Il Vero il Buono il Bello

L’arte di Sigfrido come proseguimento della filosofia con altri mezzi

È stato il più grande xilografo del '900, ma negli ultimi anni, con il progredire della malattia che lo aveva aggredito, non poteva più adoperare le mani

di Fausto Gianfranceschi

L’arte di Sigfrido come proseguimento della filosofia con altri mezzi

La vita e le opere di Sigfrido Bartolini formano un mondo vario e complesso.

Sigfrido fu pittore, incisore, scrittore, critico d’arte e storico dell’arte, persona buona e generosa. Perciò ricordarlo in maniera esauriente qui è impossibile. Mi limiterò dunque a rammentare rapsodicamente alcuni momenti apicali del mio rapporto con lui.

Conobbi Sigfrido nei primi anni Sessanta quando, attratto da ciò che avevo letto e avevo sentito dire di lui, andai a trovarlo a Pistoia. Fu un bell’incontro, fu una bella esperienza. Percepii subito che lui e la sua città erano in sintonia perfetta. Pistoia è tranquilla, riservata e tuttavia traboccante di forza segreta scaturente dalle sue meravigliose testimonianze d’arte; Sigfrido l’attraversava in bicicletta per andare nella scuola dove insegnava.

La sua casa era in una strada silenziosa, un villino di proprietà. Quando entrai mi trovai in un’oasi quale oggi è difficile trovare. Lui schietto, comunicativo, tutt’uno con la sua arte. Lei, la moglie Pina, dolce e riservata, di cui si intuiva la dedizione e la forza interiore che, si capiva, erano un meraviglioso appoggio per il marito.

Sigfrido aveva in casa tutto quello che gli serviva per la sua arte, aveva lì la sua officina, al secondo piano, dove dipingeva, intagliava i legni, incideva le lastre, inchiostrava e sottoponeva al torchio le incisioni. Fu un’intesa immediata, ci riconoscemmo subito come membri di una confraternita di cavalieri della verità, un ordine non formalizzato ma misteriosamente esistente.

Acquistai un dipinto, CasaSolitaria”, e da quel giorno la nostra forte amicizia non ebbe incrinature, per decenni, fino alla morte di Sigfrido; e anche dopo la sua morte sento che la nostra  solidarietà permane, come con tanti altri cavalieri scomparsi, mentre io, pur tartassato dalla sorte, sono ingiustamente sopravvissuto.

Con quella Casa solitaria cominci la mia iniziazione all’arte di Sigfrido. Il suo maestro fu Soffici, ma nelle sue tele si avvertono anche le influenze di Rosai e di Carrà, per dire i primi che mi vengono in mente; ma queste influenze non diminuiscono la sua originalità perché lui sapeva e accettava con orgoglio di appartenere a una tradizione. L’impianto delle sue opere è dunque chiaramente figurativo; tuttavia la figurazione acquista nel suo pennello un che di trasognato, di metafisico, sicché l’immagine diventa pura poesia, una poesia che narra una civiltà in declino, e insieme evoca la speranza di un ritorno ai valori perenni che rendono la vita degna di essere vissuta.

Un’altra spiccata qualità di Sigfrido è la sua abilità di incisore, e specialmente di xilografo. Credo fermamente che egli sia il maggiore xilografo della seconda metà del Novecento italiano. Sigfrido riesce a imporre ai suoi legni una dolcezza e una rotondità di sfumature che in altri artisti di rado mi è capitato di gustare. Il legno, con i suoi nodi, è una materia difficile, dura, spesso capricciosa; ma proprio per questo, forse, in una specie di sfida, di duello, Sigfrido riesce a raggiungere con esso alcuni dei suoi esiti migliori e più originali. Le sue xilografie a colori sono esemplari non solo di vivida fantasia, ma anche di una minuziosa fatica che oggi pochi artisti hanno voglia di intraprendere. Un monumento di questo impegno sono le tante (309) splendide incisioni che illustrano il Pinocchio .

Disgraziatamente negli ultimi anni, con il progredire della malattia che lo aveva aggredito, non poteva più adoperare le mani, che erano diventate fragili, per incidere il legno. La malattia e il modo di affrontarla è un capitolo a parte nella biografia di Sigfrido. I dolori fisici, persistenti, in costante aumento, lo fiaccavano, e tuttavia il suo buon umore restava intatto. Prova ne è che infine si inventò un altro mestiere (materialmente più docile), quello di pittore di vetrate; così è nato il suo ultimo capolavoro, un ciclo sacro per una nuova chiesa di Pistoia. La freschezza, la naturalezza, l’apparente semplicità di queste rappresentazioni sono come un sorso di aria buona e, insieme, una fervida eco di concentrazione spirituale quale fu alla sorgente la grande arte italiana.

Polemista istintivo, cattolico arditamente integralista, Sigfrido fu anche un eccellente scrittore. Un libro giovanile, forse il primo se non ricordo male, scritto nel momento di massima ubriacatura conciliare, si intitola Lettere di San Bernardino da Siena. Qui Sigfrido immagina che il Santo, il quale a suo tempo fu uno spregiudicato polemista come lui, scriva ai nostri tempi al direttore di un grande quotidiano per commentare con stile acerbo le incredibili autoumiliazioni della Chiesa.

È una rassegna irata e insieme saporita degli errori e degli orrori che rischiano di devastare il campo cattolico; sono pagine ancora attuali, che si possono tuttora leggere con gusto e con profitto.

Non meno tempestivo e coraggioso è il suo ultimo libro intitolato La Grande Impostura, fasti e misfatti dell’arte moderna e contemporanea Conosco pochissime altre voci che in Italia e nel mondo si levano con tanta energia e tanta spregiudicatezza contro il sistema critico ed estetico (anzi antiestetico) dominante, con il quale si sono anestetizzati il gusto e la conoscenza. In più Sigfrido si avvale di una irresistibile vena satirica, che demolisce spietatamente i falsi miti odierni. Magnifica la sentenza “ Il sonno della ragione genera mostre”, che denuncia la banalità degli eventi “da non perdere”, in grave aumento, dove il pubblico è guidato da organizzatori e critici imbroglioni. “vedi un Van Gogh e hai un’indulgenza”.

Così, dice Sigfrido, bisogna vedere la Biennale di Venezia come se si compissero due Opere di Misericordia: visitare gli infermi, seppellire i morti. Così, per scegliere una felice definizione, la cosiddetta “Arte povera” è fatta per arricchire chi la fa e chi la gestisce.

Credo di aver squadernato abbastanza accenni per indicare la complessità di un personaggio dietro le cui opere artistiche c’è una grande somma di pensiero e di conoscenza; voglio dire che considero l’arte di Sigfrido come un proseguimento della filosofia con altri mezzi. E per dire quale filosofia, vedo Sigfrido e le sue opere come un’incarnazione della grande triade: il vero, il buono, il bello.

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