Quando l’inetto trascina la platea

La coscienza di Zeno in versione teatrale trionfa alla Pergola di Firenze

Spettacolo decisamente da vedere. Repliche da mercoledì a sabato ore 20,45, domenica ore 15,45

di Domenico Del Nero

La coscienza di Zeno in versione teatrale trionfa alla Pergola di Firenze

Giuseppe Pambieri

Per alcuni è stato un incubo scolastico, per altri un indigeribile mattone e per molti un capolavoro del Novecento: la Coscienza di Zeno di Italo Svevo è forse uno dei testi che ancora oggi maggiormente divide il pubblico. Ma nessuna divisione,  ieri sera martedì 15 gennaio, tra gli spettatori del teatro fiorentino della Pergola, che hanno decretato un caloroso successo alla trasposizione scenica di Tullio Kezich, interpretata da un magistrale Giuseppe Pambieri per la regia di Maurizio Scaparro.

E la regia è senz’altro uno dei punti di forza dello spettacolo che ha fatto felicemente approdare la Trieste Mitteleuropea sulle rive dell’Arno: sobria ma sommamente efficace, ha reso l’ambiente cosmopolita della Trieste Asburgica tra la Belle Epoque e la prima guerra Mondiale: una città che riusciva ad essere “provinciale” e internazionale contemporaneamente. Il mondo dei solidi commercianti, banchieri e industriali triestini, visti dall’inetto Zeno  attraverso la lente impietosa e ironica della sua malattia, acquista nella versione di Kezich realizzata da Scaparro un qualcosa che manca al romanzo di Svevo: un tocco di straordinaria leggerezza, che trasforma due ore di spettacolo in un vero e proprio, velocissimo, viaggio attraverso il tempo, in un passato per certi versi remoto ma di cui siamo molto più figli di quanto non si pensi: “ La dimensione economica che cambiò la vita di Zeno Cosini e dello stesso Svevo è quella che sta cambiando le nostre vite”  dichiara Scaparro. E infatti “leggerezza” non significa certo banalizzazione o superficialità: al contrario, pur senza pretendere di esaurirne i molti aspetti problematici  e il complesso rapporto con la psicanalisi, questo spettacolo  è tuttavia una sintesi straordinaria di uno dei romanzi più difficili, ma per molti aspetti più affascinanti, del primo Novecento Italiano.

Già, la psicanalisi. La scena inizia come d’obbligo nel gabinetto di uno psicanalista antipatico quanto basta, in perfetta sintonia col  celebre prologo del romanzo, quello del “dottor S.”. Ma c’era il rischio di lasciarsi per l’appunto tentare da un lungo colloquio – o soliloquio -  psicanalitico che anche il più scafato degli attori avrebbe faticato a reggere. Nulla di tutto ciò: ben presto lo psichiatra e il suo divanetto spariscono e grazie alle  belle scene di Lorenzo Cutùli e ai costumi d’epoca di Claudia Ricotti compaiono gli ambienti eleganti e raffinati della borsa e dei salotti triestini – con un paio di puntate sul lungomare – in cui Zeno rivive, in un continuo rimescolamento dei piani temporali  gli eventi – e le fissazioni -  più importanti della sua vita: il rapporto con il padre (rievocato però solo indirettamente), le innumerevoli “ultime sigarette”, il suo ingresso in casa Malfenti e il suo matrimonio “per esclusione” con la più brutta (ma in fondo, anche la più adatta a lui) delle quattro sorelle, il rapporto ambiguo con il cognato Guido Speier, che termina con il suo suicidio e il clamoroso “sbaglio di funerale” da parte di Zeno. E il monologo finale, quello in cui, sullo sfondo dei cupi bagliori del primo conflitto mondiale, Zeno/Svevo  predice una catastrofe cosmica allo stesso tempo distruttiva e rigeneratrice.

E il secondo punto di forza sono proprio gli interpreti: in primis, un grande Giuseppe Pambieri, un attore - regista che ha esplorato a fondo e sempre con grande successo i segreti del palcoscenico e del set, televisivo e cinematografico.  Oltre e più che un inetto, il suo Zeno è un personaggio di grande pacatezza e ironia, a volte persino “vitale” ma mai sopra le righe:  una recitazione perfetta, sia nei panni del nevrotico malato immaginario  sia in quelli dell’improbabile corteggiatore  o ancor meno credibile uomo d’affari.  Il monologo finale,  tutto giocato sul filo dell’ironia e del disincanto, sarebbe veramente da registrare …. così come tutto il resto. Non per nulla, a proposito del suo rapporto con il personaggio, Pambieri ha dichiarato: “ E’ la stessa ironia che appartiene anche a me, non ho faticato molto a entrare nel personaggio (…) Perché Zeno piace così tanto? E’ l’uomo normale, i suoi difetti e le sue timidezze li ritroviamo in noi stessi e scopriamo anche, tutto sommato che le nostre debolezze possono essere elemento di vittoria”

Ma ineccepibile la recitazione anche degli altri interpreti: Nino Bignamini è stato molto efficace sia nei panni del bilioso dottor S. sia in quelli del’esuberante uomo d’affari Giovanni Malfenti padre delle quattro sorelle Augusta, Ada, Alberta e Anna (impersonate rispettivamente da Antonia Renzella, Guenda Goria, Margherita Mannino e Silvia Altrui) ciascuna delle quali perfettamente caratterizzata come da racconto sveviano; mentre Francesco Wolf è stato un Guido Speier esuberante e tragico  insieme e Giancarlo Condé un ipocondriaco Enrico Copler.  E in generale, tutti gli attori hanno fornito una prova convincente e in perfetta sintonia.  Perfettamente intonati anche le luci e … i brani musicali, con tocco ora di inizio secolo ora deliziosamente asburgico. Alla fine dello spettacolo Pambieri ha reso un toccante e sentito omaggio all’amico e “decano di tutti gli attori” Arnoldo Foa,  scomparso nei giorni scorsi.

Spettacolo decisamente da vedere. Repliche da mercoledì a sabato ore 20,45, domenica ore 15,45. 

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