I Libri di Totalità

Rassegna mensile di novità librarie:Giugno 2014

di Mario  Bozzi Sentieri

Rassegna mensile di novità librarie:Giugno 2014

POLITICA

Paolo Bracalini, La Repubblica dei mandarini – Viaggio nell’Italia della burocrazia, delle tasse e delle leggi inutili  (Marsilio, pagg. 199, Euro 14,00)

C'è il ristoratore multato per aver servito troppi spaghetti. Ci sono le 118 procedure da compilare per legge se si vuole aprire un'attività da estetista. C'è la famigerata "tassa sull'ombra", dovuta allo Stato per l'ombra che le tende dei negozi proiettano sul suolo pubblico, e la dichiarazione "peli di foca" per chi esporta un prodotto. C'è Equitalia con il suo "aggio", l'interesse praticato sulle temibili cartelle esattoriali, e le sue vittime. E poi l'Agenzia delle entrate con i premi per chi tartassa di più (spesso a torto). Ogni anno la burocrazia italiana costa 31 miliardi di euro: due punti di Pil persi in scartoffie e pratiche inutili. Si può dire che tutto manchi all'Italia, tranne le regole. Al contrario, i proverbiali lacci e lacciuoli, il groviglio di leggi - statali, regionali, provinciali, comunali - è così intricato che la giungla normativa italiana non ha paragoni in Europa e contribuisce all'indebolimento dei diritti dei "sudditi". I "mandarini", invece, comandano nell'ombra, con un potere enorme: nei ministeri, nella Ragioneria di Stato, nelle segrete stanze del Tesoro e del Quirinale, ma anche nei Tar che paralizzano il Paese. Paolo Bracalini ci guida nel mastodontico intreccio della burocrazia italiana con un'inchiesta che è anche un pugno allo stomaco: storie vere, testimonianze, documenti, cifre e resoconti di una follia tutta nostrana...

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Bruno Tomasich, Guerrieri di cartapesta – La guerra dei pupi (Tabula fati, pagg. 168, Euro 13,00)

“La guerra dei pupi”, descritta in un libro di facile lettura ma dai sottintesi decifrabili solo dagli addetti ai lavori, è la guerra scatenata da Casaleggio e Grillo contro tutti. È una guerra all’ultimo sangue che non farà prigionieri, come non ne faceva Gengis Kahn.  Bruno Tomasich, chimico industriale e biologo molecolare, ne contrasta con rigore scientifico le impostazioni “scientologiche”, fino a metterne in discussione i principi, sorti nelle assemblee e nelle dimostrazioni di piazza, interpretando e controbattendo, non senza un filo di necessario umorismo, le tesi che il duo Casagrillo espone nel loro libro Siamo in guerra. Quegli stessi principi, che hanno finito col dominare anche nei convegni ufficiali, fino a imporsi nei protocolli di Kyoto con i loro errori macroscopici (in primis quello di colpevolizzare l’anidride carbonica come principale responsabile dell’effetto serra), tuttora dominano sulla scena mondiale nel colpevole silenzio della scienza.
 Un diffuso feticismo tecnologico, che vorrebbe unificare nella rete ogni espressione comunicativa, così sopprimendo la stessa libertà dell’uomo, è lo strumento della riscossa del popolo “grillino”, che si fida ciecamente delle prometeiche alchimie di Casaleggio.  Ma Tomasich non ci sta: «Cari grillini — li ammonisce — lasciamoli cantare al crepuscolo, quei professori, e mettiamoci un poco a pensare, magari un po’ più lentamente, come si fa sui libri, a misura d’uomo. Non per questo dovremo rinunciare alle conquiste preziose della tecnologia, anziché ridere delle stupidità volgari, e tornare a sorridere delle cose per cui vale ancora la pena di sorridere. E tu, Grillo, ritorna al vecchio mestiere di comico serio e lascia perdere l’abito grigio. Quello che è grigio lascialo a Casaleggio.

Separate le vostre carriere.»

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Ugo M. Tassinari, Napolitano il Capo della Banda (Edizioni Sì, pagg. 110, Euro 9,50)

Da dove viene, quali sono le idee, quali sono le frequentazioni del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ? Perché è diventato il Grande Vecchio di un regime corrotto, controllato da poteri occulti e centrali estere, finanziarie e politiche? Perché ha potuto muoversi ben oltre la lettera e lo spirito della Costituzione, godendo di ogni appoggio e copertura da parte dei maggiori leader politici italiani e stranieri? Perché Kissinger lo considera ‘il suo comunista preferito’? Perché sostiene il Nuovo Ordine Mondiale, considera la scelta dell'euro irreversibile, ritiene l'alleanza tra destra e sinistra la naturale evoluzione dei sistemi politici parlamentari? Perché  ha fatto distruggere i nastri delle sue telefonate con Mancino invece di renderle pubbliche? Perché  ha fatto cadere Berlusconi nonostante la lunga alleanza, perché  sceglie i Presidenti del Consiglio senza riguardo alla volontà popolare?                           

A questi come a  molti altri perché  risponde questo libro, tanto chiaro quanto documentato. Di Napolitano, in Italia, dentro e fuori il Palazzo, non si può parlare senza allinearsi al  più piatto conformismo. Sono infatti innumerevoli le interruzioni e i casi di vera e propria censura e a cui abbiamo assistito ogni volta che qualche esponente dell'opposizione, alla Camera o al Senato, ha osato solo fare il suo nome. Per non dire dei mass-media. Ugo Tassinari avendo deciso di scrivere addirittura un libro sulla figura del peggior Presidente della Repubblica della storia del nostro Paese, dimostra, già in premessa,  un grande coraggio oltre a un non comune supporto informativo.

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Claudio Cerasa, Le catene della sinistra - Non solo Renzi. Lobby, interessi, azionisti occulti di un potere immobile (Rizzoli, pagg. 250, Euro 16,00)

La storia si ripete sempre due volte. E la colpa è anche della sinistra che non è riuscita a impedire che il 2014 fosse (sotto molti aspetti) simile all’annus horribilis 1994. Claudio Cerasa, uno dei pochi a seguire attentamente Matteo Renzi fin dagli esordi, denuncia in questo libro tutte le malefatte di un partito che si è autoannientato da solo. Sono molti i testimoni che l’autore ha intervistato per ricostruire i danni creati dall’ambientalismo cialtrone, dal giustizialismo ma anche dalla difesa a oltranza della costituzione. Il risultato è un appassionato “J’accuse” che sorprende per la forza con cui mette a nudo l’impossibilità della sinistra di governare e governarsi.

EUROPA

Giulio Tremonti, Bugie e verità – La ragione dei popoli  (Mondadori, pagg. 286, Euro 18,00)

Giulio Tremonti ricostruisce, non senza rivelazioni interessanti, vent'anni di storia italiana ed europea per mostrare quanto le scelte operate in passato siano all'origine del dissesto attuale. "L'Italia non aveva tutti i numeri per entrare nell'euro fin da principio, ci è entrata alterando il suo bilancio", scrive l'ex ministro. E aggiunge che determinanti furono gli imprenditori tedeschi. Lo volevano perché temevano gli effetti della concorrenza italiana se fossimo rimasti fuori della Ue: il nostro manifatturiero era secondo dopo di loro. Qui Tremonti affonda la lama nella sinistra guidata da Romano Prodi e non risparmia critiche a Carlo Azeglio Ciampi i  quali lavorarono strenuamente affinché l'ingresso risultasse come un grande merito della classe dirigente illuminata.

Anche la destra non si salva però  dalle critiche di  Tremonti, che sciorina una  serie di  accuse (partendo dal quesito “voi dove eravate”, che l’ex ministro del Governo Berlusconi dovrebbe oggettivamente anche rivolgere a se stesso)  : avete ignorato la crisi, avete fatto tagli lineari, non avete fatto tagli davvero incisivi, non avete fatto le riforme liberali, avete un cattivo carattere con la maggioranza, sostenete che con la cultura non si mangia e altro ancora. Il libro – è diviso in tre sezioni - "Calpesti e derisi!", "Exit strategy", "Avanti!" – due di ricostruzioni critiche e la terza riservata a un pacchetto di idee per un programma articolato attorno a tre grandi punti quali la legge, la libertà e la fiscalità. Tremonti declina queste voci in una serie di proposte rivolte alle piccole e medie imprese, al settore bancario, alla ricerca, all'istruzione, al lavoro; formula il "rimpatrio" del debito pubblico. Tutto diventerà possibile a una condizione: riappropriarsi della sovranità nazionale. Uscire dall'euro non è possibile ma "gli italiani devono smettere di essere ricattati ‘debitori dell'Europa' e tornare a essere unici padroni del proprio destino".

MONDO

Francesco Brunello Zanitti, Af-Pak: la sfida della stabilità (Fuoco Edizioni, pagg. 216, Euro 16,00)

Af-Pak è un neologismo di recente creazione, ma è ormai frequentemente utilizzato dagli analisti internazionali e dagli addetti alla politica estera. Si riferisce a una particolare area situata tra Asia centrale e meridionale e considera la stretta correlazione tra due Paesi, Afghanistan e Pakistan. Questa regione sarà contraddistinta nel 2014 da un passaggio storico e delicato, ossia il termine della missione internazionale dell’ISAF a guida statunitense. AfPak: la sfida della stabilità ha come obiettivo l’analisi delle molteplici questioni poste dall’area, che influenzeranno nei prossimi anni l’azione di diversi attori globali e regionali. Assieme a dinamiche politiche interne complesse, l’Af-Pak è contraddistinto da numerosi aspetti geografici, storici, sociali, etnografici e religiosi, i quali sono essenziali per comprendere i rapporti dei due Paesi con la regione circostante e per delineare gli ipotetici scenari dei prossimi anni.

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Sergio Canciani, Putin e il neozarismo – Dal crollo dell’ Urss alla conquista della Crimea (Castelvecchi, pagg. 190, Euro 17,50)

L’annessione della Crimea e il guanto di sfida lanciato da Vladimir Putin all’Occidente rappresentano il punto di arrivo di una strategia politica cui il Cremlino sta lavorando da più di un decennio: restituire cioè alla Russia un ruolo da protagonista nello scacchiere mondiale. Solo ripercorrendo la storia dell’ex «impero del male» è possibile capire la traiettoria e le mille contraddizioni dell’immensa federazione euro-asiatica. Un Paese dove corruzione e affari della nuova borghesia – ma forse è più esatto definirla oligarchia – la fanno da padroni. E dove la democrazia si è rivelata una fragile «illusione». Girano soldi, tantissimi soldi, e macchine di lusso, ma la rivoluzione postcomunista non è stata portatrice di maggiori libertà. Sergio Canciani, già inviato della Rai a Mosca, accompagna i lettori in un appassionante viaggio che dall’«era Eltsin» arriva fino alle ultime mosse dello zar Vladimir. L’obiettivo del Presidente, sostiene l’autore, è quello di rioccupare, su scala appena più ridotta, i confini dell’Unione Sovietica. Putin, l’ex uomo del Kgb, considerato oggi come la persona più potente del mondo, sta giocando le sue carte sulla frontiera Sud, lungo l’asse che da Kiev porta a Sebastopoli, la popolosa città della Crimea al centro delle tensioni con l’Ucraina. Ma la sfida travalica i confini della vecchia Urss e investe come un ciclone l’Europa e l’America di Obama.  «Quando perde l’Ucraina, la Russia perde la testa. Lo diceva già Lenin, prefigurando tragedie nazionali qualora “la grande sorella dell’Oltredon” cambiasse padrone. Lo teme anche Putin. Da quando il nuovo zar si è messo a rifondare l’impero, dal Baltico all’Estremo Oriente. Che esso si ispiri a Caterina la Grande o a Stalin, poco importa, purché risulti di peso planetario»

ECONOMIA

Renato Brunetta,  La mia utopia – La piena occupazione è possibile  (Mondadori, pagg. 168, Euro 18,00)

Herman Melville in Moby Dick immagina che nel Pequod, la baleniera comandata dal capitano Achab, viga un sistema che non discrimina, perché ciò che conta è il merito individuale, e che assegni a ciascun lavoratore-capitalista una “pertinenza”, un salario, basato sulle competenze individuali e sui profitti, cosicché a tutti convenga che il capitale frutti il più possibile.
Renato Brunetta, in queste pagine, propone un sistema simile anche per il nostro Paese per superare la crisi, “una grande occasione per ristrutturare, per soffermarsi a capire il mondo e le sue trasformazioni, e reinterpretare idee e teorie”. Una riforma radicale che preveda il passaggio da una società a retribuzione fissa verso sistemi di partecipazione dei lavoratori ai rischi d’impresa. Solo così, realizzando un “socialismo liberale”, dove il salario non sarà più una variabile fissa e incomprimibile, si potrà compiere la transizione da un mondo di salariati in perenne bilico sul nulla della disoccupazione, a un pianeta della piena occupazione.
“Facciamo respirare la nostra società, i nostri giovani. Sviluppiamo. Investiamo. Facciamo manutenzione del nostro territorio, delle nostre case, del nostro patrimonio urbano. Restauriamo e ristrutturiamo. Modernizziamo. Costruiamo le reti del nostro futuro.”

 

TEMPI MODERNI

Mario Adinolfi, Voglio la mamma (Youcanprint, pagg. 122, Euro 13,00).

Un giornalista di sinistra, già deputato del PD scrive questo agile libretto denso di dati e cifre, che raccoglie, con lucidità sorprendente e spiazzante, giudizi e critiche sui temi controversi del nostro tempo: matrimonio omosessuale, aborto, eutanasia infantile, diagnosi prenatale, “dolce morte”, omogenitorialità, uteri in affitto, transessualità, rapporti familiari. Facendosi accompagnare da Pasolini e De André, un intellettuale controcorrente compie un viaggio con al  centro la figura della donna e l’esaltazione della maternità.

CHIESA CATTOLICA

Paolo Pasqualucci, Unam Sanctam - Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo  (Solfanelli, pagg. 440, Euro 34,00).


Il  saggio  di Paolo Pasqualucci  vuole offrire un contributo al dibattito attuale sul Concilio Ecumenico Vaticano II. Il cinquantesimo anniversario del suo inizio (11 ottobre 1962), appena conclusosi, ha visto celebrazioni che ne esaltavano i supposti grandi vantaggi che ne sarebbero derivati alla Chiesa universale.
Tuttavia negli ultimi anni ha preso pubblicamente piede un discorso critico sul Concilio, alimentato da una minoranza di teologi e laici; discorso che, nonostante l’ostilità della maggioranza, schierata a priori con la vulgata dominante, sta trovando un’attenzione un tempo impensabile presso i fedeli. Non si tratta ovviamente di masse sterminate e tuttavia un certo interesse per “il problema” posto dal Vaticano II comincia a diffondersi. Di fronte al perdurare ed anzi all’aggravarsi della crisi della Chiesa Cattolica, che covava sotto le ceneri per esplodere con il Vaticano II, si sente sempre più il bisogno di discutere liberamente del Concilio e delle sue conseguenze, e vale sempre meno il ricorso al principio d’autorità per impedire sul nascere ogni discussione, delegittimandola a priori.


STORIA

Franco Cardini, Alle radici della cavalleria medievale (Il Mulino, pagg. 672, Euro 32,00)

Il guerriero a cavallo, con il suo prestigio anche simbolico, ci perviene dal profondo della preistoria, in termini tanto di valori quanto di pratiche di vita e di combattimento. Dagli sciamani centroasiatici ai guerrieri barbari, dagli dèi nordici ai martiri cristiani, senza dimenticare l’evoluzione dell’allevamento, l’affinarsi delle tecniche metallurgiche, lo sviluppo dell’arte della guerra e le relative «visioni del mondo»: se i più lontani presupposti del cavaliere medievale sono rintracciabili nella cultura dei nomadi delle steppe che per primi addomesticarono i cavalli, la sacralità e la superiore aura che lo circondano persistono ancora oggi nell’immaginario occidentale. Tra storia ed epica, il racconto di un mito millenario e dei suoi perduranti riflessi.

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Atlantico Ferrari, L’asso di cuori. Biografia di Guido Keller (Aga, pagg. 230, Euro 22,00

Il barone Guido Keller (1892-1929), asso dell’aviazione da caccia durante la  Prima guerra mondiale, fece parte della leggendaria squadriglia aerea di Francesco Baracca, sulla carlinga del suo caccia aveva come insegna distintiva, appunto, un asso di cuori. Sempre in prima linea, durante la guerra conseguì 3 medaglie d’argento; fu poi protagonista della presa di Fiume come braccio destro di Gabriele d’Annunzio — unico a poter dare del tu al Vate, creò per lui la guardia personale nota come “Disperata”; si distinse in seguito come autore di beffe audaci — sorvolò il Parlamento italiano facendovi cadere un pitale in segno di disprezzo — e di imprese straordinarie in Africa e in Sud-America, per poi morire prematuramente in un incidente d’auto. Questa è la sua appassionata biografia, scritta nel 1933 dall’amico Atlantico Ferrari.

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Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi, Lenin, Stalin, Togliatti - La dissoluzione del socialismo italiano (Mondadori, pagg. 372, Euro 19,00)

Nel 1919 il Partito socialista italiano era la principale forza del Paese, votata da un terzo degli elettori. Nel giro di soli due anni questo straordinario patrimonio politico andò disperso a causa dei contrasti tra la componente riformista e quella massimalista, culminati nella scissione di Livorno del 1921, che portò alla nascita del Partito comunista d’Italia. Una divisione drammatica, che trascinò verso il baratro tutte le forze democratiche, favorendo l'ascesa del fascismo.
Per spiegare le origini di quell'«errore irrecuperabile », Giancarlo Lehner, avvalendosi anche della documentazione inedita raccolta da Francesco Bigazzi, prende le mosse dagli storici eventi che sconvolsero la Russia nel 1917, quando, sotto la guida di Lenin, si impose l’estremismo dei bolscevichi, pronti ad annientare senza pietà dapprima la resistenza del potere zarista, poi tutte le voci non allineate.
Una linea ulteriormente rafforzata da Stalin, con cui giunse a pieno compimento l'instaurazione di un regime autoritario e repressivo, che, attraverso la Terza Internazionale, estese i suoi tentacoli su tutti i partiti «fratelli» degli altri Paesi. Lontana dall'essere uno strumento di dibattito e confronto paritario, l'Internazionale Comunista, attiva dal 1919, si caratterizzò infatti come semplice cinghia di trasmissione delle decisioni prese a Mosca. E fu proprio il Komintern a dare impulso alla scissione di Livorno che dilaniò il Psi.
In questo clima i comunisti italiani ed europei svilupparono una marcata ostilità nei confronti delle forze socialdemocratiche, verso coloro che venivano bollati come «socialfascisti » e «socialtraditori», considerati i veri nemici della rivoluzione e ritenuti spesso più pericolosi dei regimi nazifascisti verso cui non mancarono invece significative aperture.

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Fabrizio Vincenti, Giuseppe Solaro - Il fascista che sfidò la Fiat e Wall Street (Eclettica, pagg. 303, Euro 16,00)

Giuseppe Solaro, federale del Partito fascista repubblicano torinese, è rimasto imprigionato nella sua icona per decenni. Quell'immagine, drammatica quanto intensa, di un uomo capace di morire a fine guerra, di fronte a una piazza assetata di sangue, con una dignità e un coraggio sconosciuti ai più. Solaro, in realtà, nei suoi 31 anni di vita, è stato molto altro. Una vita intensissima, studente lavoratore, nel Guf di Guido Pallotta, volontario in Spagna, infaticabile organizzatore di appuntamenti culturali, una passione smisurata per le questione economiche che lo portarono a affrontare con lucidità tematiche ancora ricche di attualità come quella sulla sovranità monetaria, sui rapporti tra gli stati, sul futuro dell'Europa, sulla cappa opprimente che gravava, e grava, sui popoli per mano di una tecnocrazia finanziaria che negli anni '40 stava già combattendo una battaglia senza esclusione di colpi. Si definì lui stesso “fanatico” di Mussolini e del Fascismo, nei quali aveva intravisto l'unica strada per la realizzazione di un socialismo non utopico ma calzante per la realtà europea. Solaro è stata una delle figure più rappresentative di una generazione, quella dei trentenni, che hanno voluto seguire sino alle estreme conseguenze la parabola di Mussolini. Il giovane federale, inviso a parecchi fascisti, odiato dai partigiani, malvisto dai grandi gruppi industriali, tra i quali la Fiat finì per essere un capro espiatorio nella mattanza dell'aprile '45. Il saggio di Fabrizio Vincenti, grazie alla consultazione di numerosi archivi, prova a fare luce per la prima volta sulla figura di un fascista dal cuore davvero rosso, ma non per questo meno fascista. Anzi. E che, per le sue riflessioni sulle dinamiche economiche che sono poi scaturite dalla seconda guerra mondiale, continua a essere non solo un testimone di una vicenda drammatica ma un lucido precursore del mondo dei giorni nostri.

CLASSICI

Dante Alighieri, Opere – Volume II (Mondadori, pagg. 1984, Euro 65,00)

Il primo volume dell'edizione (uscito nel 2011) contiene le Rime, la Vita Nova, il De vulgari eloquentia. Le opere sono disposte in ordine cronologico (per quanto possibile), superando la tradizionale divisione fra il Dante latino e quello volgare, che non corrisponde alla reale dinamica della sua evoluzione intellettuale. Questo II volume, che raccoglie la produzione di Dante esule, si apre con il Convivio, frutto della "conversione" alla filosofia, primo impegno intellettuale dopo l'esilio e massimo sforzo dottrinale prima della Commedia; l'opera è curata da Gianfranco Fioravanti, studioso di filosofia medievale. Segue la Monarchia, trattato in prosa latina di argomento storico-politico in cui si affronta il tema della necessità di una monarchia universale che unifichi sotto il suo dominio tutta l'Europa; il commento di Diego Quaglioni è caratterizzato da un taglio specificamente storico-giuridico. Le Epistole, frammenti di un epistolario che non fu mai raccolto, ma importante testimonianza di una meditazione su temi e fatti che maturano nei tempi lunghi dell'esilio, sono commentate da Claudia Villa privilegiando i contatti che hanno con le altre opere dantesche. Infine le Egloghe, corrispondenza poetica con Giovanni del Virgilio, l'ultima opera di Dante e la sua prima e unica prova di poesia latina, con l'ampio commento di Gabriella Albanese.

CARTEGGI

Eleonora Duse-Gabriele d’Annunzio, Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923 (Bompiani, pagg. 1406, Euro 30)

“Vedo il sole” - scrisse Eleonora Duse nel primo biglietto per Gabriele d’Annunzio, e parlava di lui, che definirà il loro incontro “un incantesimo solare”. Senza saperlo, ma forse lui sì, il loro amore inaugurò il divismo moderno e alimentò le cronache mondane per anni. I detrattori hanno sostenuto che non fu un vero amore. La questione è più complessa. Il loro, semmai, fu un incontro di reciproco interesse. Il connubio artistico con la più celebrata attrice del tempo avrebbe permesso a Gabriele di avvicinare il pubblico ai suoi miti e alla sua poesia. A lei premeva rinnovare il suo repertorio e legare la propria arte a testi che fossero “suoi” e soltanto suoi. E per di più cadde fulminata dal grande seduttore che, pur amandola, finì per stancarsene, come sempre. Fu un grande amore? Sì, e questo libro – che ho visto crescere insieme agli studi di Franca Minnucci negli Archivi del Vittoriale degli Italiani – lo racconta con le stesse parole della grande attrice. Quasi tutte le lettere di lui sono andate distrutte, ma se ne salva una del 17 luglio 1904, poco dopo la fine della loro storia, che le riassume tutte: “Il bisogno imperioso della vita violenta – della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell’allegrezza – mi hanno tratto lontano. E tu – che talvolta ti sei commossa fino alle lacrime dinanzi a un mio movimento istintivo come ti commuovi dinanzi alla fame di un animale o dinanzi allo sforzo d’una pianta per superare un muro triste – tu puoi farmi onta di questo bisogno?” La risposta gli giunse pochi giorni dopo: “Non parlarmi dell’impero della ragione, della tua ‘vita carnale’, della tua sete di ‘vita gioiosa’. – Son sazia di queste parole! – Da anni ti ascolto dirle. Non ti posso seguire interamente, né interamente comprendere [...] Quale amore potrai tu trovare, degno e profondo, che vive solo di gaudio?”

FUMETTI

Leon Degrelle, Il mio amico Tintin  (Astrid, pagg. 248, Euro 30,00)

Finalmente in italiano uno dei libri che più ha fatto discutere alla sua uscita, la storia dalla genesi in poi del famoso fumetto "Milou et Tintin" scritta da colui che ha prestato la sua immagine a Tintin,  Leon Degrelle. Con questa anche la sua stessa storia che in molte occasione è andata di pari passo con quella di Tintin, che in molti casi fu per lui come un nume tutelare, e una accurata documentazione compresa la stampa denigratoria, accanitasi particolarmente dopo la scoperta che Hergé, il padre del fumetto,  era stato "rexista". Racconta Degrelle, leader del   rexismo, movimento nazionalista di ispirazione cattolica,   che fu lo stesso Hergé, sfidando gli odi del dopoguerra, ad avere il coraggio di riconoscere  la filiazione degrelliana di Tintin  in un'intervista rilasciata a “La Libre Belgique” del 30 dicembre 1973, dicendo: Ho scoperto il fumetto... grazie a Léon Degrelle! Questi era infatti partito come giornalista per il Messico, inviando al “Vingtième Siècle” non solo delle cronache personali ma anche (per inquadrare l'atmosfera) dei giornali locali in cui comparivano dei fumetti americani. Fu così che conobbi i miei primi comics”. 

SPORT

Gaia De Pascale, Correre è una filosofia (Ponte alle Grazie, pagg. 188, euro 14)

«Correre rende felici». Si potrebbe riassumere così l’affascinante percorso che Gaia De Pascale traccia in queste pagine: unica fra tutte le discipline sportive, la corsa è una filosofia di vita, e insieme metafora stessa del vivere. Chi corre lo fa per spezzare ogni condizionamento o limite: si oppone al destino, esprime la propria nostalgia per l’infanzia perduta o per un ideale di purezza e autenticità a cui tendere, sfoga emozioni e tensioni sopite da troppo tempo, supera le barriere che la vita gli ha imposto. In una parola, correre è sinonimo di libertà, oltre i vincoli sociali, culturali, oltre le sbarre di qualsiasi prigione, mentale o reale, fisica o emotiva.
Ecco quindi una ricchissima carrellata di figure, ognuna emblema di tale pulsione, dal mito greco ai conflitti sociali del Novecento, dalla savana africana ad Alice nel Paese del Meraviglie, dagli scatti brucianti dei velocisti alle imprese titaniche degli ultrarunner, fra cui spicca il leggendario Marco Olmo. Le storie raccolte in questo libro sono tante e diversissime fra loro, lontane nello spazio e nel tempo della storia, ma non è difficile riconoscerne un centro comune. Quando si tratta di correre, agonismo e competizione non contano più di tanto: l’obiettivo non è sconfiggere l’avversario o inanellare l’ennesimo record, ma arrivare in fondo, raggiungere il traguardo, vincere la sfida che prima di tutto affrontiamo con noi stessi, le paure, le prove durissime di cui il destino ha costellato la nostra strada. Correre è persino una forma di follia, ma di «follia sana, una follia che è salvezza». E la proverbiale «solitudine del maratoneta» non è mai una cella, ma la libertà più pura, la vittoria più profonda, la capacità di arrivare al fondo di noi stessi, di pensare l’impensabile. Quando si corre ci si dimentica della fatica, del dolore, del respiro che sembra mancare a ogni passo. Ci si dimentica perfino di correre: «Forse il segreto è tutto qui. Correre come si sogna».

 


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