idealismo tedesco

Le età del Mondo di Schelling. Un’opera tra romanticismo e filosofia futura

La Filosofia in quanto sapere dell’originario, in tale prospettiva, è perfettamente coincidente con la Teosofia

di Giovanni Sessa

Le età del Mondo di Schelling. Un’opera tra romanticismo e filosofia futura

La copertina del libro

E’ finalmente a disposizione del lettore italiano, una delle opere più significative prodotte dall’idealismo tedesco. Più in particolare, il testo cui ci riferiamo è il prodotto maturo, l’opera di un’intera vita, di F. W. J. Schelling, pensatore la cui teoresi è a cavallo tra la Scuola di Jena e il Circolo romantico di Heidelberg, tra suggestioni di filosofia della storia e di simbolica. Si tratta de Le Età del Mondo, edite da poco da Bompiani, nella collana “Il pensiero occidentale”, per la cura di Vito Limone. La pubblicazione è corredata dal testo tedesco e presenta le tre redazioni dell’opera, quella del 1811, del 1813 e del 1815-17, per la prima volta assieme nella nostra lingua. Il giovanissimo ma sagace curatore, avvicina, nell’Introduzione, anche il lettore meno avveduto, alle questioni filosofiche maggiormente rilevanti della speculazione schellinghiana, a cominciare dalle questioni filologiche inerenti la stesura del libro in questione.

     Come ricorda nella Prefazione Francesco Tomatis, uno dei maggiori esperti italiani di Schelling, il progetto iniziale del filosofo idealista era di presentare una monumentale architettura del passato, del presente e del futuro, pensati attraverso la categoria greca dei “tempi eterni e viventi”, delle epoche del mondo: “Eternità, durata, tempo, epoca, vita, suonano assieme in aìongreco. Ma eraclitamente occorre intuire in esso anche il gioco infante, la creazione eterna, divina e fanciullesca assieme, impossibile e necessariamente da raggiungere per l’uomo mortale” (p. IX). Per questo, alla luce del recupero dell’idea greca di tempo, le tre diverse redazioni del volume, che il pensatore progettò nel momento più difficile della sua esistenza di uomo, dopo la morte della moglie Carolina e la definitiva chiusura dei rapporti con Hegel e Jacobi, non parlano di nient’altro se non del passato, inteso quale abisso della temporalità. Tale inattingibile passato è “fonte” delle altre due estasi temporali, presente e futuro: assieme rappresentano i “volti” di Dio, del Principio. Il tempo così inteso non è esperibile se non all’interno dei rapporti trinitari intradivini, sotto il segno tangibile dell’Inizio, dell’insondabile abisso primordiale e della stessa Deità di Dio.

     E’ bene precisare, per contestualizzare storicamente quest’opera di Schelling, che essa sorge da un confronto serrato con lo spinozismo. L’intera esegesi che il tedesco compie dell’idea di Sostanza in Spinoza è un tentativo di riabilitare il panteismoattraverso la mediazione di una metafisica dell’Uno, henologica, di chiara matrice bruniana e neoplatonica. Ci spieghiamo: in Spinoza l’essere si risolve e trapassa totalmente nell’essente, nel dato della natura e pertanto viene meno, nelle sue posizioni, la differenza tra essere ed essente. Il monismo in Lui si riduce, secondo Schelling, a mero realismo, in quanto l’ immanentismo rimuove qualsiasi eccedenza, qualsiasi trascendenza, immobilizzando l’essere nella categoria della necessità. Al contrario, secondo l’idealista, quello di Spinoza non è che il primo momento di un coerente panteismo, per conseguire il quale il monismo deve potersi fare dualismo. Così la contraddizione di unità e dualità è in realtà unità di unità e dualità, in quanto tra-scende gli opposti, lì sovra-sta. Il comune di essere ed essente eccede l’uno e l’altro in quanto, tale legame- relazione, si fonda su di un abisso.

    Nell’analisi della sostanza spinoziana, Schelling ripropone la lettura dei volti di Dio, già presentata nelle pagine iniziali de Le età del mondoa proposito delle relazioni  passato-presente-futuro e dei legami tra le persone divine. In merito alla temporalità, il filosofo sostiene che il sapere si pone alla ricerca di quell’essenza, di quel viventein cui le tre estasi temporali non si distinguono, l’insondabile tempo primigenio, il non-fondamento in cui il tempo è in-viluppato. In quest’ottica il passato è il mostrarsi del presente come non essente, è assenza che si manifesta nel presente, che il presente “apre” negandosi in ogni attimo in quanto tale. L’unità di passato e presente è assoluta, al punto da contenere la negazione di sé in quanto unità. Il futuro si mostra allora come il presentito, ciò che non è ancora, ma che può essere. Il futuro non è altro che il farsi presente del non-essente. Per cui: “Il passato è l’unità di passato e presente; il presente è il mostrarsi del presente come passato, ed il futuro è l’eterno ritornare del presente nel passato”(p. XXXIV). Le medesime relazioni intercorrono tra le figure divine. Infatti, la potenza dell’Inizio è totalizzante e contiene anche la negazione di se stessa, la negazione dell’autodarsi del puro esse. Il Principio è Possest, In-differenza assoluta, in cui sono co-originari l’estrinsecarsi, il manifestarsi e lo stesso non-mostrarsi. Dio si solleva dall’Abisso, ma lo porta in sé, non lo s-corda. Per questo il Figlio vive la comunione con il Padre, pur essendo da lui distinto: “Eternamente Dio sa…che l’unico modo in cui la sua esistenza possa essere custodita, conservata, salvata è di rinunciare ad essa, ossia di farsi esso stesso altro da sé”(p. LVI). Il Dio negativo in cui generazione e “creazione dal nulla” coincidono. Dio eternamente si nega: e così Schelling ci dice della sua creazione eterna: “Dunque, attraverso la generazione del Figlio, l’oscura arciforza del Padre si ritira nel passato”(p. LXI). Padre e Figlio sono identici dal punto di vista sostanziale, partecipano dello “stesso”, ma sono distinti ipostaticamente. E’ la libertà dell’abisso, vivente in Dio sia pure come ricordo, che permette di superare nella generazione-creazione la necessità.

    La Filosofia in quanto sapere dell’originario, in tale prospettiva, è perfettamente coincidente con la Teosofia. Schelling, all’inizio delle proprie ricerche, disse la ricerca filosofica centrata sull’intuizione intellettuale. La lettura delle Età del Mondo mostra con chiarezza come, quando   scrisse quest’opera, momento intermedio tra la filosofia trascendentale e quella positiva, il pensatore rinviasse a un “sapere nesciente”: “…che non sa non per bruta stupidità, ma (per) dotta ignoranza raggiunta e ammessa come supremo limite socratico del sapere, inducente a sempre ulteriori ricerche”(p. XI). L’aporeticità cui qui ci si riferisce, è conseguenza dell’aver appreso, negli anni dell’indugio sul problema affrontato ne Le Età, che lo seguirà per il resto della vita come il problema speculativo per eccellenza, dell’impossibilità di compiere perfettamente l’anàmnesis platonica. Come rilevò Pareyson la ragione rimane attratta e respinta dal problema dell’Inizio e dalle problematiche che esso dischiude. Lo stupore è il sigillo di questo sapere nesciente.

     Nella revisione dei presupposti attualisti, le avanguardie filosofiche primo novecentesche italiane, ma non solo, dovettero confrontarsi con il tema del Soggetto assoluto schellinghiano. Tra i primi a recuperare al dibattito speculativo il primato del negativo, furono Julius Evola e Andrea Emo, che lo pensarono secondo prospettive originalissime e diverse. Ecco, il libro che abbiamo presentato non ha solo valore in sé, che pur è rilevantissimo. Consente di incontrare percorsi teoretici e pratici in grado di dare risposte persuasive e forti all’impassecontemporanea, di rintracciare sentieri interrotti, quali quelli segnati da Emo ed Evola, lungo i quali aver contezza che l’Origine, la Tradizione è il  sempre possibile. Sta all’uomo porsi nelle condizioni di corrispondervi per farla evenire, nonostante i grandi cicli, nella storia e nel tempo.

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