Eros e Thanatos

77° Festival Maggio Musicale: Mehta e Wagner aprono il sipario

Tristan und Isolde esemplifica il concetto di musica, figuratrice dell’invisibile di nietzschiana memoria

di Domenico Del Nero

77°  Festival  Maggio Musicale: Mehta e Wagner aprono il sipario

Quando Eros e Thanatos si rivelano nel segreto delle note.  Poche opere come il Tristan und Isolde di Richard Wagner possono esemplificare il concetto di “musica, figuratrice dell’invisibile” di nietzschiana memoria. Un grande titolo dunque per aprire il 77* festival del Maggio Musicale fiorentino, con Zubin Mehta sul podio del “golfo mistico” e una nuova regia.

 Un’antica leggenda medievale, che mette forse per la prima volta il risalto il conflitto tra l’amore sponsale e quello passionale, diventa ì il tema romantico- decadente per eccellenza, dove l’amore – paradossalmente – può diventare la negazione della vita stessa. Nata molto probabilmente in ambiente celtico, la leggenda di Tristano e Isotta aveva trovato la sua prima consacrazione letteraria nel l’” Histoire du roi Marc et  d’Iseut  la Blonde” di Chretien de Troies , redatta intorno al 1152 e dove forse la “materia di Bretagna” e la tradizione cortese trovavano un primo punto di contatto. Ma tale opera è purtroppo andata perduta e la vicenda come lo conosciamo, attraverso i testi pervenuti (talvolta solo parzialmente) si rifà fondamentalmente a due filoni:  una “comune” (probabilmente più vicina alla matrice celtica) , bastata sul tema tipico del nipote di un capo che ne rapisce la moglie, e una “cortese”, in cui lo schema di violenza e di adulterio viene ricondotto entro gli schemi della fedeltà feudale e della Fin Amour. Un tema più che idoneo a eccitare la fantasia di Wagner, che compose l’opera tra il 1857 e il 1859; la prima rappresentazione però si tenne solo nel 1865 a Monaco di Baviera.

Per pietà del più bel sogno della mia vita, per amore del giovane Sigfrido, è necessario che io porti a termine i miei Nibelunghi. Ma poiché nella mia vita non ho mai gustato la vera felicità dell'amore, voglio innalzare a questo che è il più bello di tutti i sogni un monumento nel quale, dal principio alla fine, sfogherò fino a saziarlo appieno questo amore. Ho in mente l'idea di un Tristano e Isotta, una concezione musicale della massima semplicità e però quant'altra mai intensa e concreta: dopo, nella bandiera nera che sventola alla fine, voglio avvolgermi e morire".

Si tratta di un famosissimo passo di una lettera di Wagner a Franz Liszt (16 dicembre 1854), vero e proprio presagio e sigillo di una delle opere più rivoluzionarie e significative che siano mai state scritti (ancora Giacomo Puccini vi si arrovellava cercando ispirazione per la sua Turandot). Ripresa ideale della tragedia antica, secondo il modello ideale del Gesamtkunstwerk che informa tutta la  produzione wagneriana maggiore e più matura, proprio mentre era nel pieno della gestazione de l’Anello del Nibelungo (era giunto quasi alla fine della Walkiria) ecco che Wagner comunica al grande amico e collega l’urgenza di un sogno artistico: quello di un amore ideale che porta a un abisso di beatitudine e sofferenza. Ne scaturisce una visione della vita permeata di profondo pessimismo, caratterizzata dalla romantica Sehnsucht, il “desiderio del desiderio” che non conosce appagamento, un sogno che va al di là del tempo e dello spazio, oltre la storia e lo stesso mito

 Nel 1854 Wagner aveva letto e meditato  Il mondo come volontà e rappresentazione, l’opera fondamentale di Arthur Schopenhauer; più che una concezione della vita e del mondo ( il conflitto con la volontà di vita e il tentativo di affrancarsene) l’artista vi trovò una potente spinta alla sua creazione: “ Gli stessi motivi utopici della “filosofia” wagneriana ( l’amore come redenzione dalla paura; la persistenza di elementi ‘umanistici’ feurbachiani) derivano dall’idea della musica come sintesi tra azione discorsiva e ‘originariamente’ umano (…) idea in quanto tale opposta alla concezione schopenhaueriana della musica come ‘del tutto separata’  dal tempo dominante nelle altre arti. Eppure Wagner si separa da Schopenhauer sulla base dei problemi e delle aporie che in Schopenhauer si sono evidenziati – è vero non solo che il rapporto con Schopenhauer è essenziale alla comprensione di Wagner, ma anche che proprio quei punti  sui quali Wagner appare agli antipodi di Schopenhauer permettono di interpretare più profondamente la filosofia musicale di quest’ultimo.” [1]

Zubin Mehta aveva già dato, proprio qui a Firenze, una straordinaria interpretazione del capolavoro Wagneriano nel corso del 62° maggio Musicale, nel 1999, in una edizione memorabile con la regia di Eduardo Arroyo: “ Non c’è partitura di Wagner che si può studiare abbastanza, e Tristan in particolare. Ci alcuni sono dettagli in quest’opera che anche alla cinquantesima volta appaiono nuovi, dei piccoli accenti che sottolineano una parola, o delle parole che sembrano chiedere qualcosa all’orchestra: insomma dalla fosse non viene solo un accompagnamento, ma una partecipazione totale, perché l’ordito sinfonico deve essere tutt’uno con quello che accade sulla scena”, aveva affermato allora il grande direttore in una intervista.[2] Sicuramente il maestro darà anche questa volta una lettura di straordinaria tensione ed emozione.

La regia presenta un nuovo allestimento a cura di Stefano Poda, caratterizzato da un “grande cumulo di riso che caratterizza la vanitas, ovvero la vanità del tempo che passa”.  E qui i protagonisti scoprono attraverso due porte, una di corno e una d’avorio (nel mito, quelle dei sogni fallaci e dei sogni veritieri) alla ricerca vana di una qualche verità. Una spiaggia di riso, dunque, perché anche il riso, contrariamente alla sabbia è corruttibile con l’inesorabile trascorrere del tempo.

Protagonisti Torsten Kerl nel ruolo di Tristano e Lioba Braun in quello di Isotta. Lo spettacolo si tiene al teatro Comunale,  prima rappresentazione stasera ore 19,00, repliche domenica 4 e domenica 11 maggio ore 15,30; mercoledì 7 ore 19,00.

Soggetto dell’opera:[3]

ATTO I

Isolde, principessa d’Irlanda, è in viaggio sulla nave che la conduce in Cornovaglia, dove andrà sposa a re Marke. Ascoltando cupa il canto di un marinaio invoca una tempesta; non sopporta che Tristan, uccisore del suo fidanzato Morold, rifiuti di incontrarla rimanendo al timone, e ancor meno che lo scudiero Kurwenal la schernisca. L’ancella Brangäne prega Isolde di calmarsi: a lei la principessa racconta come salvò Tristan con un filtro magico e come abbia deciso di ucciderlo. Arrivando nel porto, Isolde propone a Tristan di bere nella coppa dell’oblio e della riconciliazione, credendo di versare a entrambi il filtro della morte. Brangäne l’ha però sostituito con un filtro d’amore e i due si baciano.

 

ATTO II

Isolde attende Tristan nel giardino del castello mentre Brangäne consiglia prudenza: teme che Melot, cortigiano di re Marke, sospetti qualcosa. Tristan arriva e la notte avvolge i due amanti, ma la passione non fa loro udire la voce di Brangäne che li avverte che sta per sorgere l’alba. Kurwenal esorta l’eroe a salvarsi, ma irrompono Marke, Melot e altri. Isolde accetta la proposta di Tristan di morire con lui per unirsi nell’eternità. Tristan allora provoca Melot insinuando che anche lui ami Isolde; il cortigiano sguaina la spada e l’eroe vi si getta cadendo gravemente ferito tra le braccia di Kurwenal.

 

ATTO III

Kurwenal ha trasportato Tristan, morente, nel suo castello. Al suo risveglio rifiuta di vivere e maledice il giorno che lo separa da Isolde. Kurwenal lo consola: un uomo fedele gli sta conducendo Isolde che, con i suoi filtri magici, lo guarirà. Vedendola, Tristan si strappa le bende della ferita e muore mentre Isolde lo accoglie fra le sue braccia. Mentre Re Marke arriva per perdonare e unire i due giovani, conosciuta da Brangäne la storia del filtro, Kurwenal uccide Melot e mortalmente ferito cade accanto a Tristan. Isolde, insensibile, estranea, muore allora trasfigurata da una gioia suprema.



[1] Massimo CACCIARI, “Schweigender Bote. Sul rapporto Schopenhauer – Wagner”, in Wagner, Tristan und Isolde, Firenze, Maggio Musicale Fiorentino (programma di sala), 1999, pp. 281 – 301, pp. 292-3.

[2] Franco MANFRIANI “ la continua tensione del Tristan. Intervista a Zubin Mehta” in Wagner, Tristan … cit. p. 240.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da piccolo da Chioggia il 01/05/2014 10:46:32

    voglio precisare quanto sotto. al venezian barbogio Cacciari riconosco, per quanto ciò può valere,gentilezza in quanto individualità e apertura mentale in quanto pensatore. queste caratteristiche la qualificano come degno di assoluto rispetto. indice della sua apertura mentale siano ad esempio le parole da lui scritte sullo Julius Evola pittore e teorico dell'avanguardia. scritte in dispetto della antipatia che esse suscitano presso i soloni dell'antifascismo sempre più ridotto a larva. in quanto a scrittore di filosofia il discorso purtroppo dal mio punto di vista è altro. alla sesta settima riga de "L'angelo necessario" si deve smettere per lettura di frasi incomprensibili. mutuate forse dal verbo astruso del grande Heidegger e pensate però in italiano, lingua che ahimè essendo "pindarica ed eschilea" si adatta magnificamente a tradurre Nietzsche o al sublime Leopardi ma non tollera circonvoluzioni di troppe subordinate e aggettivi in gran copia. anche la lettura del suo "Tre icone" è stata alquanto deludente. nessuna frase che si rammenti per essere decisiva. impressioni dinanzi ad opere d'arte bellissime sentite da un cuor professorale che osserva le opere stesse in attesa di versare il fiume d'inchiostro d'un saggio. i filosofi non dovrebbero scrivere di arte se non abbiano almeno tentato per un momento di tener in mano un lapis o un pennello. si rammenti il grande Winckelmann che si esercitava alle copie d'arte classica con la sua matita. si rammenti che Schopenhauer ha messo in poscritto ai suoi Parerga e Paralipomena alcune poesie di sua mano, due di esse io le trovo molto davvero molto belle, e quindi essendosi cimentato con l'arte e essendosi esposto coraggiosamente anche a dei giudizi negativi o stroncanti ha una voce che sull'arte si fa ascoltare. e Cacciari? l'unica arte che pare abbia tentato è quella politica. ma qui il suo concittadino Gianni De Michelis parmi esser stato più estroso. in bene e in male. ma più artista in ogni caso. tutto questo ha nulla a che fare col bell'articolo del professor Del Nero ma essendosi nominata la banalissima pagina di Cacciari sul Wagner teorico e Schopenhauer con tutte le fantasticherie inverificabili contenute ecco che il mio commento ha una sua sia pur minima ragion d'essere.

  • Inserito da piccolo da Chioggia il 30/04/2014 20:31:47

    Cacciari riesce esemplarmente mi pare a complicare la comprensione. inizio a pensare che lo sprezzo che Gianni De Michelis gli aveva rinviato dopo i vari alterchi definendolo un "professore" di filosofia sia non immotivato. se Puccini redivivo dovesse meditare sulle carte scritte dal venezian barbogio si butterebbe a comporre musica rock...

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