Non si sa come

Firenze: Il Pirandello di Tiezzi psicanalizza e convince

Scritta nel 1934, la commedia è ormai il penultimo appuntamento del drammaturgo con la scena: mancano solo i Giganti della montagna, il grande capolavoro incompiuto

di Domenico Del Nero

Firenze:  Il Pirandello di Tiezzi  psicanalizza e convince

Il Conte Romeo Daddi

Una commedia “da camera” condotta da un abilissimo quartetto di solisti (con la partecipazione in alcuni momenti, di un quinto attore). Questa era davvero una scommessa ardua. Non si sa come  è sicuramente un testo “difficile” di Luigi Pirandello: non tanto nelle tematiche, che certo non sono mai di immediata comprensione quando c’è di mezzo il  grande demiurgo siciliano, quando nella “staticità” quasi ossimorica di un dramma che ha ben poca azione, anche se si chiude con un colpo … di scena veramente magistrale.

Tuttavia il teatro fiorentino della Pergola è abituato a … giocare d’azzardo e soprattutto in queste ultime stagioni, a vincere. Recitazione superba, apparato scenico (Pier Paolo Bisleri) sobrio ma del tutto adeguato al testo pirandelliano e convincente , gradevoli costumi  “d’epoca” (Giovanna Buzzi)  luci (Gianni Pollini) e musica che creavano un atmosfera capace di avvolgere lo spettatore in una sorta di magia arcana hanno convinto anche il pubblico che ha giustamente decretato il successo.  Pirandello è un mago della parola, ma nei suoi testi ci sono anche tanti effetti e “sottintesi”  non verbali proprio perché i suoi personaggi parlano tanto ma non riescono a comunicare. La solitudine è l’essenza del personaggio pirandelliano, che è poi la condizione dell’uomo del Novecento.

Scritta nel 1934, la commedia è ormai il penultimo appuntamento del  drammaturgo con la scena: mancano solo i Giganti della montagna, il grande capolavoro incompiuto. Dopo una fase di stanchezza il maestro sembra aver ritrovato uno “stato di grazia” uscendo dalle secche di quello che viene chiamato “il pirandellismo”.

La commedia si apre su uno scenario indiscutibilmente borghese, ma abbastanza vago e indefinito.   Ben presto però il filo si dipana e si chiarisce: Ginevra, moglie dell’ufficiale di marina Giorgio Vanzi, ha ceduto a un momento inspiegabile di passione per il conte Romeo Daddi,  quando era ospite in casa sua e della moglie Bice durante una delle consuete lunghe assenze di Giorgio. Il tutto potrebbe essere elegantemente taciuto e dar luogo a una specie di gioco galante e brillante, ma ovviamente questo non rientra nella musa di Pirandello, che anzi per tutta la sua carriera si è divertito a far “esplodere”  proprio quel  tipo di dramma mettendone in evidenza l’inconsistenza e la falsità.

E allora, ecco all’opera la riflessione, o meglio ancora la coscienza:  “nel mondo morale la coscienza si risveglia come un giudice severissimo e intransigente nell'animo di chi ha infranto la legge. Il delitto appartiene alla natura, ma il momento veramente drammatico è quello della giustizia, ed è tanto più drammatico quanto più il tribunale è invisibile cioè nella coscienza ...aveva dichiarato Pirandello in una intervista a Mario Missiroli, proprio a proposito di questo dramma. Ed ecco allora il rimorso che trasforma Daddi in una sorta di “investigatore della psiche”  a vivisezionare la logica delle coscienze e quella diametralmente opposta dei corpi con lo spietato bisturi pirandelliano, cercando di convincere sé e gli altri cje esistono delitti innocenti perché involontari, che avvengono appunto  non si sa come; fino a sembrare dapprima pazzo,e poi  scatenare la follia altrui …

Molto bella l’idea del regista Federico Tiezzi, che ha ben orchestrato il congegno scenico pirandelliano  con mano sicura e tutt’altro che pesante,  di fare dei quattro personaggi principali i suonatori di un quartetto d’archi, che eseguono La morte e la Fanciulla di Schubert;  in alcuni momenti portano una curiosa maschera da coccodrillo, splendido simbolo dell’ipocrisia e del perbenismo che spesso è una delle più efferate forme di crudeltà.  La scena, che ritrae sempre un interno, è caratterizzata da tappezzerie rosso cupo  e da divanetti e poltroncine in tono. Un’atmosfera tutto sommato soffocante, eccellente caratterizzazione per quella che vuol essere la chiave di lettura del regista:  una seduta psicanalitica di gruppo, con il conte Daddi nei panni di paziente a analista contemporaneamente. Ottima a tale riguardo la caratterizzazione di  Sandro  Lombardi: “Romeo Daddi si guarda dentro ed estende le sue riflessioni al mondo che lo circonda. Porta in sé un dolore profondo, la sofferenza di chi tira le somme delle cose fatte nella vita e si rende conto di avere sbagliato, addirittura i suoi errori li chiama delitti” dichiara l’attore che riesce a immergersi perfettamente nel personaggio, ora ironico e straniato, “fuori di chiave”, ora dolente e tormentato. Il Giorgio Vanzi di Francesco Colella è un giovane apparentemente “di mondo” e soddisfatto di sé, che però si rivelerà alla fine molto più “primordiale” di quanto non sembrasse. Ottimi anche i ruoli femminili, l’apparentemente frivola Ginevra Vanzi di Elena Ghiaurov e la dolente Bice Daddi di Pia Lancillotti.  Bravo anche Marco Brinzi nel ruolo del galante Nicola Respi. 

Repliche da oggi a domenica (feriali ore 20,45, domenica ore 15,45). Da non perdere.  

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