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Torri e Caffè

La cupa bellezza dei monumenti bellici di Vienna

La storia militare di questi foschi edifici è oggetto di interessanti scritti, alcuni dei quali sono proprio in italiano, così come la loro specificità architettonica

di Piccolo da Chioggia

La cupa bellezza dei monumenti bellici di Vienna

Una delle tre G-Turm costruite dai tedeschi a difesa di Vienna

I Flakturme di Vienna sono le torri dell’artiglieria contraerea costruite in rapidissimo tempo durante la seconda guerra mondiale quando si intuì che né i pinnacoli della cattedrale di Santo Stefano o quelli della Votivkirche, né le guglie del bellissimo Rathaus gotico, né la delicata e materna architettura di Nostra Donna am Gestade avrebbero risparmiato la tragedia dei bombardamenti aerei sulla città di Grillparzer. La difesa dal cielo di una capitale mondiale della cultura venne dunque affidata, oltre che ai valorosi cacciatori della Luftwaffe, molti dei quali, come l’austriaco Walther Novotny, erano stati istruiti al duello aeronautico dall’asso asburgico della prima guerra Julius Arigi, a queste alte torri che al sommo, su piattaforme mobili albergavano dei possenti cannoni da 88 millimetri messi in all’erta dai radiogoniometri Würzburg Riese. All’interno delle torri trovavano rifugio durante gli allarmi la popolazione delle case circostanti e i soldati dell’artiglieria contraerea. La storia militare di questi cupi edifici è oggetto di interessanti scritti, alcuni dei quali sono proprio in italiano, così come la loro specificità architettonica. Essi stanno, infatti, elevati fra le case viennesi, come torracchioni desolati, e sono giganti di cemento chiusi e senza finestre usciti come grigie faville dal maglio vulcanico di Friedrich Tamms che li aveva progettati e fatti costruire seguendo il criterio del massimo risparmio di tempo e materiali uniti alla massima robustezza. Un intento riuscito dato che alla fine del conflitto si trovò che la demolizione delle torri, contro cui le bombe nulla avevano potuto, sarebbe stata un’opera irta di enormi difficoltà tecniche ed oltremodo costosa. Perciò questi monumenti alla tragedia bellica campeggiano ancor oggi, e ben visibili, nella capitale della musica. Ad essi, dotati di una loro cupa bellezza, il viennese si è dunque abituato e va detto che lo stesso Tamms, un genio nel settore delle architetture funzionali, aveva previsto aggiunte che ne accrescessero il valore estetico una volta terminati i loro uffici militari. Poco tempo addietro ricevevo un opuscolo dedicato a queste torri dal quale venivo a sapere che anni orsono un quotidiano di Vienna aveva bandito un concorso popolare di idee per il definitivo riuso dei Flakturme. Era stato un vero successo! A lato delle soluzioni ora geniali ma spesso anche irritanti e arzigogolate degli architetti e pittori di grido erano fiorite decine, centinaia di idee da parte della moltitudine di architetti improvvisati e autodidatti che, senza essere raffinate, pure avevano a volte quella grazia dell’ingenuità che ricorre nella vera arte popolare. I nudi parallelepipedi grigi e balconati in alto dalle piattaforme si vedevano ora trasformati in un castello medievale irto di torrette con pinnacoli, guglie e tanto di galletto segnavento sulle antenne, oppure in un osservatorio astronomico con la classica cupola semisferica dalla quale un telescopio avrebbe dovuto, con ingenuo candore, forare l’impossibile cappa della densa aria notturna d’una metropoli, per lanciare il suo raggio alle stelle. O vi era chi ne faceva una immensa torre orologio per scandire gli appuntamenti rituali colla fetta di torta Sacher ed il caffè-cioccolato nelle auguste pasticcerie asburgiche, o chi ne prevedeva l’uso in torre di lancio per allievi paracadutisti. 

  

Pianta del tetto di una G-Turm Bauart 

Per quanto il concorso avesse presto fatto il suo tempo e ormai nessuno o quasi lo ricordi più mi ero messo pure io con foglio e matita ad inventarmi una qualche idea per il riuso dei cupi giganti. In un primo disegno intravedevo la possibilità di trasformare il Flakturm in una “Vogelwarte”, un osservatorio ornitologico, semplicemente elevando sulla piattaforma delle antenne sulle quali erano innestate strutture reticolari leggerissime che avrebbero dovuto imitare il “Flugbild”, ovvero l’atteggiamento del volo di aquile quando lentamente volteggiano percorrendo larghi circoli in cielo. Avrebbe potuto essere l’omaggio al giovane Konrad Lorenz che nel primo numero dell’anno 1933 del “Journal für Ornithologie”, nel febbraio, dava alle stampe quel gioiello di letteratura descrittiva che è la sua dissertazione pel titolo di dottore in medicina: “Beobachtetes über das Fliegen der Vögel”, da voltare con precisione alquanto maccheronica in un “cose osservate sul volo degli uccelli”. Avendoci preso gusto, alla prima idea ne seguiva un’altra, quale quella di asportare una sezione, a forma di porta con arco, da entrambe le pareti principali del parallelepipedo per ottenere un Arco di Trionfo moderno e senza alcun ornamento. Un omaggio al condottiero modenese e asburgico Raimondo di Montecuccoli, scrittore degli “Aforismi sull’arte bellica”. La grande volta aperta sulle facciate sarebbe stata poi finestrata in entrambi i lati da belle scacchiere di cristalli in grado di riverberare così i colori del cielo sulle case circostanti. 

Poscritto

Un appassionato di cose austriache, abbastanza praticone seppure in questo con stile e tecnica, mi aveva insegnato una ricetta rapida pel caffè-cioccolato asburgico il cui nome dovrebbe essere, nel gergo della pasticceria “caffè viennese”. Credo si tratti di una variazione ad uso e consumo nostro, un surrogato dunque, visto che non si può improvvisare in poco un’arte che rende i caffè della capitale musicale orgogliosi d’una tradizione senza eguali. Si sa che i viennesi ammettono a loro pari in istile solo i parigini. Quella che qui annoto è dunque un’acquerugiola chioggiotta di imitazione che comunque si è rivelata più che buona. Si prepara un caffè forte con la nostra classica moca, e al contempo si lascia fondere in un bricco del cioccolato fondente di qualità. La fusione deve essere condotta a fuoco molto lento. Preparati che sono il caffè ed il cioccolato liquido, queste siano le dosi da versare in una tazza: un terzo di caffè, un terzo di cioccolato fuso e un terzo di panna liquida. La mia acquerugiola si è accontentata, faute de mieux, della consueta panna da cucinare che comunque era di origine austriaca e garantita da latte di mucche alimentate a mangimi esenti da granaglie geneticamente modificate.  Il gusto raffinato di questa preparazione mitteleuropea non ne ha sofferto più di tanto, ovvero era lo stesso più che buono: la panna da cucinare è più densa di quella piuttosto liquida servita nei caffè di Vienna, ma se si allunga lievemente la dose del caffè si ha subito pronto il rimedio. Aggiungo che oggi in Austria vi è il lodevole costume di apporre su ogni derivato del latte il bollino che sigilla detta esenzione da alimenti ogm. Si dovrebbe imporlo pure qui. 

Poscritto secondo

Il geniale allievo di Konrad Lorenz Irenäus Eibl-Eibesfeldt era nel 1945 un giovanissimo Flakhelfer e racconta dei “Batterierussen”. Questi erano i prigionieri di guerra russi, catturati all’Est dalle armate germaniche che avevano accettato di servire come aiuto artiglieri nelle batterie contraeree. Plausibilmente anche per rinvigorire la razione alimentare. Prendeva forma un paradosso storico: i prigionieri aiutavano con la massima energia gli artiglieri tedeschi nel servire di proiettili i cannoni antiaerei. La minaccia e l’inferno dei bombardamenti riguardava tutti e le bombe che esplodevano al suolo non discriminavano nel proiettare le schegge tutt’intorno tra germanici o prigionieri di questi. Riflettendo sul fatto che poi Vienna viene invasa di lì a poco dalle armate sovietiche vien fatto di pensare quale siano state le peripezie successive di questi curiosi ausiliari della Luftwaffe. Ho letto la bella pagina dello Eibl-Eibesfeldt con i suoi “Batterierussen”, dei quali vi era pure una fotografia, essa rappresentava un crocchio di soldati dalle divise un po’ russe e un poco tedesche, e questa ha acceso la mia fantasia di scarabocchiatore. A lato d’un Flakturm, una delle torri della contraerea nel parco viennese popolato di begli alberi, disegnavo una piccola chiesina russa in legno colla consueta graziosa cupola a fiamma svettante sul tetto. Allegoria della quiete nel pieno della tempesta. Ma nulla di nuovo si inventa. Infatti durante la prima guerra mondiale, nella provincia di Trento, allora suolo imperiale asburgico, dei prigionieri russi vennero colà spostati per costruire da operai una ferrovia militare. Le cronache locali danno dettagli precisi sulle date e i luoghi. Nei ritagli di tempo, questi prigionieri, usi a tagliare le traversine dei binari, con gli assi e i tronchi, costruirono una chiesina ortodossa che suscitò la curiosità ma pure l’ammirazione della popolazione locale. Purtroppo questo manufatto non si è conservato.

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