender arriva l'impeto della nona sinfonia di Franz Schubert. è Wilhelm Furtwängler a dirigere. magnifico. 


XVIII  

20 settembre 1944 XXII. Sera tardi.

il dì è passato e con esso l'autunno ha fatto un anticipo prepotente quale non è suo modo usuale nell'estate che termina. oggi era infatti molto fresca l'aria, e il cielo che ho ammirato tornando da una sgroppata con la mia infaticabile 500 in quel dei colli per le solite questioni annonarie era grigio e chiaro con striature ora viola ora celesti ondulate e vorticose. l'aria verso gli strati più prossimi al suolo, guardando verso l'orizzonte più lontano, si tingeva poi d'un bianco algido e lasciava tralucere i pochi raggi solari di questi dì che si vanno inesorabilmente restringendo. 

il cielo dunque conferma il suo miracolo intrinseco di continua mutabilità di nubi e luci e colore nella perennità immutabile del suo essere.

a casa dalla mia ospite, la brava donna che sai, arrivava che ero ancora in giro col macinino carico di farina e legna e ortaggi la telefonata attesa. mi si voleva avvertire che Evola è di già a Venezia da giorni e presto, forse prestissimo, vale a dire non oltre una settimana chiamerà egli stesso per darmi l'ora e il luogo del nostro appuntamento.

documenti e lasciapassare come sai ha tutto lui e io quindi qui posso ancora fare delle passeggiate. sola incombenza è quella di preparare la macchina al viaggio. tutto è previsto, itinerario, soste, incontri. 

siamo sotto la protezione del grande Reich, almeno per quel che attiene all'ospitalità e ai passaggi obbligati. siamo affidati al fato per quel che riguarda il non trovarsi nel collimatore di qualche "jabo" che volesse festeggiare a suo modo la nuova stagione più fresca mitragliandoci.

ma confido nella bravura e nella fortuna del mio compagno di viaggio il quale mi avevano detto, quando presi l'incarico di questa missione, essere prudente e coraggioso ed esperto.

venuto da Roma con un viaggio misto a piedi, in treno o con automezzi germanici ha passato le linee e oltretutto è stato tenente d'artiglieria sul fronte di Asiago nell'altra guerra. dunque ha una qualche esperienza.

 

gioisco allora di queste ultimissime giornate e serate che la sorte, come vedi, mi ha dato di passare in questa città, in questo borghetto in riva alle acque che dopo le lettere che t'ho inviato forse riesci a figurarti nella mente.

il Reichssender allevia un poco l'inquietudine con le note della celeberrima al chiaro di luna del Beethoven. al piano è il Gieseking uno dei migliori artisti germanici del momento. pensa che due anni addietro aveva suonato a Vicenza, all’Olimpico. cosi mi ha raccontato la mia ospite, pure lei un’appassionata della grande musica.


XIX 

28 settembre 1944  XXII notte.

quando la luce era calata, stasera, ho avuto una sorpresa quale mai avevo immaginato. ti avevo raccontato come, dalla finestra della mia camera che dà sul fiumiciattolo il quale, in realtà, è il ramo maestro del Bacchiglione qui detto "Piovego", si vede l'aurora salire avanti l'alba oltre gli alberi della riva opposta. ho visto poche ore fa, dal medesimo filare d'alberi, salire il globo lunare acceso della sua luce adamantina.

non puoi immaginare lo spettacolo che mi son trovato ad ammirare.

nel buio del coprifuoco son voluto scendere ovvero salire sull'argine che si trova più in alto del livello stradale ed è solo di poco più in basso delle mie due finestre.

giusto in tempo per sentirsi stendere addosso, io, ma pure i salici, le acque, la torre d'Ezzelino dormiente, un manto fatto della luce più lieve che possa esistere. manto argenteo che copre come un velo di seta chiara tutto il borgo a ridosso del canale. compresi i sassi della ghiaia e i ciottoli. e le foglie cadute e ammucchiate dal vento.

non serve che mi dilunghi oltre nella descrizione. le parole non riescono a seguire e poi rendere ciò che gli occhi vedono in questi momenti di assoluto stupore.

 

ho voluto passeggiare sulla riva ora a me così familiare e non mi sono curato delle pattuglie della gendarmeria tedesca o degli squadristi che vigilano sul coprifuoco. oltretutto la torre è presidio d'un piccolo distaccamento della Luftwaffe che vi ha i suoi radiotelegrafisti e quindi è rarissimo che feldgendarmi vengano fin qui annunziati dai loro collari fosforescenti. il borgo è tranquillo di per sé.

ho passeggiato dunque avvolto nella mia lucente lana lunare. era luce ovunque. i muri delle case illuminati come l'acqua, come il selciato delle vie, come i battenti delle finestre. all'angolo a valle della corrente del ponte Sant'Agostino da una finestra di una casa minuscola, quella che è sulla riva opposta alla mia, ho visto tremolare un lume forse a petrolio o di candela. non ho potuto non sorridere. l'oscuro abitante avrà imprecato contro l'oscuramento nell'accender il povero lume. chissà se si è accorto e avrà visto l'altro lume che saliva invitto anche sul suo tetto e sull'acqua che scorre sotto il suo ponte per colmare di immutabile immensità il nostro piccolo contorno di case, la nostra torre addormentata, i salici argentati.


XX

29 settembre 1944 XXII sera tardi.

domani si parte. la dolce riva ti rimane come ricordo da queste lettere. son desto e sono sceso dalla camera che abito per l'ultima notte. miro qui sull'argine la luna che ora è "Vollmond". Torre, salici e acque inargentati. e io con loro trasformato in fantasma perché vestito del manto freddo e lucente della lana filata dall'astro. 

lo ho visto salire lento e sovrano alle spalle degli alberi oltre il canale. non pare nemmeno di essere in una città di pianura. la teoria degli alberi a cime ora stondate ora appuntite coll'aere acceso dalla luce corporea e incorporea ed il globo gelido e sospeso, se li guardi ti trasportano lontano e potresti pensare che oltre quella corona di cime fitte di rami si apra il panorama di un altipiano alpino o quello d'una spiaggia marina. la città è dimenticata. basta un nonnulla alla natura per riprender la sua potestà. timida e invulnerabile ad un tempo.

un canale di acque lente, i declivi alberati dei suoi argini e fronde popolate che ti nascondano alla vista per almeno una sola prospettiva le case al dipresso e sei gettato nel passato più remoto. la natura medita con il Buddha che la tua fantasia immagina e subito dopo vede lì, su erba kusha o su di una pelle di bestia feroce assiso in siddhasana sul declivio.

medita lui solo? non può essere che meditano con lui e da lui indotti come delle correnti elettromagnetiche debolissime anche ciottoli, rami e uccelli e animali e insetti dormienti che siano nei pressi della sua figura viva e immobile? e le acque che ricevono i raggi lunari riflessi dalla sua pelle lucente non vibrano per un minimo anche della sua mente?  

sto scrivendo solo delle suggestioni. il principe Gautamo Siddharta non tendeva a queste fughe ed era molto più razionale di quanto possiamo figurarci.

i raggi di luce che si riflettono, la luce gelida sulle acque e sui rami sono tuttavia fatti reali. e vi è la realtà dell’immaginare questo essere che medita, quieto, assiso sul declivio.

d'intorno le case coi loro abitanti che dormono. la torre colla sua vedetta in attesa sulla cima.

la città tutta circonda il piccolo borgo. ma su quell'angolo d'argine, dove il guardo per una prospettiva di pochi gradi non vede che acque, fronde ed erba e null'altro se non il manto aereo di luce e il globo acceso, è come se non fosse passato mai il tempo e la città non fosse ancora sorta. questa guerra fosse solo uno dei lontanissimi e possibili futuri e noi un inimmaginato nulla.


XXI 

prima dell’alba.

tu sai quanto sia io un superficiale lettore. mi piace leggere, certo, ma sai che non posso star troppo sulle pagine che subito mi vien il mal di capo. leggo ma son più uno sfogliatore di pagine. non mi soffermo troppo. colgo colla memoria quel che posso e capita ma poi chiudo il libro.

non ti aspettare che in questa città di antiche cattedre universitarie e di munite biblioteche mi sia attardato su volumi di vaste e profonde dottrine. mi è bastata la modesta biblioteca della mia ospite. delle cose curiose che ho scoperto nel soggiorno che domani termina, tre le desidero annotare perché si son avvolte nella tela delle coincidenze interessanti.

 

a suo tempo e se mi sarà possibile, da Vienna, ti invierò per lettera (come il solito le idee migliori vengono alla fine, conformi al detto latino “motus in fine velocior”) una pianta che cercherò di disegnarti il più possibile dettagliata della riva colla mia casa. in ogni caso ti anticipo questo:

alla biforcazione del canale dove la prua del castello carrarese devia parte delle acque in un ramo secondario che prosegue fino alla riviera di Tito Livio, sulla riva di questo ramo ho saputo da una guida trovata in casa che quivi sorgeva la casa natale del Palladio. a circa 250 metri dalla torre tanto per dati un'idea. in quella che oggi è la via dei Rogati. ma non è tutto. sull'argine dirimpetto alla teoria di case che fra loro avevano quella del genio della rotonda si leva come puoi immaginare un'altra teoria di case. in una di queste, forse quella che è contigua al ponte Barbarigo aveva abitato i primi anni del secolo Boccioni, il pittore futurista.

nella casa del Boccioni si entra dalla via alla quale transita il ponte Barbarigo. 

se percorri questa via che pure termina, procedendo verso il Santo, ovvero verso oriente, sboccando nei pressi della riviera di Tito Livio, sulla tua sinistra, ancora quasi dirimpetto la casa del Boccioni, trovi una piccolissima chiesa la cui facciata se non fosse sovrastata da una piccola croce ti potrebbe parere quella d'un tempietto romano passato inosservato agli araldi della nuova fede. un giardino minuscolo è antistante la chiesa ed è chiuso da un cancello. un giorno, passando di qui, ho voluto leggere la lapide che si vede murata sulla facciata e nella quale si ricordava ai posteri l'avvenuto battesimo in questo grazioso e obliato tempio del non molto rammentato Bartolomeo Cristofori, l'inventore dell'"arpicembalo che fa il piano e il forte".

non è davvero curiosa questa trilogia di coincidenze nel raggio di sole poche centinaia di metri dalla mia riva? 

 

come immagini la notte ormai cede. dalle due finestre della camera la luna non è più visibile. si è volta a occidente. non riesco a riaddormentarmi e mi appresto a raccogliere il poco che mi sono portato nella valigia. fra poco, quando all'alba il fratello della mia ospite  si sarà levato e lo posso incomodare, inizio a caricare il combustibile a trucioli sulla macchina. ho già calcolato una riserva che ci permetta almeno in linea teorica di arrivare oltre il confine di Tarvisio. di là, il traffico militare è intensissimo e in ogni dove ci si possono procurare sacchi di combustibile pel gassogeno.

l'olio le gomme i freni e i fari avevo controllato in quello che al momento si è allontanato ed è adesso il giorno di ieri.

cosa dire oltre se non che da ora "fata viam invenient"?

 

ho la radio accesa e dal Reichssender mi arrivano le note del König Stephan di Beethoven.


Padova, in riviera Paleocapa, ultimo dì del settembre 1944, XXII.


XXII 5 ottobre 1944 XXII sera

Siamo a Vienna da qualche giorno. il viaggio è stato senza pericoli e impedimenti lungo la strada di Udine e Villaco. oltre il confine poi tutto si è fatto più spedito. la piccola 500 con il suo gassogeno ha divorato i chilometri e non ha accusato né fatica né danni. qui tutto è subordinato con ferrea disciplina alle esigenze della guerra che ora si fanno davvero sentire. ciò avviene però con un ordine straordinario. a dispetto degli allarmi aerei e delle cannonate della contraerea il programma della Filarmonica è intenso. e alla radio di qui ho potuto ascoltare pure alcune sinfonie di Anton Bruckner. mi arresto per scriverti in seguito, sempre che ne abbia il tempo. torno ogni tanto a rammentare la camera in riva al Piovego con la torre e i salici. e l’ho voluta ridisegnare più o meno come essa era. che resti, caso mai, a documento dell’attesa passata in quella stanza. sulla destra vedi il letto volto con il capo alla parete orientale sulla quale si aprivano le due finestre. sull’armadio campeggiava il modello d’una nave a vela veneziana. i quadri e quadretti appesi ritraevano delle viste classiche di Padova, Vicenza con il suo Palladio, e Venezia. 

 

Avvisava l’estensore del preambolo che a questa lettera da Vienna non ne seguivano altre. È plausibile che le incombenze della missione, la conoscenza d’un mondo nuovo travolto nell’ingranaggio d’una guerra totale, gli incontri e soprattutto l’essere a contatto continuo con un’individualità del rango di Evola abbiano assorbito tutta l’attenzione dell’accompagnatore autore. In fondo a quest’ultima missiva, scritta su fogli di carta quadrettata, facevano mostra di sé due disegni senza pretese, si potrebbe dire quasi degli scarabocchi. Se il primo ritraeva una sommaria prospettiva della camera in Riviera Paleocapa a Padova, tracciata con la cura descrittiva dei particolari che si riserva ad un qualcosa di cui si vuol serbare accurata memoria, il secondo raffigurava piuttosto una strana e incomune allegoria che lo rende non privo di un certo interesse. Vi si riconosce infatti la basilica palladiana di San Giorgio Maggiore a Venezia a fare da sfondo, con mare, nubi e vela, per un’àncora cui si attorciglia il delfino sorridente di Aldo Manuzio. Il ferro navale viene calato dall’alto con una cima e a lato di esso, in sequenza discendente tre lettere maiuscole, I, O, S.  Singolare è la corrispondenza della forma grafica di queste maiuscole con gli elementi della composizione aldina, alla I si appaia la corda tesa in verticale dal peso, alla O l’anello dell’àncora, alla S il delfino. Un acrostico vi è sotteso? Forse. Di certo la sigla IOS è ben conosciuta dagli studiosi del Dürer che in una sua opera scritta l’aveva posta a fondamento dell’arte del disegno. Attenendosi ai soli primi elementi del curioso quadretto un senso di esso può essere il seguente: dal cielo è calata l’àncora con il delfino di Apollo ovvero la contemplazione estetica quale dono dall’alto. Immaginando l’àncora con il suo delfino non in calata ma in lenta ascesa si ha che la contemplazione della bellezza, esemplificata dal panorama, diviene una via per accedere a regioni spirituali. Una conclusione coerente per le missive che qui è stata occasione di trascrivere. 



Figura 5 


Figura 6 


 

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