Una ricetta gustosa, mentale e...

Greschka, una tradizionale vivanda russa tra un libro di Bukowskij, le Matriosche, le balalaiche...

Come rendere fiorentina e latina ora la rude ma nutriente portata? I russi pronunciano un simpatico griesc’ka. Possiamo dire noi la grescia?

di Piccolo da Chioggia

Greschka, una tradizionale vivanda russa tra un libro di Bukowskij, le Matriosche, le balalaiche...

La greschka

A pochi metri dalla mia stamberga un piccolo appalto è gestito da due donne russe che vendono alimentari per i non pochi ucraini, che sono il popolo straniero più numeroso nel suolo comunale, e poi russi e moldavi che vivono nei dintorni. È finito che ci capitassi pure io, in questo curioso appalto imbottito di matrioske, quando mi è stato fatto presente da una mia conoscente che per un pasticcione ai fornelli quale sono, bravo a imbrattare la casseruola e spaccare piatti con maldestra esattezza, sbocconcellare qualcosa con poco danno alle suppellettili senza perdere in nutrimento è ancora possibile cuocendosi un semplice piatto di greschka, una tradizionale vivanda russa, in pratica un bollito di grano saraceno cui poi si aggiungono verdure di sapore rilevato quali cavolo, carote, sedani e via di seguito.

La mia conoscente, buona conoscitrice della lingua di Dostoevskij e alla quale devo i continui prestiti di libri invernali, fu lei che mi impose la lettura dell’opera omnia di Hank Bukowsky e poi, senza accampare simmetrie di alcun tipo, quella del magnifico teatro di Michele Bulgakov, con una delicata sensibilità femminile sapendo che tanto nulla avrei mutato delle mie abitudini più o meno rudimentali indotte dalla ricerca della rapidità mi portava in una casseruola da casa sua il primo assaggio di greschka. Era talmente buono e nutriente che me lo sono fatto durare, sbocconcellandolo a zinzini, per tre pasti circa. E ha illuminato  per un barlume quel naufragio continuo che sono le mie attitudini pratiche alla cucina. È gustoso, mentale, rude e facilissimo da preparare. Criterio basilare per chi non vuol lavare troppi piatti. Non è propriamente economico in massimo grado dato che il chilogrammo circa dei grani in cartoccio costa 3 euro e qualcosa. Ben di più del nostro riso e però, come spesso avviene, il risparmio fa capolino da un altro versante e questo è per nulla trascurabile: il grano saraceno dei cartocci di greschka è ricco di magnesio, fosforo, zinco, rame fluoro, ferro, calcio e vitamine B e P. Dai medici russi è stimato un possente reintegratore di minerali. Ha dipoi una interessante caratteristica: per un suo componente esso è usato per trattare come alimento e medicina coloro che sono stati esposti alle troppe radiazioni delle centrali atomiche. Ma accontentiamoci noi di usare la gustosa greschka da semplice vivanda.

Essendo il grano saraceno completamente senza glutine, la preparazione più semplice, qui di seguito proposta si adatta, come immaginabile, pure a coloro che sono allergici al glutine stesso e ne sono tassativamente vietati dai medici di assumerlo. Dai suoi granelli tondi si ricava anche un’ottima farina con la quale i Bretoni in Francia preparano le crêpes da farcire nei modi usuali oltralpe. Questa farina non arriva a impastar le stiliformi baguettes per l’assenza del glutine, fatto che le causa l’impossibilità di lievitare. Ma tutto questo io lo so dalla mia colta e generosa conoscente di cui sopra il cui bel nome è Federica. Per quello che riguarda ciò che posso qui trasmettere e sia stato comprovato da esperimenti riusciti, i lettori di Totalità devono accontentarsi della ricetta semplice che segue. Dal cartoccio da un chilo si traggono cinque o sei cucchiai di questo grano che bastano a dar sazietà alla fame di due commensali. In pratica le dosi sono pari a quelle del nostro riso. Lo si mette nella pentola con pochissima acqua e si scalda. Quando l’acqua comincia ad agitarsi se ne aggiunge in abbondanza in modo da sommergere bene i grani e si mette del sale. In breve tempo si osserverà che la greschka comincia a prendere la sua forma: i grani divengono teneri, aprono la cuticola e salgono di volume. Le cuoche russe hanno stabilito una cottura di circa un quarto d’ora. Verso il termine della cottura si osserverà che l’acqua si è quasi del tutto assorbita nei grani. Questi, scolati nel piatto, sono teneri, caldi, asciutti, dal sapore che di suo pare quasi lievemente affumicato e si accompagnano a carote bollite, zucca, cavolo e sedani. Salse così come spezie possono ingentilire la ricetta. I lettori del Granducato fiorentino vi possono appaiare il lor magnifico cavolo nero da ribollita, posto che non si arrivi ad una preparazione ossimorica: la rude greschka da rituale agrario che accompagna il delicato, saporito, nobilissimo cavolo nero? Il principe che sposa un’ancella? Ma tutto è possibile: nella favola si scoprì che l’ancella era una principessa smarrita dai genitori…

La greschka da me provata con varie verdure si è rivelata gustosa, sana, nutriente. È piaciuta anche ad ospiti. A volte la sera mi trovai senza vegetali. Mi soccorse, caritatevole Federica ora intenta ad un suo libro sul tema del tempo che scorre inesorabile nella letteratura russa: e per un istante il tempo si fermava e retrocedeva portandomi un infanzia profumata di isbe sotto i rami protettivi degli abeti: la greschka si mischia a una panna leggermente acida detta smetana in russo, ai frutti di bosco, i mirtilli, le fragole, i lamponi, e sul tutto si versano dei cucchiaini di miele. Semplicissima ma buona. Anche ridotta al minimo: se non si trovano nel vassoio una pera dispersa, un’arancia, una mela, la sola greschka, con panna nostrana o ricotta, e lo zucchero miserello tratto dalle rape del Polesine compie l’ufficio del dolce.

Matriosche, balalaiche, i bolscevichi e lo zar ridotti ora a soldatini sui plastici dei modellisti, e poi i cosacchi, e dal 1934 l’isvoscia traballante, sono alcuni dei nostri neologismi calcati direttamente sul russo. Ho provato in un precedente scritto un fanciullesco samosviero. Come rendere fiorentina e latina ora la rude ma nutriente greschka?  I russi pronunciano un simpatico griesc’ka. Possiamo dire noi la grescia? O un apuano, e assonante al ligure, griesca? Un veneto la gressia? Eccone un esempio:“Magnìto la gressia?” .“Par carità magnatela tì. Mi voi risi e bisi e sarde in saor”. E questo potrebbe essere un simpatico scambio di battute veneziane fra la dama innovativa e la sua antica compagna d’infanzia rimasta un poco più conservativa…

Poscritto

Pei casi di passaggio, qui non matematico, al limite. Una Suvarova, questo l’appellativo con cui mi diletto a nominare intra me le donne moldave di lingua russa, la quale amministra un piccolo e lindo negozio di verdure, osservando come applico alla lettera il detto latino “magnum vectigal parsimonia”  che qui volto ne “il risparmio è sempre un grande affare” mi rischiara sull’estrema ultima eppure gustosa possibilità d’un fine pasto nutriente e semplicissimo a base di greschka: su di questa, ben calda nel piatto, si cala un dado di burro e si versano dei cucchiaini di miele, nel caso nobile, di confettura, nel caso intermedio, di zucchero dalle rape, nel caso miserello. Le prove effettuate mi confermano la bontà del suggerimento dato dalla brava verduraia.

Perché questo appellativo? Un appassionato di cose russe che conosco mi raccontava che quel lembo di Europa chiamato Moldavia, e più precisamente la Bessarabia, aveva a suo tempo, nel 1790, visto una magnifica vittoria sui Turchi del generalissimo Alessandro Vassilievic Suvarov. Lo storico estemporaneo mi aveva pure precisato che l’effetto storico di quella gloria delle armi russe era stato che, passati dieci anni ed annessa la regione allo sterminato impero degli Zar, era iniziata lentamente una migrazione di russi ed altre popolazioni cristiane in quella landa che prometteva buona agricoltura. Questa migrazione raggiunse il suo apice con la temperie sovietica. I sogni imperiali si mantenevano anche quando la semplice striscia rossa del tricolore russo diveniva tutta una bandiera e il ricordo del grande ed aristocratico Suvarov era coltivato in gloria patria. Con una certa ragione in fondo: enfant gâté dell’imperatrice Caterina il generalissimo si era visto trattar non poi così bene dallo zar Paolo I al quale pure aveva dedicato il suo talento militare e la sua lealtà. Il governo sovietico riparava con la gloria dei posteri agli intrighi dei contemporanei. Il racconto dell’appassionato era avvincente e mi dispiegava agli occhi storie e panorami che non immaginavo. Ora, in omaggio alla duttilità storica e linguistica del nostro latino, queste donne di lingua russa della Moldavia sono per me le “Suvarove”…

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