Editoriale

Renzismo, una patologia italiana che mette d'accordo Travaglio e Ostellino (e anche noi...)

Renzi è la diretta conseguenza di Berlusconi (rivisto da Veltroni) il quale è stato il prodotto più riuscito del ‘postmoderno’, ovvero del tramonto della modernità nelle società del cosiddetto ‘capitalismo maturo’

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

a guarda te che mi doveva capitare: essere sostanzialmente d’accordo con Marco Travaglio! Eh, si perché l’articolo pubblicato a sua firma da Il Fatto Quotidiano di domenica 6 luglio, “La democrazia autoritaria” (http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/06/patto-renzi-berlusconi-il-modello-super-premier-senza-opposizione/1051713/),non si può, a mio avviso, che sottoscrivere quasi per intero.  

Certo, egli parte - da pari suo - parla da supporter di trinariciute correnti di magistrati imbufaliti (quindi la sua analisi è senz’altro viziata e partigiana), ma nei dieci punti nei quali egli spiega le conseguenze autoritarie che sortirebbero, qual ora passassero tutte le pseudo riforme messe in cantiere dal governo Renzi, c’è molta verità. 

Travaglio definisce il premier “uomo solo al comando” privo di opposizioni, né controlli, né garanzie.  E questo è, oramai, quasi un dato di fatto. In pochi mesi, con abilità e con doppiezza straordinarie, Renzi ha preso in ostaggio il Paese: il suo governo sta facendo il bello e cattivo tempo e gli italiani, disanimati dalla crisi economica e distratti da ammoine governative ben architettate, non se ne accorgono o fanno “spallucce” dati i problemi di più stretta contingenza.

La Pubblica Amministrazione, che pure avrebbe bisogno di una cura da cavallo e di una grande riforma strutturale, è stata letteralmente presa d’assalto non con autentici intenti riformatori, ma come se fosse una roccaforte del potere da conquistare. Smembramenti, chiusure, tagli di organici certo, ma anche nuove nomine (alcune che neanche l’ultimo e più disinvolto berlusconismo) e nuove strutture attraverso le quali assicurarsi nuovo controllo e più diretto potere. 

Per tornare a Travaglio «con l’Italicum e le sue liste bloccate - per esempio - sarà ancora composta da 630 deputati nominati dai segretari dei partiti più grandi. Quelli medio-piccoli saranno esclusi da soglie di accesso altissime. Il primo classificato (anche col 20%) avrà il 55% e potrà governare da solo, confiscando il potere legislativo, che di fatto coinciderà con l’esecutivo a colpi di decreti e fiducie».  

Il Senato, invece, continua ancora il vice direttore de Il Fatto, «con la riforma costituzionale, sarà formato da 100 senatori non eletti: 95 scelti dai consigli regionali (74 tra i consiglieri e 21 tra i sindaci) e 5 dal Quirinale. Sarà dominato dal primo partito e comunque non potrà più controllare il governo: niente fiducia né voto sulle leggi (solo pareri non vincolanti, salvo per le norme costituzionali)»

Le conseguenze sulle opposizioni saranno secondo Travaglio, e non a torto, devastanti perché, scrive: «i dissenzienti dei partiti governativi potranno essere espulsi e sostituiti in commissione (vedi Mauro e Mineo)». Dubbi tremendi anche sulla scelta del Presidente della Repubblica da parte del capo del governo che dà al Colle «poteri enormi di interferenza in tutti i campi».  Nell'elenco delle nefandezze renziane ci sono anche il Csm, i magistrati, i procuratori e i pm. Per quanto riguarda questi ultimi, «il procuratore capo diventa padre-padrone dei pm, provati dell'autonomia e dell'indipendenza interne». 

Poi ancora una riflessione sull'immunità: «Superata dai tempi e screditata dagli abusi, l’immunità parlamentare da arresti e intercettazioni rimane financo per i senatori non più eletti. Il voto a maggioranza semplice consente al governo di mettere in salvo i suoi uomini alla Camera e di nominare senatori “scudati” i sindaci e i consiglieri regionali nei guai con la giustizia».

Travaglio è, poi, assai critico anche per quanto riguarda l'informazione. «La Tv - avvisa - rimane proprietà dei partiti: il governo domina la Rai (rapinata di 150 milioni e indebolita dall’evasione del canone) e B. controlla Mediaset. I giornali restano in mano a editori impuri: aziende perlopiù ricattabili dal governo e bisognose di aiuti pubblici per stati di crisi e prepensionamenti.» 

Domenica strepitosa, quella scorsa: uno di quei rari giorni in cui ti senti un po’ meno solo. Oltre a Travaglio, il grande bluff di Renzi è stato meravigliosamente stigmatizzato da Piero Ostellino dalle colonne del Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2014/luglio/06/gli_Imitatori_della_Prima_Repubblica_co_0_20140706_009dee44-04d6-11e4-b3a5-6157e857a7cf.shtml).

«Con la comparsa di Matteo Renzi nelle vesti del ‘rottamatore’ - scrive Ostellino -  molti italiani avevano pensato che, proponendosi di mandare in pensione la vecchia classe politica, chiacchierona e nullafacente, il ragazzotto fiorentino si accingesse anche a farsi carico dei problemi che essa non aveva risolto, impegnandosi lui stesso a risolverli senza tante chiacchiere. Ma, ora, è sufficiente ascoltare i suoi discorsi per capire che poco è cambiato. Siamo ancora fermi all’auspicio a risolverli, senza fare molto per risolverli oltre a elencarli. 

Ma dopo l’elenco dei problemi che il presidente del Consiglio snocciola a ogni discorso, la domanda che si è indotti a porsi è la seguente: ‘Bene. E adesso che si fa?’ Poiché al ‘che fare’ non c’è mai altra risposta che non sia un (mascherato) aumento delle tasse, come già facevano i predecessori, la morale che si è indotti a trarre è la seguente. Primo: che la storia della ‘rottamazione’ sia stata solo un espediente populista per scalare la segreteria del Partito democratico e la presidenza del Consiglio; ma che Renzi, come capo del governo, non abbia la minima idea, e neppure alcun reale interesse, a rispondere alle domande che egli stesso solleva. Secondo: che, liquidata la vecchia guardia post comunista nel Pd, gli eventuali concorrenti per Palazzo Chigi sulla scena politica e ottenuto ciò che voleva - la segreteria del Partito democratico, la presidenza del Consiglio - Renzi sia, in fondo, della stessa pasta della vecchia classe politica».

Ma quel che non dicono Travaglio e Ostellino - o forse lo sottintendono, chissà? -  è che a monte della presa di potere di Renzi (di questo si tratta, senza mezzi termini) c’è un deficit culturale della politica che si riflette nel Paese e viceversa.

Il renzismo è la fase cronica della malattia della sottocultura di cui l’Italia (Cenerentola dell’Occidente sul piano della capacità del singolo cittadino di reagire attraverso un proprio apparato etico-politico individuale) soffre endemicamente almeno da vent’anni. Renzi, dunque, è la diretta conseguenza di Berlusconi (rivisto da Veltroni) il quale è stato il prodotto più riuscito (in tutti i sensi) del ‘postmoderno’, ovvero del tramonto della modernità nelle società del cosiddetto ‘capitalismo maturo’, in cui l’aggressività dei messaggi pubblicitari, l’invadenza della televisione, il flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti web l’hanno fatta da padrone. 

La disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni fine e a ogni pur minimo senso e l’abbandono dei grandi progetti (anche utopistici, se la disillusione porta tanta barbarie, perché no?) del Novecento, stanno ancora caratterizzando il nostro tempo con un’estetica privata da ogni senso etico che si rappresenta nella citazione e del riuso, ironico e spregiudicato, del repertorio di stanche forme del passato, in cui è abolita definitivamente ogni residua distinzione tra i prodotti ‘alti’ della cultura e quelli della peggiore cultura di massa destinata a investire e a saziare una sempre più ampia e innocua fetta di popolazione e di… elettorato. 

La luce che proietta l’ombra lunga di Renzi è artificiale e dannosa, non è affatto nuova e, soprattutto, non è luce. E se lo fosse, è artificiale. Un freddo lampione al neon nella notte delle coscienze individuali.

 

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