Sant'Antonio abate, il maialino e il fuoco

Chi era questo santo, fra i più popolari nel mondo cristiano?

“Pare ‘u purcelluce ‘e Sant'Antonie”, si dice tuttora nel Molise dello scroccone di pasti abituale

di Marina Cepeda Fuentes

Chi era questo santo, fra i più popolari nel mondo cristiano?

“Sant’Antonio, sant’Antonio lu nemico de lu dimonio...”, recita la filastrocca di un vecchio canto popolare dedicato al santo celebrato il 17 gennaio: Sant’Antonio Abate.

D’altronde le demoniache “tentazioni di Sant'Antonio” quando si era ritirato nel deserto della Tebaide come eremita, sono state raffigurate dagli artisti di ogni epoca, fra cui, ai primi del Cinquecento, dal pittore fiammingo Hieronymus Bosch, in un magnifico dipinto conservato nel Museo del Prado di Madrid.

Ma chi era questo celebre santo, fra i più popolari nel mondo cristiano?

Sant’Antonio abate, detto anche sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto oppure sant’Antonio l’Anacoreta, fu un eremita, nato in Egitto nel 251 circa, che morì centenario nel deserto della Tebaide il 17 gennaio del 357. Ritenuto  il fondatore del monachesimo cristiano e primo dei padri abati, la sua popolarità si deve soprattutto ai molti  racconti sulla sua vita narrate nella “Leggenda Aurea” di Jacopo da Varazze.

Si crede infatti che grazie  a  una di queste leggende, fra le più diffuse, il santo sia stato  raffigurato con un maialino ai piedi, un bastone a forma di Tau, una campanella e una fiammella in mano.

“Si racconta che tanti secoli fa sant’Antonio viveva eremita nel deserto, vincendo, giorno dopo giorno, le tentazioni del diavolo con i più svariati trucchi. Con lui c’era un maialino che lo seguiva dappertutto

Allora non esisteva il fuoco sulla terra e gli uomini soffrivano un gran freddo.  Perciò, dopo aver discusso a lungo, i governatori dell’universo inviarono una delegazione  da sant’Antonio per pregargli di procurare il fuoco all’umanità. Il vecchio santo, col suo fedele porcellino, si recò dunque all’inferno per prendere una  fiammella: ma quando i diavoli videro che il visitatore era il santo, il loro peggior nemico, gli impedirono di entrare.

Il maialino però si era intrufolato rapidamente,  cominciando a scorrazzare e facendo danni dappertutto:  dopo aver tentato inutilmente di catturarlo, i diavoli pregarono  il santo di scendere all’inferno per riprendersi la bestiola. E l’eremita, che non aspettava altro, si scese nel regno dei dannati con il suo inseparabile bastone a forma di Tau. Durante il viaggio di risalita  con il maialino fece prendere fuoco alla estremità del bastone e, giunto sulla terra,  offrì il  primo  e tanto sospirato fuoco all’umanità infreddolita.

E perciò d’allora il vecchio santo della lunga barba bianca viene raffigurato con il suo bastone, una fiammella  in mano e un bel porcellino ai piedi.

E per questo  motivo, in onore di Sant’Antonio,  gli uomini accendono  ovunque dei grandi falò la vigilia della sua festa. 

Ma in realtà l’accensione dei fuochi invernali a metà gennaio non ha molti rapporti con la vita del santo:  si tratta di un rito pagano, che è stato  cristianizzato, grazie alla collocazione della festività in questo momento dell’anno, un periodo di passaggio da una stagione all’altra.  Come d’altronde accade anche a novembre, con i fuochi che si accendono per San Martino, oppure a metà marzo, con i falò per la festa di  San Giuseppe.

Un rito dunque, quello dei fuochi di Sant’Antonio, che si ripete da secoli con la stessa  funzione purificatrice che si attribuiva normalmente al fuoco, ma che serviva anche  come elemento per l’allontanamento delle streghe, degli spiriti invernali, della morte, delle malattie.

Un’antica usanza che si ritrova tuttora in molte cittadine italiane, da nord a sud, come ad esempio a Bagnaia, in provincia di Viterbo; a Volongo, nel cremonese, oppure a Galluccio, in provincia di Caserta.

Ma in Puglia, a  Roseto Valfortore,  i fuochi propiziatori di abbondanza e fertilità, verranno accesi fin da oggi, sabato 14 gennaio: tutto il paese è stato coinvolto per la raccolta della legna diversi giorni prima e il falò migliore riceverà un premio.

Anche a Novoli, sempre in Puglia, si è cominciato a raccogliere del legname fin dai primi di dicembre per costruire sulla piazza principale una altissima catasta a forma di cono che, secondo la tradizione, deve essere grande come la facciata del duomo e nella cui cima si pianta un ramo d’arancia, delle spighe di grano e una bandiera con l’immagine di sant’Antonio. La vigilia della festa verrà incendiata e attorno al grande falò, detto in dialetto pugliese “La Focara”, si mangia e si chiacchiera: finita la  festa, quasi all’alba, la gente di Novoli si porterà a casa qualche tizzone o della cenere, ritenuti preziosi amuleti.

A Fara Filiorum Petri, un paese d’origine longobarda della provincia di Chieti, non lontano dalla dannunziana Maiella abruzzese, la sera della vigilia del santo si accendono le monumentali “Farchie”, pesanti fino a 25 quintali l’una. Si tratta di  giganteschi  cilindri di canne, legate con rametti di salice rosso, che hanno un diametro di circa un metro e una lunghezza di una decina di metri: nel pomeriggio del 16 gennaio vengono portate in processione dalle varie contrade sino al largo antistante la chiesa di Sant’Antonio Abate, per essere innalzate e infine incendiate.

Ma torniamo alle raffigurazioni popolari del santo con  il maialino ai piedi, la fiammella, il bastone e una campanella. Ebbene: che significato ha quest’ultimo elemento?

La spiegazione, così come in realtà quella della presenza del porcellino,  è proprio  storica e ne parla Alfredo Cattabiani nel suo “Santi d’Italia” (Rizzoli).

Quando nel IX secolo le reliquie di sant’Antonio furono traslate da Costantinopoli alla Motte-Saint-Didier, in Francia, venne costituita, nel centro che già ospitava i benedettini di Mont Majeur, una comunità ospedaliera laica per curare i malati di ergotismo, un male causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala usata per la panificazione. Il morbo era conosciuto fin dall’antichità come “ignis sacer” per i bruciori che provocava. 

Per poter accogliere e assistere tutti i malati che, oltre alle cure ospedaliere si affidavano alla potenza tau­maturgica del santo, si costruì un ospedale retto da quella comunità laica che nel 1297 si trasformò nell’ordine degli Antoniani, canonici regolari retti dalla regola di sant’Agostino che in poco tempo  costruì altri ospedali in Europa.

Uno dei più antichi privilegi che i Papi accordarono al nuovo ordine religioso fu quello di poter allevare maiali per uso proprio. Il loro grasso serviva, usato come medicamento per lenire i bruciori, nella cura dell’ergotismo o “herpex zoster” che perciò venne chiamato “il fuoco di sant’Antonio”.

Il singolare allevamento avveniva a spese della comunità che alimentava i porcellini; i quali potevano circolare liberamente fra vie e cortili portando una campanella di riconoscimento.

E perciò in alcuni paesi dell’Italia vi è ancora l’usanza di allevare “il porcellino di Sant'Antonio” che uno speciale comitato cittadino acquista durante le fiere di agosto o per Santa Lucia.

“Pare ‘u purcelluce ‘e Sant'Antonie”, si dice tuttora nel Molise dello scroccone di pasti abituale oppure di chi s’ingozza quando viene invitato, e naturalmente l’espressione risale all’usanza di lasciare lasciato libero per le vie del paese il maialino acquistato, che viene contrassegnato da un campanellino: chi lo rubasse, dicono, sarebbe castigato dallo stesso Santo!

Infatti nella pianura padana quando qualcuno è colpito da disgrazie improvvise si dice con “sospetto” : “Deve aver rubato il porco di Sant'Antonio”.

Per ciò nella religiosità popolare il maiale venne associato a sant’Antonio e perciò lo si raffigura con l’animaletto ai piedi, la campanella e la fiammella.

Nel tempo si attribuì all’eremita egiziano il patronato sui maiali e per estensione anche su tutti gli animali domestici. Ed è per questo motivo che  il giorno della sua festa sui sagrati di molte chiese si benedicono gli animali. Cani, gattini, cavalli, asini, ma anche usignoli, cardellini, tartarughe sono condotti dai loro padroni in un’atmosfera di comunione da paradiso, da eden, che Goethe descrive addirittura nel suo “Viaggio in Italia”: “Oggi”, scriveva il 17 gennaio del 1787 a Roma,   “i padroni devono girare a piedi e non si manca mai  di raccontare  qualche brutta storia  di signori miscredenti  che, avendo obbligato  in questo giorno  i loro cocchieri  ad attaccare gli equipaggi, sono stati puniti con gravi sciagure. La chiesa sorge  su una piazza vasta  da sembrare quasi deserta, ma nella ricorrenza è animatissima; cavalli e muli, con le criniere  e le code intrecciate  di nastri vistosi  e sovente sfarzosi, sono condotti  davanti a una capelletta alquanto discosta dalla  chiesa, dove un prete, con un grande aspersorio  in mano e una fila di secchi e tinozze d'acqua benedetta davanti a  sé, annaffia senza risparmio i vispi animali”.

Attualmente, una delle   più singolari benedizione degli animali si svolge a Sutri, in provincia di Viterbo, dove la festa di Sant’Antonio, che comincia giorni prima,  comprende varie manifestazioni, fra cui la “corsa della stella” dove  il concorrente a cavallo  cerca di colpire con un giavellotto un cerchio posto al centro di una stella appesa a un filo. Ma il momento principale della festa è la benedizione del 17 gennaio quando sfilano le due Società  della Cavalleria di Sant’Antonio - la Vecchia, fondata  nell’Ottocento e la Nuova dopo la prima guerra mondiale - che eleggono  ogni anno un deputato che avrà l’onore di ospitare il gonfalone del Santo nella propria casa per un anno  dovendo offrire un rinfresco a chiunque vada a visitarlo.

Corse di cavalli si svolgono anche ad Anguillara, sul lago di Bracciano, e in tanti altri luoghi del Lazio come Velletri e Canale Monterano, in provincia di Roma, dove  una burlesca corsa di somari da il via ai festeggiamenti per il Carnevale.

D’altronde, la tradizione vuole che sia proprio il cosiddetto “santo del maialino”  a dare inizio ai grassi riti carnascialeschi, come a  Mamoiada, una cittadina sarda non lontana da Nuoro dove le maschere dei  Mamuthones e degli Issicadores   fanno la prima comparsa proprio  il 17 gennaio. Ma questa è un’altra storia.

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