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Anniversario

Fedele soltanto alla religione dell'intelligenza

Un valore che il poligrafo ed artista pistoiese ha onorato per tutta la vita è stato la libertà

di Gennaro  Malgieri

Fedele soltanto alla religione dell'intelligenza

L' originale testata del quindicinale Totalità fondato da Occhini e Bartolini (1966-1969)

Non sbiadiscono i ricordi quando s'intrecciano con la vita cui danno sostanza. E possono trascorrere anche molti anni, ma sempre, per una ragione o per l'altra, ritornano. Così, in questi giorni, il ricordo di Sigfrido Bartolini, che avrebbe compiuto ottant'anni il 21 di  gennaio, mi prende l'anima e rammemora un tempo felice, quello del nostro incontro, in un palazzo nobiliare di Roma dove, pochi minuti dopo, lo avrei ascoltato per la prima volta discorrere di arte e letteratura, costume e politica, stili di vita e mode volgari. Un'impietosa analisi del tempo, insomma. Accadeva trentacinque o trentasei anni fa. Nell'ambito di un convegno organizzato dall' indimenticabile Giovanni Volpe per la Fondazione che portava il nome di suo padre, il grande storico Gioacchino.

La dolcezza di Sigfrido mi conquistò all'istante. Sapeva dire cose durissime contro quel tempo gelido non meno di questo nostro, con il garbo del signore e dell'intellettuale disorganico, ostile a tutte le parrocchie e fedele soltanto alla religione dell'intelligenza trasfigurata nel suo imponente lavoro di pittore, incisore, scrittore, giornalista, animatore di cenacoli culturali come il gruppo che diede vita a Totalità, rivista tra le più pregevoli del dopoguerra, diretta da Barna Occhini, popolata da spiriti liberi dei quali Sigfrido era uno dei più giovani ed apprezzati.

Ecco, la libertà. Se c'è stato un valore che il poligrafo ed artista pistoiese ha onorato per tutta la vita è stato proprio quello della libertà, aprendosi quando era il caso alle esperienze che la vita gli offriva con disponibilità d'animo e chiudendosi in se stesso quando le delusioni si affollavano dentro di lui che pure aveva modo di far sentire il proprio dissenso rispetto a ciò che lo offendeva come uomo. Per esempio, il compromesso con la propria coscienza, con la storia della quale si sentiva (ed era) parte e le amicizie da coltivare per interesse, era estraneo al suo modo di fare e di pensare. Lo percepii immediatamente, fin dalle prime battute che ci scambiammo, io poco più che ragazzo, lui, poco più che quarantenne riferimento di una cultura emarginata, ma non stanca, ricca di stimoli che, purtroppo e non si sa per quale arcano sortilegio, sbiadita proprio quando poteva trionfare, vale a dire nell'ultimo ventennio.

Di questa infelice circostanza restano alcune lettere che conservo di Sigfrido, il quale, di tanto in tanto, mi interpellava - onorandomi della sua considerazione e stima - su quanto di torbido o, comunque di inaccettabile, andava producendosi nella sfera politica di quella Destra alla quale lui si sentiva intimamente legato e che, seppure in modo critico, aveva contribuito ad illustrare culturalmente. Il più delle volte non avevo argomenti sufficientemente forti che lenissero la sua delusione; altre, inaspettatamente, me le offriva lui le occasioni per non lasciarmi travolgere dall'insulto alla memoria ed alla qualità della politica che in quell'area era diventata quasi una moda. Anche in questo Sigfrido era generosissimo, comprendendo il disagio di chi viveva in prima linea il suo stesso disagio.

Adesso che scrivo queste righe davanti ad alcune sue opere, tra le più belle non soltanto stilisticamente, ma per ciò che evocano nella mia mente ed ancor di più per ciò che accendono nell'animo mio, rifletto sulla sua sterminata opera di pittore e di incisore, tra i più significativi del Novecento, ma non riesco a staccarmi dalle analisi culturali e civili, che ogni tanto proponeva su riviste e giornali, dalle quali ho tratto giovanile giovamento e me ne sono servito per crescere in un certo modo.

Sarà anche per questo che oggi, ricordandolo qui, sulla "sua" Totalità, io ricordo il tempo trascorso, che non è poco, vedendo passare insieme con lui chi lo ha preceduto e seguito nell'altra vita. E mi dico che era una bella schiera di eletti, dei veri maestri dello spirito e del pensiero che Sigfrido, se ne avesse avuto l'opportunità, avrebbe illustrato da par suo, incidendo i caratteri più che i volti, per lasciarci l'impronta di un mondo, del quale lui stesso è stato partecipe, affinché l'onta dell'oblio non si abbattesse su chi ha testimoniato contro la decadenza in vista della possibile rinascita.

Era questo, a ben vedere, il solo patriottismo a cui Sigfrido si era votato fin da ragazzo e che difese, con le armi che aveva a disposizione, in tutte le feconde stagioni della sua esistenza. Me lo fece capire in quella lontana primavera incontrandolo sullo scalone imponente dell'antico Palazzo. Lo accompagnavano una splendida fanciulla ed una sorridente, affascinante signora. Sua figlia e sua moglie. Attraverso di loro negli ultimi cinque anni ho ancora potuto continuare a parlare con lui. Una fortuna ed un privilegio.


 

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