Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Nei propositi questa doveva essere una normale recensione ad un libro, ad un romanzo scritto da un giudice, Giuseppe Pititto, che con mano felice racconta una storia appassionante obbligando il lettore a rimanere incollato alle pagine del Grande corruttore (questo il titolo del libro pubblicato da Fazi).
Dunque il libro è bello, ben scritto, ma soprattutto si cimenta con una storia italiana che ci costringe a fare i conti con molte verità scomode, anzi più che scomode amare, deprimenti, e sotto molti punti di vista terrorizzanti.
Un colonnello dei servizi segreti scopre un traffico d'armi fra l' Italia e il Libano che coinvolge il ministro degli interni. Il suo diretto superiore a capo dei servizi e legato a lui da un'amicizia quasi paterna, gli proibisce di continuare le indagini per sottrarlo alle conseguenze della reazione che queste avrebbero provocato, mettendo in pericolo l'incolumità sua e del figlio, perciò lo spedisce nello Yemen.
L'insabbiamento funzionerebbe se una giornalista, amica del colonnello, non si mettesse a fare ricerche insospettita dalla improvvisa scomparsa dell'uomo con il quale aveva un appuntamento per rivelazioni importanti, lei non sa niente del traffico di armi né dei coinvolgimenti politici, ma l'improvvisa irreperibilità dell'ufficiale, la misteriosa scomparsa del figlio, e ovviamente l'appuntamento mancato la insospettiscono. Morale della favola, la donna si reca nello Yemen e viene uccisa per il timore che abbia avuto rivelazioni compromettenti.
Ovvio allarme dei media, ovvie inutili indagini, e naturalmente tentativo di nasconde la verità sulla morte della donna, nella quale sono coinvolti i servizi segreti, fino a che il caso viene affidato ad un pm che crede nella giustizia, e questo sarà la sua condanna.
Lasciamo ovviamente al lettore scoprire i colpi di scena che animano il romanzo, e la fine poco edificante, ma purtoppo tremendamente realistica.
Per completare la dovuta analisi del racconto diremo che l'autore è bravo non solo a costruire la storia ma anche a disegnare i personaggi, contrariamente a quanto accade nella letteratura di genere, la vittima non è solo un'apparizione funzionale, ma ha un suo carattere, il lettore ha tempo e modo di affezionarlesi, ella entra fra i personaggi che popolano quel mondo narrativo a pieno titolo.
Se dovessimo trovare una pecca al romanzo dovremmo forse rivolgerci alla figura del ministro degli interni, appunto il grande corruttore,che manovra servendosi di ogni mezzo, lecito ma soprattutto illecito, per arrivare a conquistare la poltrona di presidente della Repubblica. Miraglia, questo il suo nome, viene enfatizzato al punto da diventare surreale; più che un personaggio è un simbolo che riunisce in sé la metafisica della corruzione del potere. È il paradigma della politica italiana dal dopoguerra in poi, nella quale sono saltati tutti i parametri fra un'accettabile ( !) compromesso fra legalità e disinvoltura, e la ideale amministrazione della res publica.
Da questo punto di vista il romanzo ripete quanto già altri hanno scritto facendo inchieste o denunce o semplicemente romanzando la nostra amara realtà.
Quello che rende questo libro inquietantemente bello, e bello perché vero, dolorosamente vero, e tanto vero da essere terrorizzante per ognuno di noi cittadini comuni, è la narrazione del sistema della giustizia.
Forse sarebbe più corretto parlare della inquietante discrezionalità che pm e procuratori hanno di formulare atti d'accusa che richiedono l'arresto del sospettato senza dover esibire alcuna prova concreta della pericolosità di chi sia sotto inchiesta.
E in questo senso nessuno è garantito che sia un semplice cittadino, un magistrato o un politico. la presunzione d'innocenza non esiste, ma prevale la presunzione, anzi la convinzione personale degli inquirenti e dei magistrati, di colpevolezza. La casta dei magistrati può colpire chi vuole per "spezzare", come dice il giudice Pititto nel romanzo, chi si vuole mettere all'angolo.
E si può voler colpire per ottemperare alla richiesta di un politico che si vuol liberare di un individuo scomodo, per vigliaccheria, per invidia, per desiderio di notorietà, per far carriera, per ricambiare un favore.
Si può farlo sulla scorta di una semplice denuncia, di parole non verificate, di chiacchiere diffamatorie.
Come disse una volta Rosy Bindi ad una trasmissione televisiva, il principio è quello di accusare e far dimettere o distruggere psicologicamente, professionalmente, politicamente la persona in questione; se poi verrà provato che era un errore gli verrà chiesto scusa!
Naturalmente la Bindi era d'accordo con questo sistema perché in quel momento si parlava di Berlusconi e dunque...
Purtroppo il sistema di ampia discrezionalità che ha
reso famoso Antonio Di Pietro può uccidere le parsone, dal magistrato al
semplice cittadino e tutto solo per una diffamazione, un sospetto. Quello di
Pititto, è un romanzo, un bel romanzo, ma noi sappiamo e abbiamo le prove che
oltre il romanzo c'è una verità terrorizzante.
La copertina del libro di Fazi Editore
Inserito da surpifs il 11/02/2022 01:16:36
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