La dama del diavolo

Favola medievale di paura, oscurità e sangue

Esistono due mondi paralleli al nostro, due mondi dall'origine sconosciuta.

di  

Favola medievale di paura, oscurità e sangue

Anni bui si susseguono nel Medioevo, in tutta l' Europa; è l’epoca dei castelli, dei giullari, c’è il clero e i boschi sono scuri e grandi come intere città d’oggi.
È il tempo della peste, dell’oscurità e della paura tanto primitiva come l’essere umano.
Le leggende sulle creature soprannaturali sono comuni in questo periodo.

Senza eccezione tutti credono nel male, forse con più fervore che in Dio: la spiegazione è che lo stesso Onnipotente non possiede il potere di interpretare la smisurata forza che il terrore produce negli uomini: forza devastatrice per chi lo esercita, distruttrice per chi lo subisce. Le creature della notte sono le più temute, affrontare l'ignoto è cosa di tutti i giorni, le leggende parlano di esseri che camminano nel buio in cerca di un pasto di carne e di sangue.

Altri racconti riferiscono di esseri metà uomini e metà animali.
Quei tempi remoti è possibile vederli scolpiti, scritti e simboleggiati nelle cattedrali gotiche di tutto il mondo, attraverso statue rappresentanti creature per lo più malefiche e infernali.Le narrazioni parlano di entità che possiedono canini affilati e possono vedere nel buio più profondo. Indemoniati o lupi mannari, donne di Satana, morti viventi o streghe malefiche ... 

Due mondi paralleli al nostro, due mondi dall’origine sconosciuta. L'essere umano si trasforma in creatura che si nasconde tra gli alberi ... caccia compulsivamente, è come un lupo affamato.
Si parla di morti reincarnati in animali o della bestia come veicolo di un'anima condannata da qualche incantesimo. 

Molte storie raccontano del tempo in cui mito e realtà s’incontrano. Un ambiente malsano dove la gente teme per la sua vita subito dopo il tramonto.
Esistono scritti antichi e storici, giunti a noi di generazione in generazione, che descrivono quelle creature le quali nessuno, in quei tempi, osava nominare. Oggigiorno va di moda una speculare sottocultura che lo stesso cinema ha portato in superficie... Non esiste la paura, bensì la venerazione, arrivando a creare eroi mitici negativi, grazie al grande schermo. 

L'acqua correva giù per la strada sconnessa e ciottolosa, bagnando marciapiedi e giardini. La corrente aveva già rovesciato diversi carri con i loro cavalli, nonostante fossero ben legati a alberi improvvisati a coperture. Vortici fortissimi di vento spazzavano via ogni cosa.

"Cosa sta succedendo?" urlavano dalle finestre.

Molti pensavano alla fine del mondo.

Aveva piovuto parecchio e tirato un vento fortissimo, ma non sufficiente a causare quel diluvio. Altre volte erano venuti giù grandi acquazzoni e l'acqua, però,  scompariva attraverso dei cunicoli adibiti a fogne. Il sistema di drenaggio del villaggio era di prim’ordine. Nonostante ciò, l'acqua e il fango erano entrati in molte case. Al momento nessuno lamentava persone scomparse, ma diversi uomini e donne venivano condotti in edifici adibiti a ospedali. L'alluvione li aveva trovati impreparati e scaraventati sulla strada, ma senza causare lesioni gravi.

Lentamente la pioggia stava diminuendo e nel giro di poco tempo arrivarono anche i soccorsi dal paese vicino, non colpito così duramente da quell’ammasso di acqua. Tutti, allora, cominciarono a darsi da fare, chi aiutando i soccorritori a versare la pressione dell’acqua in canali preparati al momento, chi a togliere il fango dalle aie e dalle cantine. Alcuni carretti, unitamente ai cavalli, vennero sollevati da primitivi paranchi, e molti tetti videro la presenza di uomini che cercavano di ridare loro una nuova, provvisoria copertura. Il danno era enorme.

I paesani cominciarono a chiedersi da dove fosse venuta fuori tutta quella pioggia, così abbondante e violenta.

Nel Medioevo l'ordine pubblico era organizzato male (considerando tutte le faide che c'erano all'epoca) e da autorità di tipo privato, ovvero ogni signore amministrava l'ordine pubblico del proprio feudo con una parte del proprio esercito.
Giunse quindi, circa due ore più tardi, il "capo" delle guardie insieme a tre suoi soldati a tenere la gente lontana in modo che i soccorritori potessero lavorare senza ostacoli.

"E’ scoppiato il deposito dell'acqua. Questo è tutto. " Disse il capo delle guardie.

Il serbatoio era stato costruito su una collina alta quarantacinque metri, alla fine della strada, e riempito con acqua piovana e di fiume, ma era abbastanza chiaro che il legno, che delimitava questa quantità d’acqua, non avrebbe retto  a una caduta così massiccia di pioggia.

"Non ho mai visto un tetto volare sopra i grandi alberi che delimitano il bosco”- tenne a sottolineare l’uomo ad uno dei soldati.

“ Stavamo mangiando, preoccupati per questa tempesta, e all’improvviso siamo rimasti noi, della famiglia, e il cielo che scaricava acqua. Il tetto stava vagando in cielo”- continuò Ethelbert.

Il soldato chiamò a se alcuni uomini e ordinò loro di attivarsi per edificare una copertura momentanea che permettesse di trascorrere la notte all’asciutto.

Ethelbert, a sua volta, decise di provare a tirar su la recinzione delle pecore, aiutato dai suoi tre figli maschi.

Intanto il cielo si stava schiarendo e i raggi del sole stavano lentamente riaffiorando da quelle minacciose nubi che andavano man mano dissolvendosi, e i canti degli uccelli riportavano un alito di gioia ad ogni passo fatto nel fango.

Ethelbert, e sua moglie Ondyne, si premuravano instancabilmente di rialzare la palizzata, aiutati da Yorgo, Medonte e Vario, i loro tre figli.

Mancavano oramai poche ore al calar delle tenebre e tutti i paesani, chi in un modo chi in un altro, erano riusciti a trovare un riparo per la notte.

Inaspettatamente un gran silenzio avvolse tutta la zona, gli uccelli smisero di cinguettare, le rane di gracidare, i maiali di grugnire.

Da lontano si cominciò a vedere quella che sembrava essere la figura di una donna che si stava avvicinando al paese, dondolandosi da un lato all’altro, in maniera così goffa da sembrare ridicola.

Più si avvicinava, più i paesani non credevano ai loro occhi: doveva misurare circa due metri e mezzo, forse tre per lo meno, era immensa, con una lunga chioma nera, braccia muscolose e lunghe, forti come quelle dei lottatori greci. Mani tanto smisurate che avrebbero potuto prendere una testa e spremerla come una spugna. Gambe tanto lunghe, che percorreva vari metri senza alcuno sforzo; occhi grandi e neri, iniettati di sangue che sembravano posseduti dal demonio.

Lo sgomento delle persone che se la videro a pochi metri fu facilmente comprensibile: portava un’ascia insanguinata in una mano ed una testa mozzata, tenuta per i capelli, dall’altra. Una scena terrificante, infernale.

Cominciò a correre verso quella gente, assestando accettate a tutto quello che le si presentava innanzi; uomini, donne, bambini, cani, cavalli. Colpiva tutto e tutti indifferentemente, un massacro non discriminatorio che coinvolse Vario e Medonte, due dei tre figli di Ethelbert.

Ad alcuni dava loro accettate sulla testa, talvolta spaccandola in due, nel petto, nella schiena o dove fosse meglio raggiungibile da quei fendenti. A due piccoli gemelli, di cinque anni, strappò di netto le braccia, ad un anziano pescatore storse il collo con la mano sinistra. Prese due donne le scaraventò a terra pestandole fino a farle scoppiare la testa come uova che cadono da un tavolo.

A coloro che erano troppo distanti e non poteva così raggiungerli con la sua ascia, lanciava contro pezzi di carne sezionati dalle precedenti vittime. Molti vecchi e bambini morirono di paura.

Ethelbert, affranto dal dolore per la perdita dei due figli, afferrò la balestra da caccia potenziata con frecce avvelenate, prese la mira da dietro un pagliaio e scagliò il dardo nella testa della belva sanguinaria, portando via parte della stessa e parte della lunga chioma nera.

Il mostro senza mezza testa, allora, si diresse verso l’uomo e gli tolse la balestra dalle mani per annodargliela al collo,  trasformandola in un cappio strettissimo che spezzò il collo del buon pastore.

Alcuni contadini, visto il gesto di Ethelbert, vollero imitarlo armandosi chi con forconi, chi con archi, chi di falci e fionde. Il comandante delle guardie ferito e con la spada in pugno ordinò - all’unico soldato rimasto in vita - di attaccare la belva assassina. Fu un assalto univoco, ognuno armato con armi o con mezzi rudimentali creati al momento.

Fu facile cogliere quell’enorme bersaglio, che venne colpito al cuore, alla riestante parte del capo, alle gambe e alle braccia.  I colpi arrivavano da ogni parte, facendo schizzare membra della dama del diavolo a destra e a manca; gli furono cavati gli occhi e dati in pasto ai maiali, venne più e più volte colpita da bastonate e fendenti di spada. Una volta al suolo, la donna gigante, venne trafitta più volte al cuore, e uno dei più coraggiosi fra gli abitanti del villaggio, con un affusolato coltello, strappò lei il cuore.

La demoniaca figura era a terra senza più gli occhi, senza mezza testa, il cuore, le braccia e una gamba, ma nonostante ciò incuteva sempre quel terrore satanico che aveva pervaso il paese dalla sua venuta.

Yorgo, il figlio superstite di Ethelbert e Ondyne, si armò di torcia e la gettò addosso a quel corpo straziato e morto più della morte, un gesto fatto per rassicurare se stesso, sua madre e tutti i compaesani. Del demonio, con l’aspetto di una gigantessa, non rimase che polvere.

Tre giorni dopo venne celebrato un unico funerale per le 77 persone morte. Altre 53 rimasero inferme e a lottare tra la vita e la morte.

La gente presente alle esequie dei propri cari, o di semplici amici, parlavano addolorate ricordando i recenti accadimenti. Il cimitero e la piazza del mercato si confondevano, la vita e la morte coesistevano. Quel luogo in cui si seppellivano i morti, diventò un luogo pubblico di ritrovo, un posto tutt’altro che macabro, anzi qualcosa che ricopriva un ruolo molto simile a quello del foro per gli antichi romani: una piazza pubblica che, peraltro, godeva del privilegio del diritto d’asilo nella quale, da quel giorno, tutti i superstiti di quella mattanza si ritrovavano per rievocare quegli attimi di terrore e paura immensi.

Arrivarono dalla città il Podestà e due alti membri dell’esercito per rendere onore alle salme.

Alla fine, dopo accurati controlli, si venne a sapere che la tempesta era stata causata dalla bestia immonda attraverso alcuni riti satanici propiziatori d’inondazioni e tempeste di vento, in modo da preparare il suo attacco ad un paese già indebolito dalle forze della natura. Difatti, non lontano dal serbatoio dell’acqua,vennero rinvenute ossa di piccoli animali, teste di pipistrello, una mano mozzata di un neonato e del sangue putrido, tutti oggetti caratterizzanti una preghiera di richiesta a Satana.

Yorgo, stava andando come ogni mattina a mungere il latte a una delle sue mucche.

Alzò la testa perché incuriosito da un polverone in lontananza che sembrava nascondere la forma di un grosso carro in avvicinamento.

Man mano che l’immagine si approssimava il tutto non sembrava più simile ad un enorme barroccio, ma a qualcosa di umano, qualcosa di mastodontico che caracollava di qua e di là.

Un ciclopico essere umano che teneva con la mano sinistra un’ascia e con la destra...

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

    4 commenti per questo articolo

  • Inserito da milena il 05/02/2012 21:51:19

    Che storia avvincente...

  • Inserito da clara il 17/01/2012 22:07:43

    Sorpresa grandissima, siete bravissimi.

  • Inserito da ninahagen il 17/01/2012 21:03:54

    Bellissimo racconto.

  • Inserito da piero-44 il 17/01/2012 15:34:32

    Che dire, niente! Semplicemente superlativo!!!! Può bastare?

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.